Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13641 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13641 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/09/2023 del TRIB. LIBERTA di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG AVV_NOTAIO COGNOME RAGIONE_SOCIALE.
udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
Con l’ordinanza di cui in epigrafe il tribunale di Roma, adito ex art. 310, c.p.p., rigettava l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza con cui la corte di appello di Roma, in data 10.5.2023, aveva rigettato l’istanza volta a ottenere la revoca della misura cautelare del divieto di dimora applicata all’imputato in relazione al reato di tentato furto in concorso in abitazione ovvero l’applic:azione della suddetta misura con modalità meno gravose.
Avverso l’ordinanza del tribunale del riesame, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari poste a fondamento della misura cautelare in esecuzione.
Con requisitoria scritta del 17.11.2023, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, doti:. NOME COGNOME chiede che il ricorso venga rigettato.
3.1. Con motivi nuovi del 3.11.2023, pervenuti a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, chiede di voler dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.581, commi Iter ed 1-quater, c.p.p. in relazione agli artt.3, 24, 27 e 111 Cost., 6 e 7 CEDU, nonché, in via subordinata, di dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 89, terzo comma, d.lgs.150/22 sempre in relazione agli artt.3, 24, 27 e 111 Cost., 6 e 7 CEDU, riportandosi nel resto ai motivi di ricorso.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
Con particolare riferimento al primo motivo di ricorso, deve innanzitutto rilevarsi, come correttamente rilevato dal pubblico ministero nella richiamata requisitoria scritta, che nel caso in esame non vi è spazio per una rivalutazione dei gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente, posto che quest’ultimo è stato condannato, sia in primo grado
che in appello, per il reato ascrittogli, in relazione al quale era stata applicata la misura cautelare a suo carico.
Come GLYPH affermato, GLYPH infatti, GLYPH dall’orientamento GLYPH dominante GLYPH nella giurisprudenza di legittimità, la sopravvenienza di una sentenza di condanna per gli stessi fatti per i quali è stata applicata una misura cautelare personale preclude al giudice dell’appello incidentale “de libertate” la rivalutazione della gravità indiziaria, in assenza di una diversa contestazione del fatto addebitato e di nuovi elementi di fatto (cfr., ex plurimis’ Sez. 2, n. 5988 del 23/01/2014, Rv. 258209; Sez. 1, n. 55459 del 15/06/2017, Rv. 272398).
A tali principi si è puntualmente attenuto il giudice dell’impugnazione cautelare, evidenziando la mancanza di nuovi elementi in grado di modificare il giudizio già espresso in termini di colpevolezza, nemmeno rappresentati, peraltro, dal ricorrente, che si è limitato a contestare, nel primo motivo di ricorso, la sussistenza di “dati certi” su cui fondare una pronuncia di condanna al di là di ogni ragionevole dubbio, soffermandosi, peraltro, nonostante il titolo del primo motivo di ricorso facesse riferimento esclusivamente ai gravi indizi di colpevolezza, su profili riguardanti la valutazione in punto di esigenze cautelari, che, a suo avviso, non avrebbe tenuto conto del “comportamento degli imputati dal momento dei fatti” e della “non rilevante gravità del fatto oggettivamente evidenziabile”.
6. Anche i rilievi in punto di esigenze cautelari appaiono inammissibili, perché del tutto generici e versati in fatto, incentrati sulla tesi che “l’assoluta innpossidenza degli imputati ben potrebbe costituire una causa di esclusione di applicazione della misura aii sensi dell’art. 273, co. 2, c.p.p., avendo essa nel caso di specie valore di vera e propria causa di giustificazione ai sensi dell’art. 54, c.p.”
Il ricorrente non si confronta minimamente con l’articolata motivazione resa sul punto dal giudice dell’impugnazione cautelare, che ha rilevato, con argomentare del tutto immune da vizi, come nulla sia stato rappresentato dal prevenuto in grado di mutare in senso a lui favorevole il giudizio sulla sussistenza delle esigenze cautelar’, già espresso in sede
di appello, con puntuale riferimento alle modalità e circostanze del fatto (denotanti una professionalità di entrambi gli autori dell’azione criminosa) e alla personalità del ricorrente (“senza fissa dimora; privo, come il complice, di qualsivoglia fonte di reddito lecita documentata, identificato con documenti di identità rivelatisi contraffatti”).
L’originaria inammissibilità dei motivi di impugnazione, che rendono il ricorso tamquam non esset, determina anche l’inammissibilità dei motivi nuovi, ai sensi del disposto dell’art. 585, co. 4, ultimo periodo, c.p.p.
In ogni caso la denunciata questione di legittimità costituzionale appare sia irrilevante che manifestamente infondata.
Come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, da un lato, in tema di impugnazioni, è esclusa l’applicabilità all’appello cautelare dell’adempimento previsto, ai fini della notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, trattandosi di disposizione di stretta interpretazione e, pertanto, non applicabile analogicamente alle impugnazioni cautelari (cfr. Sez. 1, n. 29321 del 07/06/2023, Rv. 284996); dall’altro, è’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen., introdotti dagli artt. 33 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, e dell’art. 89, comma 3, del medesimo d.lqs., per contrasto con gli artt. 3, 24, 27, 111 Cost. e art. 6 CEDU, nella parte in cui richiedono, a pena di inammissibilità dell’appello, che, anche nel caso in cui si sia proceduto in assenza dell’imputato, unitamente all’atto di appello, sia depositata la dichiarazione o l’elezione di domicilio, ai fini della notificazione dell’atto di citazione, e lo specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla sentenza, trattandosi di scelta legislativa non manifestamente irragionevole, volta a limitare le impugnazioni che non derivano da un’opzione ponderata e personale della parte, da rinnovarsi “in limine impugnationis” ed essendo stati comunque previsti i correttivi dell’ampliamento del termine per impugnare e dell’estensione della restituzione nel termine (cfr., ex plurimis, Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, Rv. 285324).
Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12.12.2023.