Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27150 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27150 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Lipari il 27/12/1991
avverso la sentenza del 03/03/2025 della Corte d’appello di Messina visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 03/03/2025, la Corte d’appello di Messina, in riforma della sentenza del 24/11/2023 del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto – con la quale era stato dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato di ricettazione di un ciclomotore a lui contestato (per essersi intromesso nel farlo acquistare o ricevere, offrendolo in vendita o comunque offrendosi di cederlo ad NOME COGNOME) perché estinto per intervenuta prescrizione e che era stata appellata dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Messina – condannava il Cacace alla pena dieci mesi di reclusione ed C 800,00 di multa per lo stesso reato.
Avverso la menzionata sentenza del 03/03/2025 della Corte d’appello di Messina, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., «inammissibilità dell’appello», nonché «mancanza assoluta di motivazione».
Il COGNOME deduce che, come aveva eccepito sin dalla prima udienza del 20/01/2025 e, poi, anche nelle conclusioni che aveva rassegnato al verbale dell’udienza del 03/03/2025, l’appello del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Messina si doveva ritenere inammissibile a seguito della novella di cui all’art. 2 (comma 1, lett. p) della legge 9 agosto 2024, n. 114, che ha sostituito il primo periodo del comma 2 dell’art. 593 cod. proc. pen. Secondo il ricorrente, tale inammissibilità sussisterebbe ancorché l’appello del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Messina fosse stato proposto prima della menzionata novella, atteso che ciò discenderebbe dall’applicazione del principio del favor rei.
Il ricorrente deduce altresì la mancanza assoluta di motivazione in ordine alla sua menzionata eccezione.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 191 e 511 cod. proc. pen., «in relazione all’utilizzazione delle sit di RAGIONE_SOCIALE Alessio», nonché «travisamento della prova risultante dal raffronto tra la sentenza e le prove acquisite».
Il COGNOME contesta anzitutto che, sia dalla lettura della sentenza impugnata, sia, ancor più, dalla trascrizione dell’esame del Profilio che fu condotto dal Presidente della Corte d’appello il 03/03/2025, emergerebbe come il Giudice conoscesse e abbia utilizzato le dichiarazioni che erano state rese da NOME COGNOME nel corso delle indagini preliminari e che non erano state legittimamente acquisite e dichiarate utilizzabili con il consenso della difesa, con la conseguente violazione degli artt. 191 e 511 cod. proc. pen.
In secondo luogo, secondo il ricorrente, dal raffronto tra la motivazione della sentenza impugnata e l’allegata trascrizione della deposizione del testimone NOME COGNOME emergerebbe il travisamento delle risultanze probatorie sulla base delle quali la Corte d’appello di Messina ha affermato la responsabilità dell’imputato. Il ricorrente espone che la deposizione del COGNOME sarebbe stata «zeppa di “non ricordo”, trancianti incertezze e contraddizioni di ogni sorta».
Dopo avere riportato ampi stralci delle dichiarazioni dibattimentali del Profílio (pagg. 5-8 del ricorso), le uniche utilizzabili ai fini della decisione, il Cacace deduc che, alla luce di esse, emergerebbe la manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata. Il ricorrente denuncia in proposito che: a) quanto al «timore» che il COGNOME avrebbe avuto nei suoi confronti, che esso, oltre a essere stato «declinato in modo totalmente assiomatico», sarebbe «all’evidenza viceversa escluso proprio dalle ultime dichiarazioni del teste, che ha negato qualunque forma di frizione con l’imputato»; b) quanto al punto chiave della disponibilità, in capo a sé, del ciclomotore, sarebbe «di evidenza lapalissiana» l’illogicità dell’affermata «conferma», da parte del Profilio, della «convocazione davanti ai Carabinieri e fatto che in quella sede riscontrava quanto indicato da NOME, cioè l’incontro con il Cacace e la circostanza che il ciclomotore di cui si discuteva, a lui offerto in vendita, era quello sottratto qualche giorno prima a NOME».
3. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte di cassazione ha infatti chiarito che, in tema di impugnazioni, le sentenze di proscioglimento emesse prima del 25/08/2024, data di entrata in vigore della legge n. 114 del 2024, possono essere appellate dal pubblico ministero anche nel caso in cui riguardino i reati indicati dall’art. 550, commi 1 e 2, cod. proc. pen. (cioè i reati per i quali è prevista la citazione diretta a giudizio, quale la ricettazione), non applicandosi la preclusione prevista dall’art. 593, comma 2, primo periodo, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. p), della legge citata, atteso che, in assenza di disciplina transitoria, il principio de tempus regit actum comporta l’operatività del regime impugnatorio previsto all’atto della pronunzia della sentenza, essendo quello il momento in cui sorge il diritto all’impugnazione (Sez. 5, n. 6984 del 05/02/2025, P., Rv. 287528-01).
Tale pronuncia – alle cui più ampie argomentazioni, in quanto totalmente condivise dal Collegio, si può fare rinvio – ha fatto applicazione dei principi che erano stati in precedenza affermati dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza “Lista” (Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236537-01), la quale, nell’affrontare il problema della successione delle norme processuali in materia di impugnazioni nella mancanza di disposizioni transitorie, aveva affermato il principio secondo cui, ai fini dell’individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall’una all’altra, l’applicazione del principio tempus regit actum impone di fare riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell’impugnazione.
Da tali principi discende che, poiché la sentenza di proscioglimento del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto appellata dal Procuratore della Repubblica presso la Corte d’appello di Messina è stata emessa il 24/11/2023, cioè ben prima del 25/08/2024, data di entrata in vigore della legge n. 114 del 2024, l’appello del
suddetto pubblico ministero, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, era senz’altro ammissibile.
Quanto al pure lamentato vizio di mancanza della motivazione sull’eccezione di inammissibilità dell’appello del pubblico ministero che il ricorrente aveva sollevato davanti alla Corte d’appello di Messina, si deve ribadire il principio, che è costantemente affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, non incorre nel vizio di difetto di motivazione la sentenza d’appello che non illustri le ragioni del rigetto di una doglianza afferente a una asserita violazione dì norme processuali, se tale violazione sia comunque insussistente – come si è visto essere quella che è stata qui prospettata -, atteso che, qualora sia sottoposta al vaglio del giudice di legittimità la correttezza di una decisione in rito, la Corte è giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio controllo, quale che sia il ragionamento esibito per giustificarla e persino nel caso in cui la motivazione sia del tutto assente (Sez. 1, n. 22337 del 23/03/2021, COGNOME, Rv. 281391-01; Sez. 5, n. 17979 del 05/03/2013, COGNOME, Rv. 255515-01).
4. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Si deve anzitutto affermare, in conformità con l’orientamento della giurisprudenza della Corte di cassazione, che ogni questione sull’asserito cattivo utilizzo dei poteri del Presidente del Collegio nella conduzione dell’esame del testimone NOME COGNOME avrebbe dovuto essere eccepita e formalizzata dalla difesa dell’imputato immediatamente dopo il compimento di tale atto, con la conseguenza che, poiché ciò non è stato fatto, come risulta dalla lettura della trascrizione della fonoregistrazione della deposizione in grado di appello del Profilio, la stessa questione non può essere dedotta in questa sede (Sez. 3, n. 10085 del 21/11/2019, deo. 2020, G., Rv. 279063-01).
In secondo luogo, quanto al contestato utilizzo, ai fini della decisione, delle dichiarazioni predibattimentali del Profilio, la Corte d’appello di Messina ha fatto corretta applicazione dei principi, affermati dalla Corte di cassazione, secondo cui: a) le dichiarazioni predibattimentali utilizzate per le contestazioni al testimone che siano state confermate, anche se in termini laconici, vanno recepite e valutate come dichiarazioni rese dal testimone direttamente in sede dibattimentale, poiché l’art. 500, comma 2, cod. proc. pen., concerne il solo caso di dichiarazioni dibattimentali difformi da quelle contenute nell’atto utilizzato per le contestazioni (Sez. 2, n. 35428 del 08/05/2018, COGNOME, Rv. 273455-01); b) le dichiarazioni predibattirnentali utilizzate per le contestazioni al testimone che manifesti genuina difficoltà di elaborazione del ricordo, ove lo stesso ne affermi la veridicità anche mediante richiami atti a giustificare il deficit mnemonico, devono ritenersi confermate e, in quanto tali, possono essere recepite e utilizzate come se rese
direttamente in dibattimento (sez. 2, n. 17089 del 28/02/2017, COGNOME Rv.
270091-01, con la quale la Corte ha ritenuto corretta l’affermazione dei giudici di merito secondo cui il teste aveva espressamente confermato, a seguito di
contestazioni, le dichiarazioni rese in precedenza, rispondendo alle sollecitazioni del pubblico ministero, a distanza di due anni e mezzo dai fatti, con l’espressione:
«Confermo quanto dichiarato, ripeto, non ho l’immagine nitida ma se l’ho dichiarato questo è».
La Corte d’appello di Messina ha infatti del tutto correttamente: a) rilevato come il Profilio, dopo oltre dieci anni dai fatti – distanza temporale che era
mnemonico -, avesse confermato di all’evidenza tale da giustificare il suo
deficit essersi a suo tempo recato presso i Carabinieri e la veridicità di quanto aveva
dichiarato agli stessi (Presidente: «ma quello che ha dichiarato ai Carabinieri è la verità sì o no?»; testimone Profilio: «sì»); b) conseguentemente recepito e
utilizzato – in conformità ai principi, affermati dalla Corte di cassazione, che si sono rammentati sopra – le dichiarazioni dibattimentali del Profilio utilizzate per le
contestazioni come se rese direttamente in dibattimento.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 06/06/2025.