Animus Necandi: Come si Prova l’Intenzione di Uccidere?
L’accertamento dell’animus necandi, ovvero dell’intenzione di uccidere, rappresenta uno degli snodi più complessi nel processo penale per tentato omicidio. Distinguere tra la volontà di ferire e quella di togliere la vita è fondamentale per la corretta qualificazione giuridica del fatto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 5237/2024) offre chiarimenti cruciali su quali elementi oggettivi i giudici debbano valorizzare per provare tale intenzione, anche quando manchi l’atto finale.
I Fatti del Caso: Dall’Appello alla Cassazione
Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di tentato omicidio, decisione confermata dalla Corte d’Appello di Firenze. L’imputato ha presentato ricorso per Cassazione, basando la sua difesa su un unico, articolato motivo: l’errata valutazione da parte dei giudici di merito dell’elemento psicologico del reato.
Secondo la difesa, non vi era prova sufficiente dell’animus necandi. L’argomento principale a sostegno di questa tesi era che l’aggressore, pur avendone la possibilità, non aveva inferto alla vittima il cosiddetto “colpo di grazia”, un gesto che avrebbe dimostrato in modo inequivocabile la sua volontà omicida. La difesa chiedeva, pertanto, di riqualificare il reato da tentato omicidio a quello meno grave di lesioni volontarie.
La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno ritenuto che le argomentazioni della difesa fossero semplici “censure reiterative”, ovvero una ripetizione di motivi già adeguatamente esaminati e respinti dalla Corte d’Appello. Il ricorso è stato giudicato “a-specifico”, in quanto non offriva una prospettiva alternativa credibile e fondata, limitandosi a proporre una diversa interpretazione delle prove già valutate.
Di conseguenza, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: L’Analisi dell’Animus Necandi
Il cuore della decisione risiede nelle motivazioni con cui la Corte ha confermato la correttezza del ragionamento dei giudici di merito. La Cassazione ha ribadito che l’animus necandi può e deve essere desunto da una serie di elementi fattuali e oggettivi, la cui valutazione complessiva permette di ricostruire l’intenzione dell’agente. Nel caso specifico, sono stati ritenuti determinanti:
1. La Pericolosità dell’Arma: L’utilizzo di una pistola, un’arma con un’elevata potenzialità letale, è un primo, forte indicatore della possibile intenzione di uccidere.
2. La Reiterazione dei Colpi: Il fatto che siano stati esplosi più colpi dimostra una persistenza nell’azione aggressiva che va oltre la semplice volontà di ferire o intimidire.
3. La Direzione dei Colpi: I proiettili sono stati indirizzati “ad altezza uomo”, ovvero verso parti vitali del corpo. Questo elemento è stato considerato cruciale per dimostrare che l’azione era intrinsecamente idonea a provocare la morte.
La Corte ha specificato che la mancata esecuzione di un “colpo di grazia” non è, di per sé, un elemento sufficiente a escludere l’intento omicida. L’animus necandi si valuta al momento dell’azione e non in base a ciò che l’aggressore avrebbe potuto fare successivamente.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza consolida un principio fondamentale in materia di tentato omicidio: la prova dell’intenzione di uccidere si basa su un’analisi logica e complessiva del contesto e delle modalità dell’azione. Non è necessario un “atto finale” inequivocabile per dimostrare l’animus necandi. Elementi come il tipo di arma, il numero di colpi e la zona del corpo attinta sono sufficienti a fondare una condanna per tentato omicidio, a condizione che il ragionamento del giudice sia logico, coerente e basato su prove concrete. La decisione sottolinea inoltre l’inammissibilità dei ricorsi in Cassazione che si limitano a riproporre le stesse argomentazioni già respinte, senza evidenziare vizi logici o giuridici nella sentenza impugnata.
Che cos’è l’animus necandi e come viene provato secondo la Cassazione?
L’animus necandi è l’intenzione di uccidere, cioè l’elemento psicologico del reato di omicidio. Secondo la Corte, esso viene provato attraverso l’analisi di elementi oggettivi e fattuali, come la pericolosità dell’arma utilizzata (una pistola), la reiterazione dell’azione (più colpi esplosi) e la direzione dei colpi verso zone vitali del corpo.
L’assenza del ‘colpo di grazia’ è sufficiente per escludere il tentato omicidio?
No. La Corte ha chiarito che la mancata esecuzione di un colpo finale per assicurare la morte della vittima non è un elemento decisivo per escludere l’animus necandi. L’intenzione omicida va valutata sulla base della condotta tenuta durante l’aggressione, non su ciò che l’aggressore ha omesso di fare dopo.
Per quale motivo il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni della difesa erano una mera ripetizione di quelle già presentate e respinte dalla Corte d’Appello. Inoltre, il ricorso è stato ritenuto ‘a-specifico’, in quanto non contestava in modo puntuale le conclusioni logiche dei giudici di merito, ma si limitava a proporre una diversa e non supportata lettura delle prove.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5237 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5237 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME (DETTO XIAOPAN – CUI NUMERO_DOCUMENTO) nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/03/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME (alias Xiaopan CODICE_FISCALE) ricorre avverso la sentenza in preambolo, con la quale la Corte di appello di Firenze ha confermato l’affermazione di responsabilità nei suoi riguardi per il delitto di tentato omicidio visto l’unico, articolato, motivo con il quale la difesa lamenta l’erronea valutazione in punto di idoneità e univocità degli atti posti in essere dall’imputato e dell’elemento psicologico del reato, evidenziando come la Corte d’appello abbia affermato apoditticamente la sussistenza dell’animus necandi senza tenere in adeguata considerazione che questi non ha inferto di cd colpo di grazia alla vittima;
rilevato che si tratta di censure reiterative di analoghi motivi di appello sulle quali il Giudice di secondo grado ha fornito adeguata risposta, a fronte della quale il ricorso si appalesa a-specifico, siccome privo di qualsivoglia prospettazione sulla scorta della quale accreditare la diversa qualificazione del fatto quale lesioni volontarie, in luogo di tentato omicidio;
considerato, invero, che la Corte distrettuale, in linea con le valutazioni già espresse dal giudice di primo grado, ha desunto gli elementi costitutivi, di carattere oggettivo e soggettivo, del più grave reato da elementi fattuali, obiettivamente riscontrati e dotati di pregante valenza dimostrativa, apprezzandoli nell’ambito di un percorso motivazionale privo delle denunziate incongruenze logiche e ancorato ai principi di diritto ripetutamente espressi dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare, l’animus necandi è stato accertato assegnando valore determinante alla complessiva condotta del ricorrente, attraverso una corretta valorizzazione della pericolosità dell’arma (pistola), della reiterazione e direzione dei colpi (esplosi ad altezza uomo);
rilevato che, tale motivazione resiste alle generiche doglianze controvalutative della difesa che si è limitata a fornire una propria diversa lettura dell risultanze istruttorie, senza in alcun modo avversare le ineccepibili conclusioni dei giudici di merito;
ritenuto dunque che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e che a detta declaratoria segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazio (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle qLestioni dedotte, in euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 30 il novembre 2023
Il Consigliere estensore
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