Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33605 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33605 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a Milano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 5/07/2022 del Tribunale di Ancona
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione; la difesa, AVV_NOTAIO, ha fatto pervenire memoria di replica, a mezzo p.e.c. del 30 aprile 2024, con la quale, ulteriormente argomentando i motivi di impugnazione, ha concluso chiedendo la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Ancona e, comunque, la declaratoria di prescrizione del reato o, in subordine, dichiarare la nullità della sentenza per vizio di motivazione.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata il Tribunale di Ancona ha condanNOME NOME COGNOME, in relazione al reato di cui agli artt. 81, secondo comma, 110 e 681 cod. pen., alla pena di giorni cinque di arresto ed euro 5000 di ammenda, convertita la pena detentiva ex art. 53 legge 689 del 1981 in euro 1250 di ammenda.
2.Avverso l’indicata pronuncia l’imputato ha proposto appello, a mezzo del difensore, AVV_NOTAIO, denunciando vizio di motivazione e mancata modifica del capo di imputazione.
La sentenza impugnata è carente perché la motivazione resa non tiene conto degli esiti dell’istruttoria dibattimentale, in particolare, della testimonian del teste COGNOME, resa in data 7 settembre 2021, all’esito della quale il Pubblico ministero ha ritenuto di modificare il capo di imputazione aggiungendo ai fatti già contestati, anche le condotte commesse il 29 e del 30 dicembre 2018.
La difesa, invece, deduce che, secondo le dichiarazioni del teste, agente del Commissariato di Senigallia risulta che la polizia giudiziaria ha effettuato l’accesso nel locale denomiNOME Sugar Suite solo nelle due serate del 30 dicembre 2018 e del 6 gennaio 2019, mentre per tutte le altre date, anche indicate nel capo di imputazione non è stata svolta alcuna verifica presso il locale.
Peraltro, la testimonianza resa dal teste indicato sarebbe priva di rilevanza probatoria perché lo stesso ha dichiarato di non aver partecipato, personalmente, al sopralluogo ma di aver appreso la vicenda de relato. Il teste, dunque, ha deposto su fatti che non sono a sua conoscenza diretta, per non aver partecipato agli interventi del 30 dicembre 2018 e del 6 gennaio 2019.
Negli altri casi, rileva il ricorrente, non sono stati svolti accertamenti.
Si sostiene, poi, che l’imputato si occupa di gestire strutture alberghiere che nulla hanno a che fare con l’intrattenimento danzante, come dimostrato dalle prove documentali prodotte.
Diversamente, il giudice ha concluso , ritenendo l’imputato un professionista esperto nel settore della ristorazione e dell’intrattenimento e che, quindi, non poteva non essere consapevole della qualità dell’attività esercitata presso l’indicato locale.
Anche con riferimento alla deposizione del teste di polizia giudiziaria COGNOME, responsabile del Commissariato RAGIONE_SOCIALE Senigallia, l’atto di appello muove la contestazione secondo cui le dichiarazioni confermano l’assenza di undici sintomatici dello svolgimento di attività di intrattenimento.
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La difesa avrebbe evidenziato che a cena vi erano oltre cento persone, che il locale aveva una capienza di oltre centosettanta persone le quali, terminata la cena, si intrattenevano nel locale in quanto vi era la musica mentre non sarebbe emersa alcuna prova che il locale si fosse trasformato in discoteca.
Si assume, del resto, che gli stessi video versati in atti non riprendono immagini che attestano lo svolgimento di attività di discoteca.
In diritto il ricorrente osserva che il Tar Puglia si è occupato della norma di cui all’art. 68 TULPS che prevede che, senza licenza del questore, non si possono dare in luogo pubblico, aperto, esposto al pubblico, feste da ballo né altri simili spettacoli e intrattenimenti, sancendo con la sentenza 3171 del 2015 che la norma può trovare applicazione soltanto quando la serata musicale costituisce attività primaria esercitata dall’ intrattenitore.
Nel caso di specie, invece, sostiene il ricorrente che l’attività primaria svolta era quella della somministrazione di cibo e bevande, in assenza di indici sintomatici come il pagamento del biglietto per l’ingresso, la maggiorazione del costo per la consumazione che, combinati tra loro, consentono di affermare la natura primaria dell’intrattenimento musicale.
Di qui la conferma che il titolare dell’esercizio dedito alla ristorazione non avrebbe dovuto chiedere alcuna autorizzazione per la serata musicale.
Del resto, si deduce che l’imputato ha dimostrato di aver tenuto un comportamento lecito e di essersi munito di autorizzazioni Siae, rispettando l’ordinanza comunale prodotta dalla difesa, di avere anche depositato perizia tecnica attestante il rispetto dei limiti dei decibel.
3.11 Sostituto Procuratore generale ha concluso con requisitoria scritta, stante l’assenza di tempestiva richiesta di trattazione orale, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d. I. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, come prorogato, chiedendo la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione.
La difesa, AVV_NOTAIO, ha fatto pervenire memoria di replica con la quale, ulteriormente argomentando i motivi di impugnazione, ha concluso chiedendo la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Ancona trattandosi di gravame proposto avverso provvedimento da reputare appellabile e, comunque, la declaratoria di prescrizione del reato o, in subordine, dichiarare la nullità della sentenza per vizio di motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.L’innpugnazione, qualificata come ricorso per cassazione, è inammissibile per le ragioni di seguito indicate.
1.1. Va premesso, sull’invocata ammissibilità dell’appello avverso la sentenza impugnata, che l’art. 593 cod. proc. pen., nel disciplinare i casi di appello, al comma 3 statuisce che “sono in ogni caso inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda o la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità”.
Per quanto di interesse in relazione alla presente impugnazione, l’attuale formulazione della norma è stata introdotta dall’art. 34 d. Igs 20 ottobre 2022 n. 150 (cd. Riforma Cartabia) che, al testo precedente, dopo le parole “pena pecuniaria” ha aggiunto l’inciso “o la pena sostituiva del lavoro di pubblica utilità”.
Il testo previgente era stato a sua volta interpolato dall’ art 2, comma 1, lett. a), d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, il quale aveva inserito fra le parole “son inappellabili” l’espressione “in ogni caso”, ad esprimere in termini di assolutezza e tassatività l’inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena della ammenda (Sez. 3, n. 47031 del 14/09/2022, Sobrio, Rv. 283825 in motivazione).
In ogni caso, si osserva che l’interpretazione dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. anche prima dell’entrata in vigore della cd. Riforma Cartabia nella parte in cui indica come inappellabili le sentenze di condanna «per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda» in particolare se essa riguardi le condanne per reati che prevedono la sola pena dell’ammenda quale sanzione edittale o anche le condanne nelle quali l’ammenda è stata applicata a seguito di fatti contingenti, come la concessione di attenuanti ad effetto speciale, quale l’art. 4, comma 3, legge n.110 del 1975, o addirittura un mero errore del giudicante, non è stata sempre univoca.
Parte della giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., nel prevedere l’inappellabilità delle sentenze di condanna relative a contravvenzioni per le quali è stata applicata la sola ammenda, ha inteso riferirsi alle contravvenzioni astrattamente punibili con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa e non anche alle contravvenzioni astrattamente punibili con pena congiunta; e ciò anche se sia stata in concreto irrogata la sola pena dell’ammenda per applicazione della pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva (tra le altre, Sez. 1, n. 44602 del 15/07/2022, Rv. 283746, in motivazione).
È, stato, dunque, ritenuto ammissibile l’appello avverso la sentenza di condanna per contravvenzione, ove sia stata applicata, ex art. 53 legge 24 novembre 1981, n. 689, la sola pena dell’ammenda come sanzione sostitutiva dell’arresto; ciò in ragione della revocabilità della sostituzione ex artt. 72 e 5 citata legge n. 689 del 1981 (nel testo in vigore prima della entrata in vigore della c.d. Riforma Cartabia), rispetto alla quale il sacrificio del secondo grado nel
merito non è stato ritenuto costituzionalmente ammissibile (Sez. 3, n. 14738 del 11/02/2016, Lupo, Rv. 266833 – 01; Sez. 1, n. 10735 del 05/03/2009, Provvidenti, 3 Rv. 242879; Sez. 1, n. 6885 del 05/05/1995, Pepe, Rv. 201720; Sez. 3, n. 1855 del 30/09/1993, dep. 1994, Reposi, Rv. 197552 – 01).
Tale orientamento è stato ribadito (Sez. 4, ord. n. n. 11375 del 30/01/2024, Rv. 286018 – 01) anche dopo l’entrata in vigore della cd. Riforma Cartabia. Invero il testo dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. attualmente vigente, è stato modificato solo per la previsione dell’inappellabilità delle sentenze di condanna per le quali è stata applicata, oltre che la sola pena dell’ammenda, anche la pena sostituiva del lavoro di pubblica utilità, introdotta dall’art. 1 lett. d. Igs. n. 150 del 2020, attraverso l’inserimento nel codice penale dell’art. 20bis.
La stessa Riforma ha anche introdotto, nella disciplina delle sanzioni sostitutive di cui alla legge n. 689 del 1981, all’art. 71, la previsione per cui mancato pagamento della pena pecuniaria sostitutiva ne comporta la revoca e la conversione nella semilibertà o nella detenzione domiciliare. Permane dunque, il profilo, individuato dalla giurisprudenza di legittimità sin qui citato, a fondamento dell’orientamento su indicato, per cui il sacrificio del secondo grado di giudizio non sarebbe costituzionalmente legittimo, a fronte dell’astratta possibilità, in caso di mancato pagamento, di conversione in una sanzione che incide sulla libertà personale.
Altro indirizzo interpretativo, invece (cfr. Sez. 1, n. 26308 del 23 marzo 2023, non massimata; Sez. 3, n. 47031 del 14/09/2022, Rv. 283825 – 01; Sez. 1, n. 31878 del 03/12/2021, dep. 2022, Rv. 283391 – 01; Sez. 1, n. 13403 del 30/04/2020, non massimata; Sez. 4, n. 15041 del 07/03/2014, Rv. 261564) ha affermato il principio dell’inappellabilità di una condanna per contravvenzione quando sia stata applicata, in concreto, la sola pena dell’ammenda, proprio perché ritenuta interpretazione maggiormente aderente alla lettera dell’art. 593, terzo comma, cod. proc. pen.
Tale norma, secondo detto indirizzo, nella seconda parte del terzo comma, stabilisce l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento «relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa» (secondo la riforma introdotta dal d. Igs. n. 150 del 10/10/2022; il testo precedente, in vigore dal 6 marzo 2018 al 29 dicembre 2022, in quanto modificato dal d.lgs. n. 11 del 6 febbraio 2018, stabiliva la inappellabilità di quelle «relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa»).
Il legislatore, quindi, ha voluto, pertanto, stabilire chiaramente che, nel caso delle sentenze di proscioglimento, sono inappellabili solo quelle relative a reati individuati in base alla loro pena edittale; se avesse voluto stabilire un’analoga
limitazione per le sentenze di condanna, avrebbe potuto usare la medesima dizione.
Al contrario, la modifica apportata dal d.lgs. n. 11 del 6 febbraio 2018, introducendo l’inciso «in ogni caso» renderebbe ancora più chiara la volontà del legislatore di stabilire l’inappellabilità delle sentenze di condanna per le quali è stata applicata, in concreto, la sola pena dell’ammenda, in quanto tale regime viene affermato come operante qualunque sia il motivo dell’applicazione di tale sanzione.
1.2.Nel caso di specie il Tribunale ha condanNOME l’imputato alla pena di giorni cinque di arresto ed euro 5000 di ammenda, convertita la pena detentiva, ex art. 53 legge n. 689 del 1981, in euro 1.250 di ammenda, per una complessiva pena di euro 6.250 di ammenda, con riferimento alla contravvenzione di cui agli artt. 110, 81, comma secondo, 681 cod. pen. punita con pena congiunta.
La pronuncia di primo grado è stata resa in data 5 luglio 2022 e l’appello è stato presentato in data 15 novembre 2022, dunque prima dell’entrata in vigore del d. Igs. n. 150 del 2022.
Sicché non è possibile valorizzare l’indirizzo interpretativo espressosi nel senso dell’appellabilità, sulla base delle modifiche apportate dalla Riforma Cartabia per il caso di inosservanza della pena sostitutiva (con applicazione della detenzione e della semilibertà), non riguardando, il caso di specie, una fattispecie in cui opera la nuova disposizione introdotta dalla citata Riforma.
Ritiene, allora il Collegio – pur consapevole del contrastante indirizzo fatto proprio dalle pronunce richiamate (e, tra le altre, anche dalle più risalenti Sez. 3, n. 12673 del 7/03/2006, Rv. 234594; Sez. 6, n. 1644 del 2/12/2002, dep. 2003, Rv. 223280) di dover ribadire l’orientamento già sostenuto (tra le altre, Sez. 1, n. 31878 del 03/12/2021, NOME, Rv. cit.; Sez. 4, n. 18654 del 21/03/2013, COGNOME, Rv. 255936), secondo cui deve considerarsi insuperabile l’espresso tenore letterale dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., laddove la norma, nella formulazione vigente alla data del fatto, esclude l’appello avverso le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda (Sez. 4, ordinanza n. 3622 del 14/01/2016 Rv. 266225). Tanto, alla luce della modifica apportata con la legge n. 11 del 6 febbraio 2018, senz’altro vigente al momento della commissione dei fatti contestati all’imputato, tutti successivi all’entrata in vigore della norma.
2.Ciò premesso, qualificata l’impugnazione trasmessa dalla Corte territoriale quale ricorso per cassazione, deve essere rilevato che, comunque, questa è inammissibile.
Va, infatti, ricordato che l’impugnazione, una volta correttamente qualificata, deve possedere tutti i requisiti di ammissibilità del rimedio attivato non riscontrati nel caso al vaglio.
Il motivo devoluto, invero, è inammissibile, in parte in quanto versato in fatto e, in altra parte, in quanto manifestamente infondato.
In primo luogo, si osserva che il gravame si confronta con le prove e non con la motivazione del provvedimento impugNOME, richiamando il contenuto della deposizione di testi e proponendone una rilettura, operazione non consentita a questa Corte di legittimità (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, COGNOME, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794; Sez. 6, n. 456 del 21/09/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254226; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv. 235507).
Del resto, l’eventuale richiamo, da parte del teste di polizia giudiziaria escusso, a circostanze apprese de relato non è causa di inutilizzabilità del contenuto della deposizione, a determinate condizioni.
È COGNOME stato COGNOME affermato COGNOME da COGNOME questa COGNOME Corte, COGNOME infatti COGNOME (cfr. COGNOME Sez. COGNOME 5, n. 5701 del 05/11/2021, dep. 2022, Rv. 282779 – 01) che la testimonianza indiretta del personale di polizia giudiziaria non è di per sé inutilizzabile, laddove la difesa dell’imputato non abbia esercito la facoltà, prevista dall’art. 195, comma 1, cod. proc. pen., di chiedere l’escussione in qualità di testimone della fonte diretta, circostanza che rende pienamente utilizzabile la testimonianza de relato del menzioNOME ufficiale di polizia giudiziaria (cfr. tra le altre, Sez. 3, 6212 del 18/10/2017, Rv. 272008).
In secondo luogo, il Collegio osserva che del tutto inconferente appare il richiamo, svolto dall’impugnante, alla previsione di cui all’art. 68 TULPS.
Il ricorrente incentra le proprie doglianze sull’assoluta conformità dell’attività esercitata, nelle occasioni accertate, all’interno dell’esercizio pubblico con le prescrizioni necessarie, quale sarebbe emerso dalle deposizioni dei testi escussi.
Tanto, senza in alcun modo confrontarsi con il capo di imputazione in cui l’attività contestata risulta quella dell’intrattenimento danzante che, pur presupponendo la diffusione di musica, è, comunque, attività diversa dalla riproduzione dal vivo o per via di strumenti di diffusione di brani musicali, comportando un assembramento di persone che si muovono all’interno del locale.
Peraltro, la critica non si confronta con le argomentazioni spese dalla sentenza impugnata che ha fondato sugli esiti della prova testimoniale relativa a plurimi accessi presso il locale dell’imputato, l’accertamento dello svolgimento dell’attività danzante in violazione dell’art. 80 TULPS.
Il Tribunale ha, infatti, messo chiaramente in luce come all’interno dell’esercizio adibito, giusta regolare licenza, a ristorante, si tenesse, in pi
occasioni, nella seconda parte della serata un intrattenimento danzante appositamente organizzato ed allestito: viene infatti evidenziato come si fosse proceduto (nella circostanza dei controlli del 30 dicembre 2018 e del 6 gennaio 2019) alla trasformazione del locale, accantonati i tavoli utilizzati per la consumazione della cena, in sala da ballo, con soggetti addetti alla sicurezza, luci soffuse, dj con postazione professionale riproducente musica ad alto volume oltre alla presenza di vocalist che animava la serata e di numerosissime persone che affollavano il locale danzando.
Si valorizza, inoltre, il dato (cfr. p. 4 della sentenza) che tali tipi di serate intrattenimento fossero state ampiamente pubblicizzate dal locale dell’imputato, già nell’ottobre 2018, in occasione del week-end.
Si tratta di elementi ampiamente sufficienti ad integrare la contravvenzione prevista dall’art. 681 cod. pen., che, avendo come scopo la tutela del pubblico che assiste ad uno spettacolo così da prevenire, attraverso l’adempimento a tutte le prescrizioni, anche particolari, imposte dall’autorità di Pubblica sicurezza, pericoli alle persone, ricorre, per costante giurisprudenza di questa Corte, ogniqualvolta l’agente organizzi un pubblico spettacolo senza avere osservato le prescrizioni dell’Autorità a tutela dell’incolumità pubblica secondo le indicazioni di cui all’art. 80 R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (TULPS: Sez. 3, n. 55361 del 09/11/2018, COGNOME, Rv. 274565 – 01; n. Sez. 1, n. 13055 del 24/03/2005, Rv. 231599).
Sicché non è rilevante che si tratti di attività esercitata in via permanente e professionale, ovvero soltanto episodica ed occasionale, trovando applicazione, la norma in questione, anche nei confronti di chi, sia pure per una sola volta, abbia aperto un luogo di pubblico spettacolo (Sez. 1, n. 2196 del 01/12/1995, Paoletti, Rv. 203829).
Segue alla pronuncia di inammissibilità dell’impugnazione, la condanna alle spese processuali, nonché al pagamento dell’ulteriore somma indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, importo che si ritiene di determinare equitativarnente, tenuto conto dei motivi devoluti.
L’inammissibilità del ricorso preclude il rilievo dell’eventuale prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata (Sez. U, n. 32 del 11/11/2000, COGNOME NOME, Rv. 217266).
Deve, comunque, rilevarsi che, secondo il prevalente indirizzo interpretativo, la contravvenzione ascritta all’imputato non sarebbe, in alcun caso, estinta per prescrizione alla data odierna (tra le altre, Sez. 1, n. 2629 del 29/09/2023, dep.
2024, COGNOME, Rv. 285724 – 01; Sez. 1, n. 22998 del 24/01/2024, COGNOME, non mass.).
Invero, i fatti sono stati commessi tutti in epoca successiva all’entrata in vigore della legge n. 103 del 2017 (in quanto accertati dal 1° dicembre 2018 al 6 gennaio 2019, dunque dopo il 3 agosto 2017 e prima del 10 gennaio 2020) essendosi verificata medio tempore, una tempestiva causa di interruzione del corso della prescrizione (sentenza di primo grado del 5 luglio 2022).
Sicché, ai cinque anni, quale termine massimo di prescrizione, derivanti dal combiNOME disposto di cui agli artt. 157 e 160 cod. pen., secondo l’indirizzo richiamato, si aggiunge il periodo di sospensione ex lege n. 103 del 2017 cit., introdotto al comma secondo dell’art. 159 cod. pen.
Infatti, la disciplina della sospensione prevista dalla cd. legge Orlando, al secondo comma dell’art. 159 cod. pen., entrata in vigore in data 3 agosto 2017, è stata, successivamente, abrogata soltanto per effetto della legge n. 3 del 2019, in vigore dal 10 gennaio 2020, a sua volta abrogata dalla legge n. 134 del 2021.
Dunque, il secondo comma dell’art. 159 cod. pen., nella versione introdotta dalla legge n. 103 del 2017, ritenuto, dal richiamato indirizzo interpretativo, senz’altro più favorevole rispetto alle norme successive in punto sospensione della prescrizione, ha avuto vigenza dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, range temporale entro il quale sono state commesse le contravvenzioni per le quali si procede. Pertanto, applicando quale più favorevole, la disciplina della sospensione del corso della prescrizione prevista dalla legge n. 103 del 2017 al caso di specie, deriva che al termine massimo di anni cinque (che sarebbe spirato in data 7 febbraio 2023) va aggiunto un ulteriore periodo di sospensione del corso della prescrizione di un anno e sei mesi, con la conseguenza che, in ogni caso, la prescrizione non sarebbe decorsa alla data odierna.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 9 maggio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente