Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 31319 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 31319 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Firenze il 21/04/1971
avverso la sentenza del 24/09/2024 della Corte di appello di Firenze letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24/09/2024, la Corte di appello di Firenze, in riforma della sentenza assolutoria emessa in data 14/02/2020 dal Tribunale di Firenze, appellata dal Pm e dall’imputato, dichiarava COGNOME NOME responsabile dei reati di cui all’art 4 d.lgs 74/2000) a lui ascritti ai capi a) e b) dell’imputazione e condannava alla pena di anni due di reclusione ed alle relative pene accessorie; dichiarava, poi, non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME in ordine al reato di cui al all’art 10-quater d.lgs 74/2000 a lui ascritto al capo dell’imputazione – per il quale era stata emessa sentenza di condanna in primo grado- perché estinto per intervenuta prescrizione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME SimoneCOGNOME a mezzo del difensore di fiducia, articolando quattro motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce inammissibilità dell’appello interposto dal pubblico ministero ex art. 593, comma 2, cod.proc.pen.
Argomenta che, nelle more della presentazione del gravame del Pubblico Ministero, interveniva modifica dell’art. 593, comma 2, cod.proc.pen., che prevede la non impugnabilità della sentenza di assoluzione relativa a reati per i quali sia prevista la citazione diretta; l’appello proposto dal Pm, pertanto, andava dichiarato inammissibile.
Con il secondo motivo deduce la nullità della sentenza per omessa motivazione, con violazione degli artt. 125, comma 3, cod.proc.pen, 111 Cost. e 546, comma 1 lett. e) cod.proc.pen.
Argomenta che l’omessa motivazione della sentenza di primo grado e la relativa nullità non possono ritenersi superate dalla motivazione del giudice di appello, ponendosi tale affermazione in contrasto con il principio del doppio grado di giudizio.
Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione sotto il profilo dell’obbligo della motivazione rafforzata.
Argomenta che difettando la motivazione della sentenza assolutoria di primo grado, i Giudici di appello non erano vincolati all’obbligo di esprimere una motivazione più forte di quella di primo grado, difettando il confronto con il ragionamento del primo giudice; in tal modo erano incorsi in carenza motivazionale.
Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione sotto il profilo del travisamento della prova.
Argomenta che la motivazione resa dalla Corte di appello era carente in ordine alla ricostruzione della testimonianza del teste COGNOME e frutto di travisamento della prova orale e dei documenti ad essa collegata, atteso che a fronte di una mole ingente di assegni versati cunnulativamente dall’imputato, l’Agenzia delle Entrate era riuscita in minima parte a ricondurre quelle cifre alle fatture emesse.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo il condiviso orientamento di questa Corte, le sentenze di proscioglimento emesse prima del 25 agosto 2024, data di entrata in vigore della legge 9 agosto 2024, n. 114 – come quella in esame -, possono essere appellate dal pubblico ministero anche nel caso in cui riguardino i reati indicati dall’art. 550, commi 1 e 2, cod. proc. pen., non applicandosi la preclusione prevista dall’art. 593, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. p), legge citata, posto che, in assenza di disciplina transitoria, il principio del “tempus regit actum” comporta l’operatività del regime impugnatorio previsto all’atto della pronunzia della sentenza, essendo quello il momento in cui sorge il diritto all’impugnazione (Sez.5 n. 6984 del 05/02/2025, Rv.287528 – 01).
Trova, infatti, applicazione il principio di diritto affermato da Sez. U, n.27614 del 29/03/2007, Rv.236537 – 01, secondo cui ai fini dell’individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall’una all’altra, l’applicazione del principio “tempus regit actum” impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell’impugnazione.
Da tanto discende la manifesta infondatezza della doglianza proposta.
Il secondo ed il terzo motivo, che si trattano congiuntamente in quanto oggettivamente connessi, sono manifestamente infondati.
Secondo il dictum di Sezioni Unite n. 3287 del 27/11/2008, Rv. 244118, “la mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante; la mancanza di motivazione è, infatti, causa di nullità della sentenza e non invece di inesistenza della stessa.
E si è precisato che la mancanza assoluta di motivazione della sentenza in relazione a un capo d’imputazione non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarar la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante, senza che ciò comporti la privazione per l’imputato di un grado del giudizio (Sez.6, n. 1270 del 20/11/2024, dep.13/01/2025, Rv.287505 – 01)
Il giudice di appello, si è inoltre affermato, deve redigere “ex novo” la motivazione mancante ed è investito di una devoluzione totale del merito (Sez. F, n. 38927 del 19/08/2014, Rv.261237 – 01).
Dai principi di diritto suesposti discende la manifesta infondatezza delle doglianze mosse con i motivi in esame.
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente, peraltro senza alcun confronto argomentativo con la sentenza impugnata (confronto doveroso ai fini dell’ammissibilità del ricorso, cfr ex plurimis, Sez. 3, n. 31939 del 16/04/2015, COGNOME Rv. 264185; Sez. 6, n. 13449 del 12/02/2014, COGNOME, rv. 259456), propone doglianze eminentemente di fatto, riservate al merito della decisione.
Le censure sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità; infatti, pur essendo formalmente riferita a vizio riconducibile all categorie del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 cod.proc.pen., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, COGNOME, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794).
Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez.6,n.27429 del 04/07/2006, Rv.234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv.253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148).
La Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell’assenza, in quest’ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole
della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degl appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con “atti del processo”, specificamente indicat dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez. 4 08/04/2010 n. 15081; Sez. 6 n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989; Sez.5, n.6754 del 07/10/2014, dep.16/02/2015, Rv.262722).
Ed è stato ripetutamente affermato che in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di travisamento della prova testimoniale, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati da complessivo contenuto dell’atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall’indebita frantumazione dei contenuti probatori (Sez.1, n.23308 del 18/11/2014, dep.29/05/2015, Rv.263601 Sez.4, n.37982 del 26/06/2008,Rv.241023).
E’ di palmare evidenza come, nel caso in esame, la tecnica espositiva impiegata dal ricorrente, basata sullo stralcio di alcune frasi riferibili al testimonianza resa dal teste COGNOME seguita dal loro raffronto con le argomentazioni della sentenza impugnata al fine di tentare di dimostrarne la carenza e l’illogicità, non coglie nel segno e non sfugge alle censure di genericità e di mancato rispetto del principio di autosufficienza.
4.Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 25/06/2025