Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 33548 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 33548 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/09/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto dalla parte civile
RAGIONE_SOCIALE
nel procedimento a carico di
COGNOME NOME NOME a Verona il DATA_NASCITA
avverso la sentenza resa il 12 febbraio 2025 dalla Corte di appello di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
preso atto che non è stata avanzata richiesta di trattazione orale dell’udienza; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO;
lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO che associandosi alle conclusioni del Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità o rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Venezia riformando la sentenza resa, all’esito di giudizio abbreviato condizioNOME, dal Tribunale di Verona il 18 ottobre 2023, con cui COGNOME NOME era stato dichiarato responsabile del reato di truffa aggravata, lo ha assolto dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.
Si contesta a COGNOME di avere, quale responsabile dello sviluppo commerciale della clientela per la RAGIONE_SOCIALE, con artifizi e raggiri, preleva merce apparentemente destinata ai clienti da lui gestiti, giustificandone ex post la sottrazione anche attraverso false fatture e note di credito, così inducendo in errore la società per cui lavorava, e procurandosi un ingiusto profitto con pari danno, del valore complessivo di oltre 394.000 C.
La Corte di appello, dopo avere osservato che il fatto contestato avrebbe dovuto essere più correttamente qualificato come furto aggravato ma che, in assenza dell’impugnazione del pubblico ministero detta riqualificazione non avrebbe potuto essere effettuata d’ufficio, ha assolto l’imputato dal delitto a lui contestato di tru aggravata, ritenendo non raggiunta la prova certa della sua responsabilità.
Avverso detta pronunzia ha proposto ricorso il procuratore speciale della parte civile costituita, RAGIONE_SOCIALE, deducendo quanto segue:
2.1 Violazione dell’art. 521 cod.proc.pen. in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, in quanto il Tribunale di Verona aveva dichiarato COGNOME NOME colpevole del delitto di truffa aggravata, condannandolo alla pena di 8 mesi di reclusione, nonché al risarcimento del danno patito dalla società da liquidarsi in separato giudizio. COGNOME proponeva appello ritenendo che la fattispecie a cui ricondurre le condotte ascritte non fosse quella della truffa, ma quella del furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento; il giudice di appello, ha aderito alla prospettazione difensiva e ha ritenuto che, in assenza dell’appello del pubblico ministero, una simile riqualificazione del fatto gli fosse preclusa in quanto avrebbe comportato una modifica in pejus del trattamento sanzioNOMErio e del computo della prescrizione; ciò anche in considerazione che tale riqualificazione sarebbe avvenuta, senza che l’imputato avesse modo di far valere le proprie ragioni; a sostegno di tale assunto, la Corte richiamava un precedente in cui non si statuiva alcun divieto di riqualificazione giuridica, ma solo un limite al potere d giudice di appello, affermando la necessità che l’impugnazione avanzata dall’imputato avesse avuto ad oggetto un punto relativo alla qualificazione giuridica del fatto, condizione che nel caso in esame sussisteva, poiché l’imputato aveva eccepito l’indeterminatezza del capo di imputazione.
Nel precedente richiamato dalla Corte territoriale è stato, in effetti, riconosciuto il potere del giudice di appello di riqualificazione giuridica del fatto in un reato più gra con l’unico limite dell’inerenza della riqualificazione al devolutum. Ciò che emerge dall’analisi della giurisprudenza di legittimità è il pacifico riconoscimento in capo a giudici di appello del potere di riqualificare il fatto in un reato più grave, ancorc l’impugnazione sia stata proposta dal solo imputato.
La diversa qualificazione giuridica del fatto rispetto a quella formulata nell’imputazione non violerebbe comunque i diritti di difesa, laddove la ridefinizione della accusa originariamente formulata sia concretamente prevedibile e l’imputato sia in
grado di far valere le proprie ragioni e rimanga ferma la pena irrogata in primo grado. Osserva il ricorrente che la questione relativa alla riqualificazione giuridica, ancorché esaminata d’ufficio, sarebbe stata comunque strettamente connessa ad un capo o punto della decisione impugnata che ha costituito oggetto dell’appello, avendo il difensore lamentato la indeterminatezza del capo di imputazione. La riqualificazione inoltre era ampiamente prevedibile per l’imputato poiché lo stesso giudice di appello riferisce che nella comunicazione di notizia di reato veniva indicato il furto continuato aggravato dal mezzo fraudolento e dal rapporto di lavoro. Il giudice di appello avrebbe ben potuto procedere alla corretta qualificazione giuridica del fatto in ossequio al principio della obbligatorietà della legge.
2.2 Vizio di motivazione e contraddittorietà della stessa in relazione agli atti processuali poiché secondo il giudice di appello il collegamento tra asporti di merce sottratta dal COGNOME e falsa fatturazione volta a coprire le sottrazioni sarebbe stato dedotto dal giudice di prime cure, nonostante l’assenza di concreti elementi di fatto, in quanto i dipendenti avrebbero descritto solo in maniera generica le modalità con cui COGNOME gestiva la merce e non poteva ritenersi provato un collegamento diretto tra gli ammanchi e le singole operazioni di falsa fatturazione. E tuttavia la Corte territoriale riconosceva che la maggior parte delle false fatture disconosciute dai clienti fossero state emesse “su diretta indicazione del COGNOME, atteso il suo ruolo all’interno del punto vendita, dotato di riconosciuta autonomia nei rapporti commerciali”.
La motivazione incorre nel vizio di contradditorietà logica in quanto , subito dopo avere apoditticamente affermato l’impossibilità di accertare il collegamento causale tra condotta decettiva e ingiusto profitto, ha riconosciuto che dalla documentazione processuale emerge che le fatture disconosciute dai clienti erano state emesse su diretta indicazione del COGNOME.
Inoltre la sentenza non ha tenuto in considerazione elementi probatori decisivi e in particolare :
1- le sommarie informazioni rese dalla dipendente COGNOME, la quale ha riferito che, a seguito della discrepanza tra le giacenze effettive e quelle contabili, il diret dello stabilimento aveva chiesto l’emissione delle fatture relative a questi ammanchi di magazzino, al fine di operare un riallineamento delle risultanze contabili, e lei stessa aveva dato incarico di emettere le fatture, sulla base degli ordini inseriti dal COGNOME questi aveva dichiarato di essere perfettamente in grado di indicare a quale cliente si riferissero le bottiglie mancanti che dovevano essere fatturate. Tale dichiarazione dimostra la diretta connessione tra false fatture e gli asporti operati dal COGNOME ed integra una prova decisiva;
2- le fatture emesse su indicazione del COGNOME erano riconducibili agli ordini partiti dall’apparecchio Ipad in dotazione a quest’ultimo, il che conferma la specifica sussistenza di un collegamento tra COGNOME e l’emissione di fatture false;
3 -la dicitura “ok COGNOME” che veniva annotata sulle fatture e sulle bolle di consegna relative a vendite, successivamente disconosciute da parte dei clienti, costituisce riprova del collegamento tra la sottrazione effettuata dal COGNOME e le false fatture, considerato che sui documenti di trasporto non erano presenti le firme dei clienti destinatari.
Deduce infine travisamento della prova e in particolare delle RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, il quale ha riferito che la merce era uscita dal magazzino senza essere fatturata, poiché COGNOME a sue reiterate e precise richieste aveva detto di non preoccuparsi e che avrebbe curato lui la consegna; e delle RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, la quale ha dichiarato di avere visto COGNOME recuperare scatoloni di merce e portarli via dal magazzino.
Alla luce di questi elementi il difensore chiede che, fermi gli effetti penali dell sentenza impugnata, vengano annullate le statuizioni relative alla responsabilità civile del COGNOME, con rinvio alla Corte territoriale competente in materia civile.
2.4 II 22 settembre l’AVV_NOTAIO ha trasmesso memoria con cui insiste nei motivi di ricorso associandosi alle conclusioni del pubblico ministero; alla memoria risultano allegati il verbale di sit della dipendente NOME COGNOME assunte dal difensore della parte civile e il verbale di trascrizione della deposizione dibattimentale del teste COGNOME, alla cui escussione era stata condizionata la richiesta di rito abbreviato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti che verranno esposti.
1.1 La prima censura che pone il ricorso è inammissibile perché non sorretta da adeguato interesse, in quanto l’impugnazione è proposta dalla parte civile che invoca il risarcimento del danno subito e la circostanza che il fatto sia qualificato come truffa o come furto aggravato non rileva ai suoi fini: COGNOME è stato assolto con pronunzia definitiva ai fini penali e oggetto del presente giudizio è l’eventuale sussistenza di una condotta illecita che abbia cagioNOME un danno economico, a prescindere dalla sua qualificazione giuridica. La costituzione di parte civile è intervenuta prima del 30 dicembre 2022, sicchè non si applica l’art. 573 comma 1 bis cod.proc.pen.
Il motivo è comunque manifestamente infondato poiché nel dispositivo di secondo grado la Corte territoriale non provvede alla riqualificazione della condotta ascritta all’imputato e assolve COGNOME per mancanza di prova dal delitto di truffa a lui contestato per avere indotto il personale del magazzino a consegnargli merce apparentemente destinata a clienti, in assenza di ordini scritti, e di avere poi successivamente dato disposizioni di effettuare fatture false, per giustificare queste
consegne. Secondo la prospettazione accusatoria COGNOME era entrato nel possesso della merce consegnatagli dai magazzinieri in ragione di un inganno e cioè sostenendo che la stessa era destinata a clienti del settore delivery da lui gestito e che lui ne avrebbe curato personalmente la consegna; o ancora incaricava il personale, come nel caso riferito dalla dipendente RAGIONE_SOCIALE, di portare fuori dal magazzino la merce e di consegnarla a terzi a lei ignoti, tranquilizzandola sulla regolarità dell’operazione.
Così ricostruito il fatto, la truffa risultava correttamente contestata in quanto l’inganno prospettato dal COGNOME era diretto agli addetti allo stoccaggio della merce, che gliela consegnavano in assenza di idonea documentazione e prova del pagamento; il soggetto danneggiato è la società costituitasi parte civile.
1.2 II secondo motivo di ricorso è fondato.
Giova in primo luogo ribadire che, anche in caso di esito assolutorio assunto in riforma della condanna resa in primo grado, il giudice di appello è tenuto a confutare in modo specifico e completo le argomentazioni poste a sostegno della valutazione di segno opposto resa con la prima decisione, dovendo per forza di cose scardinare l’impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova (in motivazione, S.U. n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta).
Più precisamente, è stato sottolineato (S.U. n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise), che, nel riformare la condanna pronunciata in primo grado con una sentenza di assoluzione, il giudice dell’appello deve confrontarsi con le ragioni addotte a sostegno della decisione impugnata, giustificandone l’integrale riforma senza limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della riformata pronuncia delle generiche notazioni critiche di dissenso, ma riesaminando, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia adeguata ragione delle difformi conclusioni assunte,
Se, dunque, anche in caso di overturning che porti all’assoluzione, la motivazione che supporta la decisione deve certamente risultare connotata da uno sforzo argomentativo di stringente rilievo, va tuttavia escluso che siffatto onere assuma un profilo ponderale analogo a quello della riforma in senso condanNOMErio dell’assoluzione resa in primo grado.
E’ noto che per ribaltare la sentenza di colpevolezza con una pronunzia assolutoria non è necessario pervenire alla prova certa della estraneità dell’imputato, ma è sufficiente la persistenza di un ragionevole dubbio in merito alla sua colpevolezza. Tuttavia, nel caso in esame, la sentenza di appello non offre una motivazione idonea a sostenere quel ribaltamento in senso assolutorio cui perviene, ed incorre in evidenti vizi
di contraddittorietà logica e processuale, trascurando elementi probatori valutati in primo grado, che assumono significativa rilevanza ai fini del giudizio di responsabilità.
Ed infatti nella prima parte della motivazione la sentenza si sofferma sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, per poi pervenire alla conclusione che non sarebbe stata raggiunta la prova certa del fatto attribuito all’imputato, senza indicare specifici elementi che smentiscano l’opposta conclusione cui era giunto il primo giudice e limitandosi a rilevare la pretesa genericità della motivazione del primo grado che faceva ampio riferimento al contenuto della querela in atti e alla documentazione allegata.
Nel contempo, la Corte riconosce che la prospettazione difensiva dell’imputato, tesa ad attribuire la responsabilità delle anomale procedure al direttore del punto vendita, è strumentale e tardiva e non si confronta con il dato pacifico che un gran numero di fatture contestate e disconosciute dai destinatari fossero state emesse su diretta indicazione del COGNOME.
Nonostante il riconoscimento di questo elemento di fatto, che assume rilevanza dirimente nella prospettazione accusatoria, la Corte territoriale ritiene che l’ite argomentativo della sentenza di primo grado, che ha richiamato gli elementi posti a sostegno del tenore della querela e la documentazione e gli elementi raccolti dalla Procura, presenti non meglio precisate lacune probatorie, che non possono essere colmate dal secondo grado di giudizio.
In questo modo, per un verso, incorre nel vizio di contraddittorietà intrinseca e logica della sentenza e di contraddittorietà processuale, poiché formula due argomentazioni tra loro in contrasto e omette di considerare diverse prove documentali e dichiarative che, alla stregua del tenore della sentenza di primo grado, risultano dirimenti nell’affermazione di responsabilità del COGNOME.
Per altro verso, incorre in violazione di legge processuale poiché si limita a censurare la carenza di motivazione del giudizio di colpevolezza, senza spiegare le ragioni per cui non ritiene di condividere il ragionamento di segno opposto formulato dalla sentenza di primo grado, mentre la sentenza di appello non può limitarsi a rilevare le lacune argomentative della sentenza di primo grado, ma deve verificare la possibilità di integrarle, attingendo al compendio probatorio, costituito nel caso in esame dagli atti acquisiti al giudizio ex art. 442 cod.proc.pen.
In particolare, la sentenza impugnata afferma che non è stata raggiunta prova certa del nesso di causalità tra la condotta decettiva del COGNOME e l’ingiusto profitto co conseguente danno, che sarebbe stato semplicisticamente quantificato nel valore complessivo della merce apparentemente in carico al magazzino e di fatto mancante e quindi oggetto della massiva fatturazione, senza approfondire la correlazione tra le false
fatture, poi disconosciute dai clienti, e gli asporti ascritti al COGNOME, e ritie il tenore delle dichiarazioni assunte dal personale della società nel corso delle i sottolineando che la fatturazione massiva effettuata per allineare i dati del maga era stata decisa dal direttore del punto vendita, COGNOMECOGNOME COGNOME COGNOME di un’imm ispezione. Ma così facendo non si confronta con il portato delle sommarie informazio rese dai dipendenti e dagli addetti al magazzino, da cui emerge che COGNOME aveva a spazi di autonomia e, abusando di questa sua posizione, era solito farsi conseg merce dagli addetti al magazzino, anche in assenza della dovuta documentazione contabile, rassicurandoli sulla legittimità dell’operazione (v. RAGIONE_SOCIALE COGNOME e COGNOME il dato incontestato dell’annotazione “Ok COGNOME” riportata su fatture e bolle; costatazione, che non risulta oggetto di specifica censura, che gli ordini f pervenuti dall’ipad del COGNOME.
Le argomentazioni formulate con la memoria del difensore del COGNOME non risultano idonee a inficiare la fondatezza delle censure formulate dalla ricorr mirano a valorizzare elementi probatori che la stessa sentenza impugnata ha riten strumentali e generici.
In conclusione per le ragioni sin qui evidenziate, si impone l’annullamento d sentenza impugnata agli effetti civili e il rinvio al giudice civile competente in appello che procederà a nuovo giudizio, rivalutando la condotta del COGNOME.
P.Q.M.
Annulla la sentenza imppgnata agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio al gi Le.61 n PilDvg/ civile competé -ntelirig -i –ado di appello.
Roma 26 settembre 2025
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