Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2543 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2543 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/07/2023 del TRIB. DEL RIESAME di ROMA
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO generale, NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
letta la memoria con motivi aggiunti depositata dall’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, con la quale la parte ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. L’ordinanza impugnata è stata pronunziata dal Tribunale del riesame di Roma il 3 luglio 2023 quale Giudice dell’appello cautelare ex art. 322-bis cod. proc. pen. nel procedimento a carico, tra gli altri, di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 416 cod. pen. e per vari reati fine di truffa, appropriazione indebita e falso. Il predetto è coinvolto nel procedimento in concorso con la moglie, NOME COGNOME, nei confronti della quale il Collegio ha adottato, in data odierna, sentenza di inammissibilità del ricorso su analogo provvedimento del Tribunale del riesame di Roma.
Il subprocedimento cautelare si innesta in un procedimento più ampio, nell’ambito del quale COGNOME è stato colpito da ordinanza applicativa di misura cautelare personale e da decreto di sequestro di una serie di beni immobili e
somme di denaro, siccome indiziato – quale avvocato – di far parte di un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di plurimi reati di truffa ai danni dell’RAGIONE_SOCIALE, di falso e di appropriazione indebita, commessi allo scopo di ottenere indebitamente, a nome di presunti clienti inconsapevoli o deceduti, l’equo indennizzo previsto dalla I. 89 del 2001 ovvero di incassare, altrettanto indebitamente, somme spettanti a soggetti esistenti vittoriosi in giudizio.
Il Tribunale del riesame si è pronunziato sull’appello cautelare promosso da COGNOME contro l’ordinanza del Tribunale dibattimentale di Roma – quale Giudice della cautela reale siccome autorità procedente – che aveva rigettato l’istanza di dissequestro avanzata dal predetto in relazione a due immobili, quello sito alla INDIRIZZO Roma e quello situato a Cortina d’Ampezzo, oltre che alla somma depositata presso la Banca d’Italia e oggetto nell’ordinanza di assegnazione n. 25759/08 del Tribunale di Roma.
Nell’ordinanza impugnata, il Tribunale del riesame ha svolto un’ampia premessa, tesa a chiarire quale sia lo stato del procedimento principale, quali le decisioni in materia cautelare che si sono stabilizzate nel corso del tempo e quale l’ambito ancora passibile di valutazione da parte del giudice della cautela. Limitando l’illustrazione a quanto funzionale all’odierna regiudicanda (e, quindi, alla valutazione del provvedimento concernente i beni prima indicati), i passaggi sono quelli di seguito indicati.
Il primo giugno 2013, NOME era stato colpito dall’ordinanza cautelare personale di custodia in carcere e dal decreto di sequestro preventivo di cui sopra; tale sequestro aveva riguardato, in particolare, per il reato associativo, alcuni beni immobili tra i quali – per quanto di odierno interesse – quello sito alla INDIRIZZO e quello situato a Cortina d’Ampezzo siccome considerati frutto del reinvestimento delle somme ricavate dall’attività illecita.
Il 15 giugno 2013, il Tribunale del riesame aveva confermato l’ordinanza cautelare personale predetta, salvo escludere l’aggravante della transnazionalità, provvedimento su cui si è formato il giudicato cautelare (stante l’inammissibilità del ricorso per cassazione presentato da COGNOME);
Il 5 luglio 2013, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma aveva ribadito il sequestro dei predetti immobili, prendendo atto dell’annullamento parziale dell’ordinanza cautelare personale quanto alla circostanza aggravante della transnazionalità, ma affermando che gli immobili erano stati acquistati con denaro proveniente dal conto corrente RAGIONE_SOCIALE 502134, alimentato con assegni circolari intestati a ricorrenti stranieri, concludendo che si trattasse di reimpiego di somme rinvenienti dai reati.
11 16 luglio 2013, il Tribunale del riesame aveva confermato il sequestro sugli immobili sopra indicati, ribadendo il nesso di pertinenzialità anche con il reato associativo.
L’11 agosto 2013, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma aveva disposto anche il sequestro delle somme giacenti presso la Tesoreria della Banca d’Italia da corrispondere agli indagati direttamente o quali patrocinatori sulla base dell’ordinanza di assegnazione n. 25759/08 emessa dal Giudice dell’esecuzione sino a concorrenza della somma di 141.412, 81 euro. Si trattava della somma oggetto di pignoramento presso terzi avviato anche da NOME per ottenere somme a lui dovute quale patrocinatore di soggetti che, invece, negavano di avere mai conferito mandato professionale al predetto.
Il 2 dicembre 2013, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma aveva emesso altro decreto di sequestro, anche per il reato associativo, questa volta sulla somma di 21.000 euro pure indicata nell’ordinanza di assegnazione n. 25759/08 e giacente presso la Tesoreria della Banca d’Italia, dovuta per spese di esecuzione a NOME (nella misura di euro 6.600) e a NOME COGNOME, sua coimputata.
Il 19 dicembre 2013, questa Corte aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto anche da COGNOME avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame del 16 luglio 2013, sostenendo che – ancorché alcuni acquisti risalissero al 2004 non si desumeva dagli atti che l’attività dell’associazione fosse solo posteriore a tale epoca.
Il 2 maggio 2015, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma aveva respinto la richiesta di dissequestro affermando – per quanto di interesse in ordine all’oggetto del presente giudizio – che gli immobili di INDIRIZZO e di Cortina «erano stati pagati dagli indagati con assegni intestati a presunti ricorrenti stranieri tratti su conti correnti RAGIONE_SOCIALE» e asserendo che il sequestro era stato disposto anche in ordine al reato associativo.
Il 30 ottobre 2015, detto provvedimento era stato confermato dal Tribunale del riesame di Roma adito dall’odierno ricorrente, che aveva evidenziato che il denaro per l’acquisto degli immobili proveniva da un conto – il n. 502134 – che era stato alimentato dal versamento di assegni intestati a stranieri o a residenti all’estero anche con data risalente al 24 gennaio 2012, data anteriore alla più antica compravendita, quella dell’immobile di INDIRIZZO.
Il 13 aprile 2018, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma aveva disposto il rinvio a giudizio del ricorrente anche per il reato associativo aggravato dalla transazionalità, oltre che per più reati di truffa e falso.
E’ attualmente in corso il dibattimento di primo grado, nel corso del quale sono state pronunziate sentenze di parziale assoluzione sia per prescrizione che perché il fatto non sussiste quanto ai reati fine.
Venendo ai fatti processuali che direttamente riguardano il presente subprocedimento, il Tribunale del riesame li ha così schematizzati.
Il 19 ottobre 2022, NOME (in uno alla COGNOME e a NOME COGNOME) aveva richiesto la revoca di tutti i sequestri disposti dal Giudice per le indagini preliminari a causa della maturata prescrizione dei reati fine e della natura sanzionatoria della confisca di valore.
Il 28 aprile 2023, il Tribunale di Roma aveva rigettato l’istanza assumendo che il sequestro sia degli immobili che delle somme ricomprese nell’ordinanza di assegnazione riguardasse anche il reato associativo aggravato dalla transnazionalità e che si trattasse di sequestro prodromico a confisca per equivalente.
Fatta questa premessa, il Tribunale del riesame ha respinto l’appello dello COGNOME sul provvedimento da ultimo menzionato, svolgendo le considerazioni di seguito sintetizzate.
NOME era legittimato a richiedere il dissequestro solo del 50 % della proprietà degli immobili (siccome cointestati con la moglie NOME COGNOME) e della somma di euro 6.600 riferibile a spese per l’esecuzione contemplate nell’ordinanza di assegnazione n. 25759/08, giacché la restituzione delle ulteriori somme gravate dal vincolo reale poteva essere reclamata solo dai soggetti che, di volta, in volta figuravano come ricorrenti nella cause intentate.
Qualsiasi questione di pertinenzialità dei beni in sequestro rispetto ai reati (sollevata solo con la memoria del 3 luglio 2023) era preclusa dall’effetto devolutivo dell’appello cautelare, il cui ambito è segnato sia dal contenuto dell’istanza sottoposta al primo Giudice della cautela, sia da quello dell’appello cautelare.
Il riesame della pertinenzialità – ha sostenuto, ancora, il Tribunale del riesame – sarebbe precluso altresì dal giudicato cautelare, formatosi sul punto a seguito delle decisioni del Tribunale del riesame del 16 luglio 2013 (stabilizzata dalla sentenza di inammissibilità di questa Corte sul ricorso proposto da NOME COGNOME) e del 30 ottobre 2015; .
Neanche era censurabile il vaglio sul fumus commissi delicti, sia perché COGNOME non lo aveva contestato nell’atto di appello, sia perché era intervenuto il decreto che dispone il giudizio.
L’oggetto dell’odierno giudizio sono i beni di cui sopra si è detto, rispetto ai quali a nulla serviva lamentare l’intervenuta prescrizione dei reati fine,
posto che il decreto di sequestro del primo giugno 2013 e quello del 5 luglio 2013 evidenziavano che il sequestro era stato ordinato anche in relazione al reato associativo, la cui consumazione iniziale risale a data antecedente al primo degli acquisti immobiliari (come rilevato sia dalla Corte di cassazione nella sentenza del 19 dicembre 2013 che nel procedimento del Tribunale del riesame del 13 ottobre 2015).
Non ha alcun rilievo l’esclusione della circostanza aggravante della transnazionalità avvenuta in sede di riesame personale (di cui non si era avveduto il Collegio del dibattimento nell’emettere il provvedimento di rigetto poi appellato), giacché il sequestro era stato disposto comunque come prodromico ad una confisca diretta (e non di valore), sia nel provvedimento del Giudice del 5 luglio 2013, sia in quelli successivi dell’Il agosto e del 2 dicembre 2023 (il che sgombera il campo da ogni questione in ordine all’applicazione dell’art. 578-bis cod. proc. pen.).
Così circoscritto l’ambito della valutazione a farsi, l’ordinanza impugnata ha concluso che la dedotta prescrizione del reato di cui all’art. 416 cod. pen. non è questione che possa essere sottoposta al Tribunale del riesame, sfornito della necessaria documentazione per verificare se vi fossero state cause di sospensione.
Ricorre contro questo provvedimento lo RAGIONE_SOCIALE a mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, che ha fatto precedere, ai veri e propri motivi di ricorso, un’illustrazione degli snodi procedimentali che avevano preceduto l’ordinanza impugnata e del contenuto di quest’ultima.
2.1. Il primo motivo di ricorso denunzia violazione di legge perché il Tribunale del riesame non avrebbe motivato in ordine al periculum in mora.
Ricordando i principi sanciti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 36959 del 2021, il ricorrente sostiene che, anche qualora il sequestro sia finalizzato alla confisca, occorre motivare circa il periculum in mora, motivazione che, nel provvedimento impugnato, mancherebbe, ancorché il Tribunale dell’appello cautelare abbia precisato che non si vede in ipotesi di confisca obbligatoria, ma di confisca facoltativa.
2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato. Il motivo reca, nella sua parte iniziale, la trascrizione di un passo dell’ordinanza impugnata, dell’istanza di dissequestro e dell’atto di appello cautelare, nonché il richiamo alla ratio decidendi del Tribunale del riesame, laddove ha sostenuto che la prescrizione dei reati fine non ha inciso sulla tenuta del vincolo reale, ancorato al delitto associativo. Si legge, poi, nel ricorso, che appare singolare il caso di cui al
capo 2), in cui era emerso che la presunta inconsapevole assistita NOME COGNOME non era affatto deceduta – come in tesi accusatoria – ma era viva e vegeta ed aveva conferito mandato professionale.
Ancora, quanto al reato di cui al capo U), era stato trascurato che è possibile, a norma del codice di procedura civile, azionare due procedure esecutive e che l’RAGIONE_SOCIALE, sulla base delle accuse mosse al ricorrente, aveva proposto opposizione all’esecuzione, opposizione che tuttavia era stata rigettata dal Giudice dell’esecuzione.
Quanto alla ritenuta provenienza della provvista per l’acquisto degli immobili dal conto corrente RAGIONE_SOCIALE n. 502134, il Tribunale avrebbe trascurato che tale denaro non è di proprietà dell’RAGIONE_SOCIALE, ma che esso deriva dall’attività professionale svolta in favore dei propri assistiti, con la conseguenza che persone offese sarebbero tali soggetti e non l’RAGIONE_SOCIALE. Ma nessun assistito – assume il ricorrente – aveva mai avanzato doglianze negli ultimi venti anni, mentre erano stati confermati i mandati professionali, sicché viene meno il sospetto che il ricorrente abbia commesso truffe prima del 2005. Il ricorrente prosegue contestando che vi sia stata appropriazione indebita di somme spettanti ai clienti e sostiene che mancherebbe un quadro indiziario circa il reato di associazione per delinquere e di riciclaggio. Incidentalmente – prosegue il ricorso – era venuto meno per prescrizione anche il reato di riciclaggio contestato all’AVV_NOTAIO, l’unico appiglio temporale per giustificare il sequestro, giacché i reati fine contestati coprono un arco temporale che parte dagli anni 2003 e 2004. Il ricorso prosegue con riflessioni teoriche sui principi di pertinenzialità, adeguatezza e proporzionalità. Le provviste con cui sono stati acquistati gli immobili derivano da attività professionale lecita del ricorrente perché non vi è alcun reato in grado di generare profitto che sia anteriore al 2005. A sostegno del suo assunto, il ricorrente afferma che la Corte di appello di Roma, in sede di prevenzione, ha escluso la sua pericolosità sociale per il periodo anteriore al 2009.
Il AVV_NOTAIO generale presso questa Corte ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
3.1. Quanto al primo motivo, ha osservato che la questione del periculum in mora non era stata posta nell’istanza di dissequestro.
3.2. In ordine al secondo motivo, ha rilevato il contrasto dell’impostazione censoria con il disposto di cui all’art. 325 cod. proc. pen.
Il 16 novembre 2023 l’AVV_NOTAIO ha depositato motivi aggiunti.
4.1. Dopo aver riepilogato gli snodi del procedimento, il ricorrente, in ordine al primo motivo di ricorso, ha ricordato che la confisca di cui trattasi è
quella facoltativa ed ha lamentato che il Tribunale del riesame non avesse motivato in merito alle doglianze sollevate in relazione al fumus boni iuris e al periculum in mora legittimanti il permanere delle misure cautelari reali inflitte, ricordando nuovamente la sentenza a Sezioni Unite n. 36959/21.
Il ricorrente, sostiene, quindi, che tutti gli assegni tratti dal c/c RAGIONE_SOCIALE 502134 sono frutto di ordinanze di assegnazione emesse contro l’RAGIONE_SOCIALE per sorti e spese liquidate da giudici della cognizione e dell’esecuzione (in forza di sentenze passate in giudicato) sia in favore dei ricorrenti che dei propri assistiti. Ma tale dato – si legge nel ricorso – se poteva avere un qualche rilievo all’epoca dell’applicazione della misura, allo stato appare irrilevante in quanto, con il rinvio a giudizio e la successiva cristallizzazione dell’imputazione, tali assegni sono finiti nel dimenticatoio giacché nessun assistito ha mai avanzato doglianze negli ultimi 35 anni nei confronti dei ricorrenti e, anzi, i clienti continuano ad alimentare un contenzioso contro l’RAGIONE_SOCIALE, riconfermando i mandati già rilasciati.
4.2. In relazione al secondo motivo di ricorso, il ricorrente osserva che il AVV_NOTAIO generale ha chiesto di dichiararsi l’inammissibilità ex art 325 cod. proc. pen., tuttavia non motivando tale richiesta.
Contesta, a seguire, che il Tribunale del riesame abbia ragionato in termini di giudicato cautelare in forza delle ordinanze del 16 luglio 2013 e del 31 ottobre 2015, ancorché l’istanza di dissequestro avesse quale presupposto logico il venir meno del presunto nesso eziologico sussistente tra i delitti contestati e i beni sottoposti a sequestro a seguito di sentenze intervenute successivamente al 2013 e 2015.
Il ricorrente, quindi, si sofferma sulla giurisprudenza di questa Corte in ordine alla delineazione del concetto di profitto quale risultato immediato e diretto del reato che lo presuppone; in ordine al profitto mediato, ricorda il ricorrente che l’esegesi di legittimità impone che sia fisiologicamente necessario individuare il profitto originario e, conseguentemente, accertare l’iter attraverso cui è avvenuta la sua trasformazione.
Nel caso di specie, le provviste con cui sono stati acquistati gli immobili non potrebbero mai avere un nesso di pertinenzialità con il reato, in quanto i presunti reati contestati coprono un arco temporale successivo all’acquisto degli immobili (anni 2003-2004) e l’unico appiglio temporale con cui è stato possibile estendere la pretesa ablatoria si risolve nel capo di imputazione del COGNOME il quale, a sua volta, ha visto emettersi nei suoi confronti pronuncia di prescrizione per le imputazioni antecedenti al 2005. Esclude, quindi, la parte che il reato associativo copra l’arco temporale di interesse per le stesse ragioni illustrate nel ricorso principale (legate al fatto che il procedimento penale principale ha ad oggetto oggi – dopo le diverse sentenze non definitive – i capi di imputazione inerenti al
falso per induzione, presuntivamente commesso nell’arco temporale che va dal 2008 al 2012 e, quindi, ben dopo il conseguimento della provvista per l’acquisto degli immobili).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Il primo motivo di ricorso denunzia la mancanza di motivazione in ordine al requisito del periculum in mora, che – sostiene la parte – il Tribunale dell’appello cautelare avrebbe dovuto valutare sulla base della pronunzia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 36959 del 24/06/2021, NOME, Rv. 281848, depositata I’ll ottobre 2021. Tale decisione ha sancito il principio secondo cui il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del perículum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege.
Ebbene, osserva il Collegio che la motivazione sul periculum in mora effettivamente manca nel provvedimento impugnato, ma che tale deficit non può comportare l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale del riesame. Ciò in quanto tale questione non era stata sollevata con i motivi di appello e neanche sembrerebbe essere stata posta con l’istanza di revoca del sequestro, ancorché, alla data della sua presentazione (19 ottobre 2022), la sentenza delle Sezioni Unite di cui sopra fosse stata già deliberata e depositata da tempo.
Quanto a quest’ultimo aspetto, si segnala che l’istanza cautelare non è agli atti – né risulta allegata al ricorso – ma che, dal contenuto del provvedimento del Tribunale dibattimentale di Roma che ha respinto l’istanza di dissequestro, si comprende che il tema non era stato affrontato dal richiedente. Inoltre, l’argomento “periculum” non era stato oggetto neanche dei motivi di appello; anzi, nell’atto di appello – nella parte relativa all’illustrazione dei presupposti del sequestro preventivo – si associava espressamente la necessità del periculum solo al caso di sequestro impeditivo, escludendola per quello prodromico alla confisca.
Tanto, come anticipato, ha un preciso riverbero sulla attuale possibilità di muovere al provvedimento impugnato critiche che conseguano al dictum di Sezioni Unite NOME.
E’ principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, infatti, quello secondo cui la cognizione del giudice di appello nel procedimento incidentale sulla libertà, di cui all’art. 310 cod. proc. pen. (le cui disposizioni sono richiamate dall’art. 322-bis cod. proc. pen. in tema di appello reale), è limitata ai punti della decisione impugnata attinti dai motivi di gravame (e a quelli con essi strettamente connessi e da essi dipendenti) (Sez. U, n. 8 del 25/06/1997, Gibilras, Rv. 208313; Sez. U, n. 46201 del 31/05/2018, E., Rv. 274092, in motivazione), che devono essere enunciati contestualmente alla richiesta e che fungono, analogamente a quanto previsto dall’art. 597, comma 1, cod. proc. pen., da delimitatori del potere di cognizione e di decisione attribuito al giudice del gravame. Quanto alle implicazioni dell’ambito dell’istanza avanzata, più di recente, si è sostenuto che, in tema di appello cautelare personale, stante la natura devolutiva del giudizio, la cognizione del giudice è circoscritta entro il limite segnato non solo dai motivi dedotti dall’impugnante, ma anche dal decisum del provvedimento gravato, sicché con l’appello non possono proporsi motivi nuovi rispetto a quelli avanzati nell’istanza sottoposta al giudice di primo grado, né al giudice ad quem è attribuito il potere di estendere d’ufficio la sua cognizione a questioni non prese in esame dal giudice a quo (Sez. 3, n. 30483 del 28/05/2015, COGNOME e altro, Rv. 264818; Sez. 1, n. 43913 del 02/07/2012, Xu, Rv. 253786). Da tali precedenti, non smentiti da pronunzie di segno contrario, si evince dunque che l’ambito valutativo del Giudice dell’appello cautelare è circoscritto da quello dell’istanza di revoca e, progressivamente, da quello dell’appello che segue al provvedimento di rigetto, donde non possono essere affrontati criticamente, con il ricorso per cassazione, punti delle decisione che non siano stati demandati al primo Giudice della cautela e poi al Collegio dell’appello. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
I principi appena evocati non sono in contrasto, ma anzi ricevono conferma dalla recentissima decisione delle Sezioni Unite di questa Corte (assunta in data di ieri), secondo cui «Nel giudizio di appello cautelare (art 310 cod. proc. pen.), celebrato nelle forme e con l’osservanza dei termini previsti dall’art. 127 cod. proc. pen., possono essere prodotti elementi probatori “nuovi” nel rispetto del principio di devoluzione, contrassegnato dalla contestazione, richiesta originaria e dai motivi contenuti nell’atto d’appello, e del contraddittorio». Pur non essendo state depositate le motivazioni, l’informazione provvisoria sopra riportata rende evidente che l’apertura ad elementi di novità riguarda solo nuove prove prima non dedotte, ma non anche i temi su cui la decisione del Giudice di appello deve
vertere, che restano quelli segnati dalla prima istanza e poi dai motivi di appello, secondo il richiamato “principio di devoluzione”.
Ritornando alla concreta regiudicanda, è evidente che l’applicazione di questi principi nel caso di specie comporta l’impossibilità, per il ricorrente, di affrontare oggi, per la prima volta, il tema della mancanza di motivazione circa il periculum in mora, dal che consegue il dovere del Collegio di dichiarare l’inammissibilità, in parte qua, del ricorso.
Il secondo motivo di ricorso – che deduce mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato – è parimenti inammissibile, questa volta perché fuoriesce dai limiti del giudizio di legittimità in materia di cautela reale.
A questo proposito, va ricordato che il sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in tema di sequestro è circoscritto al vizio di «violazione di legge» ex art. 325, comma 1, cod. proc. peri., nel quale rientrano, oltre che la denunzia di errori in diritto in senso proprio, anche quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o apparente o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice; esulano, invece, dal novero dei vizi deducibili l’illogicità manifesta e la contraddittorietà del costrutto argomentativo (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692; Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269296; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656; Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, COGNOME, Rv. 269119; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, COGNOME, Rv. 248129).
E’ poi appena il caso di osservare che, naturalmente, come in ogni delibazione affidata a questa Corte, giammai può essere richiesta in questa sede una rivalutazione che concerna il merito della regiudicanda, esulando tale scrutinio non solo dai limiti cognitivi della Corte di cassazione in materia di riesame reale, ma anche da ogni altra valutazione che sia rimessa al Giudice di legittimità.
E’, quindi, solo all’interno di detto ambito che può svolgersi il giudizio demandato al Collegio e tale precisazione è doverosa proprio in ragione dell’approccio adottato dal ricorrente, che ha espressamente enunciato, quali vizi del provvedimento impugnato, oltre che la mancanza, anche la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione e che addirittura, nel corpo del ricorso, oltre che dolersi di presunti vizi della motivazione adottata, indulge su
questioni di merito su cui giammai questa Corte può essere chiamata ad esprimersi, senza evidenziare specifiche e radicali falle motivazionali su temi prospettati nell’atto di appello.
Quanto ai GLYPH richiami GLYPH ai GLYPH principi GLYPH di GLYPH pertinenzialità, GLYPH adeguatezza GLYPH e proporzionalità, il ricorso si è limitato a riflessioni teoriche, prive di qualsiasi incidenza critica sul provvedimento impugnato.
L’inammissibilità del ricorso principale si estende ai motivi aggiunti, ai sensi dell’art. 585, comma 4, ultimo periodo, cod. proc. pen.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. (come modificato ex I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
Così deciso 1’1/12/2023.