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Appello cautelare PM: quando è ammissibile?

Un Pubblico Ministero (PM) ricorre contro il rigetto di una misura cautelare per un imputato di associazione a delinquere. Il Tribunale del Riesame dichiara l’appello inammissibile, ritenendolo una mera ripetizione della richiesta iniziale. La Corte di Cassazione annulla questa decisione, stabilendo che l’appello del PM era ammissibile perché, pur utilizzando argomenti già noti, li contestualizzava per criticare specificamente le motivazioni del primo giudice e introduceva nuovi elementi probatori che il Riesame avrebbe dovuto valutare. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame basato su un’analisi completa dei motivi dell’appello cautelare del PM.

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Pubblicato il 29 luglio 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello Cautelare del PM: La Cassazione Chiarisce i Requisiti di Ammissibilità

L’appello cautelare del PM rappresenta uno strumento fondamentale per l’accusa nel contestare decisioni a essa sfavorevoli in materia di libertà personale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento sui requisiti di ammissibilità di tale appello, specificando che la riproposizione di argomenti già presentati non ne determina automaticamente l’inammissibilità. Analizziamo insieme la vicenda e i principi di diritto affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla richiesta del Pubblico Ministero di applicare la misura della custodia in carcere nei confronti di un soggetto, indagato per gravi reati tra cui associazione per delinquere finalizzata a estorsioni, lesioni e truffe assicurative. Il Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) aveva rigettato tale richiesta, ritenendo non sufficientemente provata la partecipazione dell’indagato ai fatti contestati e la sussistenza di adeguati riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.

Contro questa decisione, il PM proponeva appello al Tribunale del Riesame.

La Decisione del Tribunale del Riesame e l’Appello Cautelare del PM

Il Tribunale del Riesame dichiarava l’appello del PM inammissibile. La motivazione principale era che l’atto di appello si sarebbe limitato a una mera reiterazione delle argomentazioni già contenute nella richiesta cautelare originaria, senza un confronto critico e specifico con le ragioni esposte dal G.I.P. nel provvedimento di rigetto. Secondo il Tribunale, il PM non aveva chiarito perché determinati elementi (come gli accertamenti su database assicurativi o le dichiarazioni di alcune vittime) dovessero essere valutati diversamente da come aveva fatto il primo giudice.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del PM, annullando con rinvio l’ordinanza del Tribunale del Riesame. I giudici di legittimità hanno ritenuto errata la dichiarazione di inammissibilità, stabilendo principi chiari sull’appello cautelare del PM.

La Corte ha sottolineato che l’appello non deve essere una mera copia della richiesta iniziale, ma deve contenere una critica specifica alla decisione impugnata. Tuttavia, ciò non significa che non si possano riutilizzare argomenti già esposti. L’essenziale è che tali argomenti siano funzionali a confutare il percorso logico-giuridico seguito dal primo giudice.

Nel caso specifico, la Cassazione ha rilevato che il PM, nel suo appello, aveva:
1. Proposto una nuova prospettazione in diritto: Aveva criticato il G.I.P. per non aver applicato correttamente le regole di valutazione della prova indiziaria, specialmente riguardo al collegamento tra i reati-fine (le singole truffe e lesioni) e il reato associativo.
2. Stigmatizzato un mancato apprezzamento probatorio: Aveva evidenziato come le dichiarazioni di un importante collaboratore di giustizia, prodotte in udienza, non fossero state minimamente considerate dal Tribunale del Riesame, nonostante fossero potenzialmente idonee a fornire riscontro alle accuse.

La Corte ha ribadito che il giudice dell’appello ha il dovere di esaminare tutti gli elementi portati alla sua attenzione, anche se prodotti solo in udienza. Omettere tale valutazione, come avvenuto nel caso di specie, costituisce una grave lacuna motivazionale che vizia il provvedimento.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La sentenza in esame rafforza un principio fondamentale della procedura penale: l’effettività del diritto di impugnazione. Le conclusioni che possiamo trarre sono le seguenti:

* Un appello cautelare del PM non è inammissibile solo perché ripropone argomenti già noti, se questi vengono usati per costruire una critica puntuale e ragionata della decisione del primo giudice.
* Il Tribunale del Riesame non può esimersi dal valutare tutti gli elementi probatori e le argomentazioni proposte dall’appellante, anche se nuovi o depositati durante l’udienza.
* La valutazione dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di associazione per delinquere deve tenere conto dei reati-fine, poiché la loro commissione è spesso la manifestazione concreta dell’operatività del sodalizio criminale.

Un appello del Pubblico Ministero può essere dichiarato inammissibile se ripropone gli stessi argomenti della richiesta iniziale?
No, non necessariamente. La Corte di Cassazione chiarisce che l’appello è inammissibile solo se si limita a un mero richiamo al contenuto della richiesta originaria senza criticare la decisione del giudice. Se gli argomenti, anche se già usati, sono riproposti per confutare specificamente il ragionamento del primo giudice, l’appello è ammissibile.

Cosa deve fare il Tribunale del riesame di fronte a un appello del PM?
Il Tribunale del riesame deve effettuare un esame approfondito dei motivi di appello e non può limitarsi a una valutazione superficiale. Deve considerare tutte le argomentazioni e gli elementi di prova indicati dal PM (come le dichiarazioni di collaboratori di giustizia), anche se prodotti in udienza, e valutare se questi possono mettere in discussione la decisione del primo giudice.

In un’accusa di associazione per delinquere, come si devono valutare le prove sui singoli reati-fine?
La prova dell’esistenza dell’associazione criminale può essere dedotta dalla commissione dei singoli reati (reati-fine) e dalle loro modalità esecutive. Il giudice deve considerare i reati-fine in un’ottica associativa, poiché attraverso di essi si manifesta l’operatività del sodalizio criminoso. Pertanto, la mancata valutazione di questi elementi costituisce una lacuna motivazionale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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