Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27209 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27209 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE
avverso l’ordinanza del 25/03/2025 del Tribunale di Perugia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
letta la memoria dell’Avv. NOME COGNOME difensore del RAGIONE_SOCIALE, di replica alle conclusioni del Pubblico Ministero e con la quale il medesimo Avvocato, dopo avere ulteriormente argomentato in ordine ai motivi di ricorso, ha insistito per l’accoglimento dello stesso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25/03/2025, il Tribunale di Perugia, per quanto ancora interessa, rigettava l’appello che era stato proposto, ai sensi dell’art. 322-bis cod. proc. pen., dal RAGIONE_SOCIALE contro l’ordinanza del 18/02/2025 del Tribunale di Perugia con la quale era stata rigettata la richiesta dello stesso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di revoca del sequestro preventivo della somma di €
2.154.370,00 che era stato disposto nei confronti di RAGIONE_SOCIALE con il provvedimento del 18/02/2020 del G.i.p. del Tribunale di Perugia.
L’indicato sequestro era stato disposto dal G.i.p. del Tribunale di Perugia in funzione della confisca del profitto del reato di autoriciclaggio (art. 648-ter.1 cod. pen.) che sarebbe stato commesso da NOME COGNOME con riferimento al denaro proveniente dalla commissione, da parte dello stesso COGNOME, nella qualità di amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE, di alcuni presupposti reati tributari.
Avverso l’indicata ordinanza del 25/03/2025 del Tribunale di Perugia, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME il RAGIONE_SOCIALE affidato a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, il Fallimento ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 321 dello stesso codice per ««mancanza assoluta di motivazione ovvero presenza di una motivazione apparente in relazione alla (in)sussistenza del fumus commissi delitti» del reato di autoriciclaggio.
Il Fallimento ricorrente contesta anzitutto l’affermazione del Tribunale di Perugia secondo cui «va evidenziato come alcuna doglianza inerente alla motivazione dell’ordinanza genetica della misura con riferimento al fumus dei contestati reati e al periculum in mora sia stata avanzata con l’istanza di revoca, e le doglianze in tal senso avanzate con l’appello cautelare ex art. 310 c.p.p., avverso l’ordinanza reiettiva della predetta richiesta, appaiono inammissibili».
A proposito di tale affermazione del Tribunale di Perugia, il Fallimento ricorrente deduce che, «remesso che, nell’istanza di revoca veniva dato atto del venir meno dei presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora (tant’è vero che il Tribunale del riesame, con l’accoglimento parziale dell’appello in punto di reati fiscali, ha recepito le ragioni di impugnazione espresse nell’istanza di revoca), in tale atto non è necessario motivare circa l’insussistenza dei requisiti dell’ordinanza genetica, dal momento che la revoca può essere riferita a fatti successivi che possono incidere sul mantenimento della misura (come nel caso che ci occupa)». Il RAGIONE_SOCIALE deduce altresì che nell’appello cautelare che era stato da esso proposto «vi è esplicita argomentazione in ordine alla insussistenza dei presupposti per l’emissione o il mantenimento della misura, tanto è vero che il Tribunale del Riesame si è espresso sul fumus».
Ciò posto, il Fallimento ricorrente lamenta che la motivazione sul fumus del reato di autoriciclaggio sarebbe meramente apparente, in quanto il Tribunale di Perugia si sarebbe «limitato a riproporre la condotta indicata nel capo d’imputazione sub. M) e riferito al delitto di cui all’art. 648 ter 1 C.P., senza alcuna argomentazione circa il concreto impiego che avrebbe ostacolato l’identificazione della provenienza delittuosa».
Il Fallimento argomenta che, anche dando per ammesso che la somma di denaro in questione provenisse «dall’evasione IVA qualificato come reato presupposto», il Tribunale di Perugia non si sarebbe «per nulla soffermato su quelle che sarebbero state le condotte integranti il delitto di autoriciclaggio (cioè l’impiego, la sostituzione, il trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali, o speculative del denaro o di altre utilità provenienti dall commissione del delitto presupposto, in modo da ostacolarne concretamente l’identificazione della loro provenienza)», ma si sarebbe «limitato a “ritrascrivere” il capo d’imputazione, dando per commessa la condotta in esso contenuta».
Il Tribunale di Perugia avrebbe solo sostenuto che, a seguito della commissione del reato presupposto «di evasione IVA» (così il ricorso), si sarebbe ottenuto del denaro che costituiva il profitto dello stesso reato, senza però dare conto di come la condotta di NOME COGNOME avrebbe integrato il delitto di autoriciclaggio, in assenza di alcuna «prova di questa condotta di reimpiego di capitali provenienti da delitto, con l’intenzione di ostacolare l’identificazione dell loro provenienza», sicché non sarebbe stato possibile ritenere la sussistenza del fumus del delitto di autoriciclaggio, in mancanza di un concreto compendio indiziario in tale senso.
Il ricorrente lamenta anche che il Tribunale di Perugia abbia individuato in C 2.154.370,00 il profitto del delitto di autoriciclaggio «quando invece questa somma, a tutto concedere, può essere considerata un’appropriazione di quanto nella disponibilità della società RAGIONE_SOCIALE soggetto con personalità giuridica distinta e di fatto danneggiato (e a maggior ragione tale qualifica riveste la massa dei creditori del fallimento qui ricorrente) dalla condotta della persona fisica, ma non certamente il profitto del reato di cui all’art. 648 ter 1 C.P. che deve avere ben altra connotazione».
2.2. Con il secondo motivo, il Fallimento ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 321, comma 2, dello stesso codice per ««mancanza assoluta di motivazione in relazione alla (in)sussistenza del periculum in mora».
Il RAGIONE_SOCIALE lamenta che né nel provvedimento “genetico”, né nell’ordinanza del 20/02/2025 del Tribunale di Perugia con la quale è stata rigettata la richiesta di revoca del sequestro, né nell’impugnata ordinanza del 25/03/2025 del Tribunale del riesame di Perugia vi sarebbe alcuna motivazione circa il requisito del sequestro preventivo finalizzato alla confisca costituito dal periculum in mora, motivazione della quale le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza “NOME” (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848-01), hanno affermato la necessità.
Il ricorrente deduce che la motivazione sulle esigenze cautelari «doveva essere formulata anche a seguito dell’istanza di revoca proposta dallo scrivente fallimento (procedura concorsuale che, non a caso, utilizzerebbe gli attivi dissequestrati per riparti che, essendo stati soddisfatti i privilegi anterior andrebbero proprio a favore dell’Erario)», atteso che il periculum in mora che è necessario per disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca deve «pur sempre essere concreto ed attuale, e non già meramente congetturale».
Il Fallimento ricorrente rappresenta ancora che l’obbligo di motivazione sul periculum in mora sussisterebbe anche qualora il profitto non sia confiscabile in forma diretta ma solo per equivalente e che la mancanza di motivazione del provvedimento “genetico” sullo stesso periculum in mora non potrebbe essere integrata dal Tribunale del riesame.
2.3. Con il terzo motivo, il Fallimento ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 648-quater cod. pen. per «errata qualificazione del sequestro nei confronti della società come per equivalente».
2.3.1. Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE contesta anzitutto che, diversamente da quanto sarebbe stato affermato dal Tribunale di Perugia nell’ultimo capoverso della pag. 6 dell’ordinanza impugnata, «nel dispositivo dell’ordinanza genetica non vi è alcun riferimento al fatto che il sequestro contro RAGIONE_SOCIALE è da ritenersi per equivalente, trattandosi quest’ultima di società schermo. Anche nella motivazione non vi è alcun riferimento in tal senso».
2.3.2. Il ricorrente lamenta poi, «in questa cornice», la violazione dell’art. 648-quater, secondo comma, cod. pen., con riferimento a quanto affermato dal Tribunale di Perugia nel penultimo capoverso della pag. 6 dell’ordinanza impugnata.
Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE contesta che «’affermazione che la società RAGIONE_SOCIALE fosse una società schermo è una deduzione cui arriva il Giudice del Riesame, senza però una motivazione» e rappresenta in proposito che la suddetta società «era realmente titolare di un’area adibita a deposito di carburanti dislocati in apposite cisterne (tant’è che il sequestro fu disposto anche su oltre un milione di litri di gasolio) ed aveva una operatività sul territorio, esercitata con la presenza di numerosi dipendenti: se poi le direttive per l’attività azionale arrivassero dal Lamusta anziché dagli amministratori di diritto, ciò non può rilevare per qualificare la fallita come società schermo».
Il ricorrente deduce peraltro che, in ogni caso, anche a ritenere che RAGIONE_SOCIALE fosse una «società schermo», il Tribunale di Perugia sarebbe caduto nell’errore di «”estendere” l’applicazione dell’art. 648 quater, 2° comma, C.P., ai
beni di una società schermo in relazione al profitto (asseritamente) conseguito dall’agente e derivante dal reato di autoriciclaggio».
Il RAGIONE_SOCIALE rappresenta al riguardo che il Tribunale di Perugia, nel fare riferimento, sempre nel penultimo capoverso della pag. 6 dell’ordinanza impugnata, «agli asserti pacifici della giurisprudenza di legittimità», avrebbe inteso richiamare le affermazioni che furono fatte dalle Sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza “COGNOME” (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, COGNOME, Rv. 258646-01, 258647-01 e 258648-01) e, in particolare, il principio, che fu enunciato in tale sentenza, secondo cui «on è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio».
Tale richiamo alla sentenza “COGNOME” sarebbe, però, inconferente, atteso che essa concerne il profitto derivante da reati tributari e non dall’autoriciclaggio, nel quale caso non sarebbe «possibile procedere con il sequestro per equivalente nei confronti dell’ente, anche se considerato (erroneamente) società schermo». Il Fallimento ricorrente rappresenta in proposito che, nell’autoriciclaggio, «il profitto si concretizza nel momento in cui vengono realizzate condotte finalizzate a impiegare, sostituire o trasferire in attività economiche denaro, beni o altre utilità provenienti dalla commissione di un delitto presupposto, in modo che sia impedita concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa», con la conseguenza che sarebbe «evidente come la dimostrazione della sussistenza del profitto del reato di cui all’art. 648 ter 1 C.P. necessiti di un quid pluris rispetto a quello derivante dai reati tributari, non presente nel caso che qui ci occupa».
2.4. Con il quarto motivo, il Fallimento ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione di legge per «difetto assoluto di motivazione in relazione alle doglianze rappresentate nell’appello cautelare e non prese in considerazione dal Tribunale del Riesame».
Il ricorrente espone che, con l’ordinanza del 20/02/2025, il Tribunale di Perugia aveva rigettato la richiesta di revoca del sequestro preventivo per la ragione che «nel giudizio di merito non risulta ancora avviata la fase dedicata all’escussione dei testi», sicché, «llo stato, pertanto, i presupposti giustificati del sequestro preventivo – nei termini di cui al provvedimento genetico del vincolo – debbono ritenersi tuttora permanenti».
Ciò esposto, il RAGIONE_SOCIALE rappresenta che, con il proprio atto di appello cautelare, aveva denunciato «un palese difetto di motivazione» della suddetta ordinanza del 20/02/2025, in quanto «non si comprendeva, infatti, sulla base di quale ragionamento logico/giuridico la mancata escussione dei testi
potesse rilevare in ordine alle motivazioni su cui si fondava l’istanza di revoca e cioè che il RAGIONE_SOCIALE non sia stato rinviato a giudizio ex D. Lgs. 231/2001, ovvero che al medesimo non sia riferibile alcun reato fiscale nel procedimento penale in oggetto». Motivazioni, queste, rispetto alle quali «il fatto che non fossero stati ancora sentiti i testimoni (peraltro senza indicazioni di quali sarebbero e su quali circostanze necessarie per deliberare in ordine all’istanza avrebbero dovuto riferire), nulla rilevava».
Tanto esposto e rappresentato, il RAGIONE_SOCIALE lamenta che il Tribunale di Perugia nulla avrebbe statuito in ordine all’indicato difetto di motivazione dell’ordinanza del 20/02/2025 con la quale era stata rigettata la richiesta di revoca del sequestro, «argomentando unicamente in relazione all’ordinanza genetica della misura».
Il RAGIONE_SOCIALE afferma che, poiché nel provvedimento di rigetto della richiesta di revoca del sequestro che era stato impugnato con l’appello cautelare «vi era difetto di motivazione in relazione a quelle che sono state le doglianze contenute nell’istanza di revoca, il Tribunale del Riesame avrebbe dovuto annullarlo, con ogni conseguente statuizione».
La denunciata violazione di legge consisterebbe pertanto nel fatto che «il tribunale del riesame nulla dice in relazione alle censure che erano contenute nell’appello cautelare, afferenti, a loro volta, ad un difetto assoluto di motivazione del provvedimento di rigetto reso dal tribunale di Perugia in data 20.02.2025».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi due motivi non sono consentiti.
Con tali motivi, il Fallimento ricorrente ha reiterato le doglianze in ordine all’insussistenza del fumus del reato di autoriciclaggio (primo motivo) e delle esigenze cautelari (secondo motivo).
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del riesame di Perugia ha ritenuto tali doglianze inammissibili, in quanto non erano state precedentemente sottoposte al vaglio del Tribunale di Perugia con la richiesta di revoca del sequestro (pag. 3, terzo capoverso, dell’ordinanza impugnata).
Tale rilievo è esatto in punto di fatto processuale ed è pienamente corretto in diritto.
In punto di fatto, si deve infatti rilevare che, con la richiesta di revoca de sequestro, il RAGIONE_SOCIALE nulla aveva dedotto con riguardo alla sussistenza del fumus del reato di autoriciclaggio e del periculum in mora.
Lo stesso Fallimento aveva infatti fondato la propria richiesta di revoca del sequestro esclusivamente sulla considerazione che: «- come si evince da tale provvedimento , tra i soggetti per i quali è
stata esercitata l’azione penale ai sensi del D. Lgs. 231/2001 non vi è la società RAGIONE_SOCIALE (ora in fallimento) – su queste premesse, il sequestro a suo tempo disposto ai sensi dell’art. 53 D. Lgs. 231/2001 per C 2.154.370,00 nei confronti di RAGIONE_SOCIALE dovrà essere revocato, posto che tale disposizione consente l’emissione di un provvedimento cautelare finalizzato alla confisca in caso di condanna, ma nel caso di specie mai ci potrà essere condanna dell’ente ex D. Lgs. 231/2001, dal momento che nei suoi confronti non è stata esercitata l’azione penale».
Ciò acclarato in punto di fatto processuale, si deve affermare la correttezza in diritto dell’affermazione del Tribunale di Perugia dell’inammissibilità delle due sopra menzionate doglianze – con la conseguente inammissibilità dei due motivi di ricorso per cassazione con i quali le stesse doglianze sono state reiterate – alla luce del principio, che è consolidato nella giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo cui, in tema di appello cautelare, la cognizione del giudice, in ossequio al principio della “doppia devoluzione”, è circoscritta ai motivi dedotti con l’atto di impugnazione, che, a loro volta, non possono esorbitare dal thema decidendum sottoposto al giudice di prima istanza, salvo il potere di quello del gravame di dichiarare le nullità assolute, rilevabili anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (sez. 4, n. 576 del 18/12/2024, dep. 2025, Baffa, Rv. 287322-01, relativa a una fattispecie in cui la Corte ha annullato l’ordinanza, pronunciata in sede di appello cautelare reale, che aveva accolto la richiesta di dissequestro di un’aviopista, non formulata con l’istanza originaria, volta a ottenere la mera autorizzazione all’uso temporaneo del bene da parte di terzi, ma avanzata, per la prima volta, mediante impugnazione).
In termini analoghi, è stato affermato che, in tema di appello cautelare, la cognizione del giudice, per la natura devolutiva del gravame, è circoscritta entro il limite dei motivi dedotti dall’appellante, oltre che di quanto deciso con il provvedimento gravato, sicché non possono proporsi motivi nuovi rispetto a quelli avanzati nell’istanza sottoposta al giudice di prime cure, né al giudice ad quem è attribuito il potere di estendere la propria cognizione ex officio a questioni non esaminate dal giudice a quo, salvo che si tratti di nullità assolute, rilevabili anche d’ufficio in ogni stato e grado (Sez. 2, n. 6597 del 11/01/2024, Salvati, Rv. 285931-01, relativa ad appello avverso l’ordinanza di rigetto di istanza di dissequestro e restituzione di somme, avanzata dalla difesa di indagato per il delitto di usura, in cui era stata dedotta, per la prima volta avanti al giudice del gravame, la questione dell’inutilizzabilità di intercettazioni eseguite nel corso del procedimento, in quanto autorizzate in relazione a diverso delitto).
Tali conclusioni trovano conferma nei principi che sono stati affermati da Sez. U, n. 15403 del 30/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286155-01, con la quale le
Sezioni unite hanno chiarito che «la cognizione del giudice dell’appello cautelare è perimetrata non solo dai motivi dedotti con l’impugnazione, ma altresì dal thema decidendum sottoposto al giudice che ha adottato il provvedimento impugnato, con la conseguenza che non possono con l’appello essere proposti motivi nuovi rispetto a quelli articolati con l’istanza proposta al giudice che procede», sicché «la domanda stabilisce una litispendenza oggettiva delimitata tra il chiesto e il pronunciato che circoscrive anche l’ambito del sindacato del giudizio di impugnazione».
Le Sezioni unite hanno pertanto concluso che «il limite della “doppia devoluzione” è implicito nella regola posta dall’art. 597, comma 1, cod. proc. pen., nella misura in cui tale disposizione, nel perimetrare la cognizione del giudice dell’appello “ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti” logicamente presuppone che questi siano stati affrontati (ovvero avrebbero dovuto essere affrontati) dal provvedimento impugnato in quanto oggetto dell’istanza introduttiva dell’incidente cautelare».
Come è già stato ritenuto, in modo pienamente condivisibile, da Sez. 4, n. 576 del 18/12/2024, dep. 2025, COGNOME, cit., tali principi, ancorché siano stati affermati dalle Sezioni unite con riferimento a una questione che riguardava l’appello in materia di misure cautelari personali, si devono reputare valevoli anche con riguardo all’appello avverso i provvedimenti in materia di misure cautelari reali, atteo che anche per tale rimedio opera il richiamato principio devolutivo.
Del tutto nuova e, quindi, anch’essa non consentita, è poi la doglianza, che è stata prospettata nell’ambito del primo motivo, che ha riguardo alla consistenza del profitto del reato di autoriciclaggio.
Il terzo motivo è fondato nel suo primo profilo (di cui al punto 2.3.1 della parte in fatto), nei termini che seguono.
Come si è visto esaminando il primo e il secondo motivo, il RAGIONE_SOCIALE aveva richiesto la revoca del sequestro sulla considerazione che, premesso che tale provvedimento sarebbe stato adottato ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 – e, quindi, come funzionale alla confisca del profitto del reato di autoriciclaggio che sarebbe stata eventualmente disposta nei confronti di RAGIONE_SOCIALE «con la sentenza di condanna», a norma dell’art. 19 dello stesso d.lgs. n. 231 del 2001 -, poiché nei confronti della stessa RAGIONE_SOCIALE non era stato disposto il giudizio per l’illecito amministrativo dipendente dal reato di autoriciclaggio, con la conseguente impossibilità di una futura condanna dell’ente e, quindi, di una confisca nei suoi confronti ex art. 19 del d.lgs. n. 131 del 2001, sarebbe venuto meno il presupposto stesso del sequestro.
Il Tribunale del riesame di Perugia ha dato atto del fatto che, «ome evincibile dal decreto penale, non risulta esercitata in giudizio l’azione ex lege
231/2001 ai fini dell’accertamento dell’illecito amministrativo» (pag. 4, penultimo capoverso, secondo periodo, dell’ordinanza impugnata).
Lo stesso Tribunale ha però ritenuto che, «conformemente agli asserti pacifici della giurisprudenza di legittimità», potesse comunque «essere disposto il sequestro per equivalente ex art. 648 quater co. 2 c.p., relativamente al reato di autoriciclaggio, nei confronti di una società schermo» (pag. 6, penultimo capoverso, secondo periodo, dell’ordinanza impugnata).
Tuttavia, a prescindere dalla genericità del riferimento ai menzionati «asserti pacifici della giurisprudenza di legittimità» – che il Fallimento ricorrente ha non illogicamente inteso come relativo alla citata sentenza “Gubert” delle Sezioni unite della Corte di cassazione (ma si veda anche Sez. 2, n. 45520 del 27/10/2015, Terlizzi, Rv. 265532-01, con la quale è stata affermata la possibilità di disporre il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente prevista dall’art. 322-ter cod. pen. sui beni dell’ente quando questo rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni) -, si deve osservare che, nel qualificare il sequestro nei confronti di RAGIONE_SOCIALE come funzionale alla confisca per equivalente ai sensi dell’art. 648-quater, comma 2, cod. pen. (dovendosi ritenere che la stessa RAGIONE_SOCIALE rappresentasse solo uno schermo attraverso il quale il COGNOME agiva come effettivo titolare dei beni), il Tribunale del riesame di Perugia avrebbe dovuto chiarire anzitutto se una tale finalità del sequestro fosse stata anch’essa indicata nella richiesta del pubblico ministero.
Infatti, considerato che un tale “petitum” risulta evidentemente diverso da quello costituito dalla domanda di cautela funzionale alla confisca nei confronti dell’ente ex art. 19 del d.lgs. n. 231 del 2001, l’applicazione del sequestro preventivo in funzione della confisca per equivalente ai sensi dell’art. 648-quater, comma 2, cod. pen. (per essere RAGIONE_SOCIALE solo uno schermo attraverso il quale il COGNOME agiva come effettivo titolare dei beni) postulava come indefettibile presupposto una specifica domanda del pubblico ministero in tale senso, in assenza della quale l’esercizio, da parte del giudice, di uno “ius variandi”, tale da consentirgli di debordare dalla stessa domanda, equivarrebbe ad attribuire al medesimo giudice un potere officioso che il legislatore ha inteso invece escludere (art. 321, comma 1, cod. proc. pen.).
In secondo luogo, il Tribunale del riesame avrebbe dovuto altresì chiarire se l’eventuale domanda del pubblico ministero di applicazione del sequestro preventivo in funzione della confisca per equivalente ai sensi dell’art. 648-quater, comma 2, cod. pen., fosse stata accolta dal G.i.p. del Tribunale di Perugia con il provvedimento “genetico” del 18/02/2020.
A questo proposito, si deve osservare come un tale chiarimento fosse tanto più necessario alla luce: a) sia dell’affermazione del G.i.p. del Tribunale di Perugia
secondo cui «è possibile procedere al sequestro del profitto di reato rinvenibile in giacenza sui conti correnti intestati alla società, o acquisibile dai beni fungibili o
infungibili in cui lo stesso si è trasformato, tenuto conto del fatto che l’art. 648
ter.1
c.p. è stato inserito nel novero di quei reati per i quali anche gli enti devono rispondere, secondo quanto stabilito dal D.Lvo n. 231/01» (pag. 50, penultimo
capoverso, del provvedimento “genetico”); b) sia del fatto che, nel dispositivo del medesimo provvedimento “genetico”, è indicato che il sequestro «nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE per l’importo di C 2.154.370,00» era disposto «isto l’art. 648
ter
1 c.p. ed il D.Igs. 231/01» (pag. 54).
In definitiva, il Tribunale del riesame di Perugia, a fronte delle contestazioni del Fallimento RAGIONE_SOCIALE ha omesso di chiarire preliminarmente quale
fosse lo specifico oggetto (o gli specifici oggetti) della domanda cautelare del pubblico ministero e in che termini tale domanda fosse stata accolta dal G.i.p. del
Tribunale di Perugia, il che costituisce il necessario presupposto di qualsiasi valutazione in ordine alla sussistenza o no delle violazioni di legge che sono state lamentate con il secondo profilo del terzo motivo (di cui al punto 2.3.2 della parte in fatto) e con il quarto motivo. Profilo e motivo il cui esame è pertanto assorbito dall’accoglimento del primo profilo del terzo motivo.
L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, al Tribunale di Perugia, competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod., proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Perugia, competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen. Così deciso il 26/06/2025.