Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8940 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8940 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a San Marzano di San Giuseppe il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a Taranto il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 16/01/2023 della Corte di appello di Lecce -sezione distaccata di Taranto-
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
udite le conclusioni del difensore del ricorrente NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha insistito nei motivi di ricorso e chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato.
udite le conclusioni del difensore della ricorrente NOME COGNOME, AVV_NOTAIO in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha insistito nei motivi di ricorso e chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Lecce -sezione distaccata di Taranto-, con sentenza del 16 gennaio 2023, ha confermato le condanne inflitte agli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME dal Tribunale di Taranto con sentenza emessa in data 17 marzo 2021.
NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza con la quale è stata ritenuto colpevole del reato di tentata estorsione e per l’effetto condannato alla pena di anni 3 di reclusione ed euro 3.000,00 di multa.
Il ricorrente, con il primo motivo di impugnazione, lamenta la violazione dell’art. 522 cod. pen. in relazione al reato di cui al capo B) dell’imputazione.
A giudizio della difesa la contestazione del reato di tentata estorsione di cui al capo B, effettuata dal Pubblico Ministero all’udienza dibattimentale del 25 settembre 2021 (a seguito della trasmissione degli atti disposta in altro procedimento dal Tribunale di Taranto), sarebbe tardiva e non preceduta dallo svolgimento dell’udienza preliminare con conseguente violazione dell’art. 516 cod. proc. pen.
I giudici di merito avrebbero erroneamente ritenuto valida la contestazione, senza tenere conto che, già al momento dell’esercizio dell’azione penale, i fatti posti a fondamento della contestazione (querela sporta da NOME COGNOME e dichiarazioni rese dallo stesso nel dibattimento del procedimento 7181/2015 R.g. Trib.) emergevano dagli atti di indagine ed avevano giustificato l’emissione della richiesta di rinvio a giudizio per il reato di tentata estorsione nei confronti di NOME COGNOME
L’erronea applicazione dell’art. 517 cod. proc. pen. comporterebbe, di conseguenza, la nullità della sentenza impugnata a mente dell’art. 522 cod. proc. pen.; la contestazione a sorpresa di fatti già emersi nel corso delle indagini preliminari comporterebbe la violazione dei diritti di difesa con particolare riguardo alla scelta sui riti alternativi.
Il ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla penale responsabilità dell’imputato in relazione al reato di cui al capo B).
La Corte territoriale avrebbe fondato la condanna esclusivamente sulle dichiarazioni rese da NOME COGNOME senza procedere al necessario vaglio dell’attendibilità della persona offesa, dichiarazioni che, a giudizio della difesa, sarebbero generiche, incoerenti, fondate su intenti rancorosi e vendicativi nonché prive di riscontri
Peraltro, la stessa persona offesa avrebbe affermato di non aver compreso le ragioni della condotta aggressiva del COGNOME, anche in considerazione del fatto che il figlio NOME, da diversi anni, si era allontanato dalla famiglia di origine con conseguente illogicità dell’ipotesi accusatoria fatta propria dai giudici di merito.
Il ricorrente, con il terzo motivo di impugnazione, lamenta ‘inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 56 e 629 cod. pen. conseguente alla mancata riqualificazione del fatto nel reato di cui all’art. 612 cod. pen.
A giudizio della difesa, il COGNOME non avrebbe proferito richieste estorsive limitandosi a percuotere NOME COGNOME e prospettargli un male ingiusto, accecato dalla rabbia per il comportamento del figlio NOME.
Il ricorrente, con il quarto motivo di impugnazione, lamenta inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 628, comma terzo, n. 1 cod. pen.
L’istruttoria dibattimentale non avrebbe chiarito se il COGNOME nel colpire la persona offesa abbia effettivamente usato un’arma, non potendosi escludere che il COGNOME sia stato colpito da un pugno, anche e soprattutto in considerazione del fatto che la stessa persona offesa non sarebbe stata in grado di indicare con che cosa è stato colpito dall’imputato.
Il ricorrente, con il quinto motivo di impugnazione, lamenta inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 62 -bis e 133 cod. pen. nonché carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
La Corte territoriale, con motivazione insufficiente ed illogica, avrebbe omesso di argomentare circa la congruità e della pena inflitta ed in ordine ai motivi posti a fondamento del diniego delle circostanze attenuanti generiche.
NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello con la quale è stata ritenuta colpevole del reato di calunnia e falsa testimonianza e per l’effetto condannata alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione ed euro di multa.
La ricorrente, con il primo motivo di impugnazione, lamenta la violazione dell’art. 384 cod. pen.
La difesa ha evidenziato che la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica, per gli adempimenti di competenza in relazione ai reati di calunnia e falsa testimonianza, da cui ha avuto origine il presente giudizio è stata disposta a seguito delle contestazioni effettuate nel corso della deposizione della COGNOME, escussa come teste nel processo a carico di NOME e NOME COGNOME.
A giudizio della ricorrente il verbale di sommarie informazioni adoperato per le contestazioni effettuate nel procedimento n. 7181/2015 R.G. dib. non poteva essere utilizzato in quanto la RAGIONE_SOCIALE, prima dell’escussione svoltasi innanzi alla polizia giudiziaria in data 24 maggio 2024, non avrebbe ricevuto gli avvisi
previsti dall’art. 199, comma 2, cod. proc. pen. in relazione all’art. 384 cod. pen. con conseguente nullità del verbale di sommarie informazioni.
La ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta l’erronea valutazione della prova dichiarativa.
La COGNOME, in occasione della sua deposizione dibattimentale, non avrebbe negato di aver contribuito alla dazione di una somma di denaro ai COGNOME, precisando soltanto che tale somma era dovuta per onorare un debito di gioco contratto dal fratello NOME e non per onorare un debito conseguente ad un acquisto di sostanze stupefacenti; la ricorrente avrebbe, inoltre, spiegato di aver reso le originarie dichiarazioni in uno «stato emotivo assolutamente precario a causa delle condizioni di salute del padre» e di non aver alcuna intenzione di attribuire condotte illecite ai militari dell’Arma.
La ricorrente, con il terzo motivo di impugnazione, lamenta erronea applicazione dell’art. 62-bis cod. pen. e carenza della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte territoriale avrebbe rigettato la richiesta di applicazione delle attenuanti generiche senza tenere conto della incensuratezza della ricorrente e del suo inserimento in contesto familiare «difficile»
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’eccezione di natura processuale proposta dal COGNOME con il primo motivo di ricorso e già rigettata in entrambe i gradi di merito è manifestamente infondata.
Questa Corte si è già espressa, con orientamento univoco, nel senso che il potere di procedere alla modifica dell’imputazione o alla formulazione di nuove contestazioni va riconosciuto al Pubblico ministero senza specifici limiti temporali o di fonte, ciò in considerazione del fatto che il diritto di difesa è garantito, in virtù del disposto dell’art. 519 cod. proc. pen., dalla facoltà per l’imputato di chiedere un termine per contrastare l’accusa, esercitando ogni prerogativa difensiva come la richiesta di nuove prove o il diritto ad essere rimesso in termini per chiedere la definizione del giudizio mediante un rito alternativo (ex multis Sez. 6, n. 18749 del 11/04/2014, B., Rv. 262614-01, n. 16989 del 02/04/2014, COGNOME, Rv. 259857-01; Sez. 2, n. 45298 del 14/10/2015, COGNOME, Rv. 264903 – 01; da ultimo Sez. 5, n. 42373 del 27/06/2023, COGNOME, non massimata; Sez. F, n. 43255 del 22/08/2023, COGNOME, non massimata).
In riferimento al momento processuale in cui il potere di modifica della contestazione, GLYPH immediatamente derivante dal GLYPH principio costituzionale
dell’obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 103 Cost., deve essere esercitato, le direttrici ermeneutiche declinate dalla giurisprudenza di legittimità, nella sua più autorevole composizione, non assegnano, pertanto, alcuna preclusione correlata alla preesistenza, rispetto all’apertura del dibattimento, degli elementi di fatto che portano alla modifica dell’imputazione di cui all’art. 516 cod. proc. pen. e alla contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui all’art. 517 cod. proc. pen., poiché le nuove contestazioni possono essere effettuate dopo l’avvenuta apertura del dibattimento anche sulla sola base di atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari (Sez. U, n. 4 del 28/10/1998 – dep. 1999, COGNOME, Rv. 212757-01; Sez. 5, n. 8631 del 21/09/2015, COGNOME, Rv. 266081 – 01; da ultimo Sez. 4, n. 48347 del 04/10/2023, COGNOME, non massimata).
Nel caso di specie la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione degli enunciati principi (vedi pagg. 1 e 2 della sentenza impugnata) con conseguente manifesta infondatezza della censura articolata nel primo motivo di ricorso: alla modifica dell’imputazione, mediante contestazione di un ulteriore ipotesi estorsiva già delineata negli atti di indagine -e dunque, del tutto prevedibile quanto alla latitudine della contestazione- non è seguita alcuna richiesta di rito alternativo o di nuova prova da parte dell’imputato e non risulta in alcun modo compresso il pieno esercizio dei diritti di difesa.
Il secondo motivo del ricorso proposto dal COGNOME è aspecifico in quanto reiterativo di motivi già dedotti in appello ed affrontati in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale nonché articolato esclusivamente in fatto e, quindi, proposto al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità, restand estranei ai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi probatori posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.
2.1. Deve premettersi che la sentenza di appello oggetto di ricorso e quella di primo grado sono, quanto alle statuizioni oggetto di ricorso, conformi, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente, costituendo un unico corpo decisionale ed essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza di appello a quella del Tribunale, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595, Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 280654 – 01).
È, infatti, giurisprudenza pacifica di questa Corte che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi sia difformità sui punti denunciati, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico- giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando con quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella di appello (Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062, in motivazione; Sez. 2, n. 29007 del 09/10/2020, COGNOME, non massimata).
2.2. Ciò premesso deve essere evidenziato che il ricorrente, mosso da una considerazione atomistica e parcellizzata delle risultanze probatorie, fonda il motivo di ricorso su elementi negativi, inconsistenti e del tutto inidonei a confutare la ricostruzione logico-fattuale fornita dai giudici di merito, al fine di prospettare una diversa ed inammissibile ricostruzione di merito, come tale preclusa in questa sede. E ciò a fronte di un completo iter argomentativo, coerente con le emergenze istruttorie e scevro da vizi logici, che valorizza una serie di elementi logico-fattuali che dimostrano la penale responsabilità del COGNOME in ordine al reato di cui al capo B).
2.3. In particolare, la versione dei fatti offerta dalla persona offesa risulta essere stata valutata dai giudici di merito in maniera logica, congrua e lineare, anche in considerazione della portata dei rimanenti elementi di prova che non hanno evidenziato alcun profilo di contrasto significativo con le dichiarazioni rese dal COGNOME né alcun interesse all’accusa da parte del denunciante (vedi pagine 6 e 7 della sentenza di primo grado e pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata).
L’iter argomentativo appare esente da vizi logici, fondandosi su di una compiuta e logica analisi critica delle dichiarazioni del COGNOME in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, univocità e coerenza, in quanto conducenti all’affermazione di piena credibilità delle asserzioni della persona offesa.
Il ricorrente oblitera le argomentazioni dei giudici di merito in ordine alla completezza ed attendibilità delle propalazioni accusatorie della persona offesa, senza confrontarsi adeguatamente con il percorso argomentativo seguito nelle due sentenze in proposito conformi e proponendo una versione alternativa dei fatti non perseguibile in sede di legittimità.
Deve essere, in proposito, ricordato che le Sezioni Unite hanno affermato che «la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio
motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni» (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214; Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609-01), circostanza non ravvisabile nel caso di specie.
La motivazione oggetto di ricorso contiene, infatti, una valutazione globale e completa in ordine a tutti gli elementi rilevanti del giudizio; non risultano esservi errori nell’applicazione delle regole della logica né contraddizioni interne tra i diversi momenti di articolazione del giudizio ed appare corretta l’attribuzione di significato dimostrativo agli elementi valorizzati nell’ambito del percorso seguito dai giudici di merito e circa l’assenza di incompatibilità di detto significato con specifici atti del procedimento indicati in sede di ricorso.
3. Il terzo motivo del ricorso proposto dal COGNOME è aspecifico.
Il ricorrente si è limitato ad affermare in modo apodittico che gli elementi indiziari posti a fondamento della decisione dei giudici di merito non sarebbero idonei a perfezionare gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 629 cod. pen. in quanto il COGNOME si sarebbe limitato a minacciare e picchiare la persona offesa in assenza di richieste di tipo estorsivo, senza alcuna valida confutazione delle argomentazioni espresse dai giudici di merito, così venendo meno all’onere di specificità che grava sulla parte ricorrente.
La Corte territoriale, richiamando le argomentazioni del Tribunale come è fisiologico in presenza di doppia conforme, ha affermato che la condotta del COGNOME è stata commessa al fine di ottenere dalla persona offesa il pagamento del debito contratto dal figlio NOME in considerazione dell’esplicito riferimento al denaro riferito dal COGNOME nel corso della sua deposizione (vedi pagg. 7 e 8 della sentenza di primo grado e pag. 3 della sentenza oggetto di ricorso), con motivazione coerente con le risultanze istruttorie ed esente da illogicità manifeste e, quindi, non rivalutabile in sede di legittimità.
Il ricorrente, invocando una rilettura di elementi probatori estranea al sindacato di legittimità, chiede a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a lui più gradita, sen confrontarsi con quanto motivato dalla Corte territoriale al fine di confutare le censure difensive prospettate in sede di appello e con le emergenze probatorie determinanti per la formazione del convincimento dei giudici di merito.
Va, in proposito, ricordato che non è compito del giudice di legittimità stabilire se la decisione di merito proponga o meno la migliore ricostruzione dei fatti né condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se
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questa giustificazione sia, come nel caso di specie, compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.
La Corte di Cassazione, che è giudice della motivazione e dell’osservanza della legge, non può, infatti, divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio, riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l’apprezzamento della logicità della motivazione (vedi Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, Perelli, dep. 2021, Rv. 280601 – 01; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01).
Il quarto motivo del ricorso proposto dal COGNOME è fondato per le ragioni che seguono.
La Corte territoriale ha affermato la sussistenza dell’aggravante dell’uso dell’arma esclusivamente in considerazione di due elementi logico-fattuali emersi dall’istruttoria dibattimentale: la circostanza che il COGNOME abbia riferito di essere stato colpito “con qualcosa” ed abbia riportato un taglio al volto a seguito dell’aggressione posta in essere dal COGNOME.
Appare evidente che detta motivazione non fornisce elementi logicoprobatori idonei a comprovare che l’imputato abbia utilizzato un’arma per colpire la persona offesa stante la natura generica ed ambigua delle circostanze fattuali valorizzate dai giudici di merito.
Il nesso motivazionale utilizzato appare molto labile e sostanzialmente frutto di un salto logico; è evidente, invece, come la Corte di merito avrebbe dovuto interrogarsi sulla valenza della prova indiziaria a superare il vaglio del criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio necessario per fondare l’affermazione di sussistenza della contestata aggravante, anche e soprattutto in considerazione della genericità delle dichiarazioni rese sul punto dalla persona offesa e della non univocità delle lesioni subite dal COGNOME.
In conclusione, deve darsi atto di come la motivazione del provvedimento impugnato non si riveli coerente al canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio, con la necessità che i giudici rimodulino le proprie affermazioni circa l’utilizzo di un’arma da parte del COGNOME e si conformino a tale canone valutativo costituzionalmente orientato.
Ne consegue l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato e la trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Lecce, che si pronuncerà sulle criticità esaminate dal Collegio, in piena aderenza ai principi ermeneutici indicati, ma con altrettanta ampia libertà del giudice del rinvio di orientarsi nel senso di riproporre l’esito decisorio già adottato ovvero di discostarsene.
Il quinto motivo del ricorso proposto dal COGNOME è generico non risultando esplicitamente enunciati e argomentati rilievi critici rispetto alle ragioni poste a fondamento del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della determinazione del trattamento sanzionatorio.
La doglianza è priva di qualsivoglia indicazione di elementi favorevoli ad una mitigazione della pena ed è caratterizzata dalla mera declinazione di affermazioni apodittiche; la difesa, infatti, si è limitata a sostenere una generica carenza di motivazione sul punto, rassegnando poi le conclusioni favorevoli al proprio assistito, senza alcuna valida confutazione delle argomentazioni espresse dai giudici di appello.
I giudici di merito hanno correttamente valorizzato, ai fini del diniego delle attenuanti generiche e della congruità della pena, la gravità dei fatti, l’intensa capacità criminale del ricorrente desumibile dai precedenti penali e la mancanza di elementi favorevoli alla mitigazione della pena (vedi pag. 4 della sentenza impugnata e pagg. 14 e 15 e della sentenza di primo grado).
Il primo motivo del ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE non è consentito, in quanto ha ad oggetto una inosservanza di legge non dedotta in sede di appello, secondo quanto prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
6.1. La doglianza non può essere, peraltro, dedotta per la prima volta in sede di legittimità non avendo ad oggetto una questione rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza. Va richiamato, in proposito, il principio di diritto secondo cui l’omissione dell’avvertimento relativo alla facoltà per i prossimi congiunti dell’imputato di astenersi dal deporre determina una nullità relativa (vedi Sez. 3, n. 21374 del 16/01/2018, S., Rv. 273219 – 01; Sez. 4, n. 24171 del 16/05/2023, Vecchio, non massimata).
6.2. La denuncia di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello costituisce causa di inammissibilità originaria dell’impugnazione (vedi Sez. U, n. 15 del 30/06/1999, Piepoli, Rv. 213981-01; Sez. 5, n. 12181 del 20/01/2022, COGNOME, non massimata), per non essere riconducibili nei limiti degli effetti devolutivi prodotti dall’atto di appello. Tali censure, se dedotte per la prima volta nel ricorso in cassazione, hanno per oggetto «punti della decisione» che hanno acquistato autorità di giudicato in base al principio del tantum devolutum, quantum appellatum (vedi Sez. 1, n. 2378 del 14/11/1983, NOME COGNOME, Rv. 163151; Sez. 4, n. 17891 del 30/03/2022, COGNOME, non massimata).
Il secondo motivo del ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE è, al contempo aspecifico e non consentito, invocando di fatto una mera rivalutazione del compendio probatorio.
La Corte territoriale è pervenuta alla conferma della sentenza di primo grado attraverso una disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali ed in particolare del contenuto della deposizione della COGNOME, fonti di prova che sono state ritenute idonee a dimostrare con certezza la sussistenza degli elementi costitutivi dei reati di falsa testimonianza e calunnia (vedi pagg. 8 e 9 della sentenza di primo grado, pagg. 4 e 5 della sentenza di appello).
La complessiva ricostruzione del materiale probatorio esposta in motivazione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata, pertanto, su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perci insindacabili in questa sede.
L’errore di impostazione nel quale cade la ricorrente è quello di far leva su considerazioni generiche ed astratte, abbandonando il piano dell’esperienza fenomenica per privilegiare ipotesi alternative e ciò all’evidente scopo di tacciare di illogicità manifesta il governo dei fatti positivamente accertati e sollecitare una diversa interpretazione e valutazione del compendio probatorio, inammissibile in questa sede.
Il terzo motivo del ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE è fondato per le ragioni che seguono.
La Corte di appello, senza confutare in alcun modo le argomentazioni difensive, ha confermato il diniego delle invocate attenuanti generiche limitandosi ad affermare in modo apodittico che “il Tribunale ha motivato la sua decisione e l’appellante non si è in alcun modo confrontato con le argomentazioni spese dal giudice, nemmeno offrendo alla Corte ragioni di fatto idonee a sostenere la sua richiesta” (vedi pag. 5 della sentenza impugnata),
Tale asserzione si risolve nella sostanziale elusione del motivo di gravame proposto dall’imputata la quale aveva evidenziato l’esistenza di elementi ritenuti favorevoli ad una mitigazione della pena (occasionalità della condotta, particolare stato ansioso ed emotivo in cui versava la COGNOME all’epoca della sua deposizione). La motivazione appare incongrua ed insoddisfacente, giacché, oltre ad omettere lo specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputata con il gravame, ha privilegiato, senza tuttavia darne ragionevole spiegazione, la ragione stessa della propria decisione ossia la esistenza dei reati e la commissione degli stessi da parte della RAGIONE_SOCIALE.
E se è vero che il diniego delle generiche può essere fondato anche su un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso, è altrettanto vero il giudice, nell’esercizio del suo ampio potere discrezionale, deve comunque rendere chiaro il suo iter argomentativo, esplicitando le ragioni della prevalenza o della esaustività di un parametro rispetto agli altri (vedi Sez. 6, n. 20023 del 30/01/2014, COGNOME, in motivazione, Rv. 259762 – 01; Sez. 2, n. 35137 del 13/06/2019, COGNOME, non massimata).
Ne deriva che sul punto la sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo esame; la Corte di appello, valutando le argomentazioni difensive, verificherà se vi siano o meno i presupposti per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Ai sensi dell’art. 624, comma 2, cod. proc. pen. deve esser dichiarata l’irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità degli imputati in considerazione del fatto che gli annullamenti sono stati disposti per motivi che non riguardano l’affermazione di responsabilità dei ricorrenti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 1 c.p. e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di Appello di Lecce. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, limitatamente alla determinazione sulle circostanze attenuanti generiche e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di Appello di Lecce. Dichiara inammissibili nel resto entrambi i ricorsi e visto l’art. 624 c.p.p. dichiara la irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della penale responsabilità degli imputati.
Così deciso il 24 novembre 2023
La Presidente