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Animus Necandi: la bottiglia rotta è tentato omicidio

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per tentato omicidio. La Corte stabilisce che l’utilizzo di una bottiglia rotta come arma, colpendo la vittima in zone vitali come collo e testa, dimostra inequivocabilmente l’intenzione di uccidere (animus necandi), rendendo irrilevanti le lievi discordanze nelle testimonianze. La sentenza chiarisce i criteri per la valutazione del dolo nel tentato omicidio e per la commisurazione della pena.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Animus Necandi e Tentato Omicidio: Quando un’Aggressione Rivela l’Intento di Uccidere

La recente sentenza della Corte di Cassazione Penale, n. 5180/2025, offre un’importante lezione su come viene valutato l’animus necandi, ovvero l’intenzione di uccidere, nel contesto di un’aggressione. Il caso analizzato riguarda una condanna per tentato omicidio, in cui l’aggressore ha utilizzato una bottiglia rotta per colpire la vittima in parti vitali del corpo. Questa decisione ribadisce principi fondamentali sulla prova del dolo e sulla irrilevanza di piccole discrepanze testimoniali di fronte a un quadro probatorio solido.

I Fatti del Caso: Una Violenta Colluttazione

L’episodio ha origine da una violenta colluttazione tra due persone in una via di Torino. Le forze dell’ordine, intervenute sul posto, hanno trovato la vittima con una profonda ferita al collo e gli abiti intrisi di sangue. L’aggressore, in evidente stato di agitazione, è stato immobilizzato e arrestato.

Le testimonianze raccolte hanno ricostruito una dinamica chiara: l’imputato aveva afferrato una bottiglia, l’aveva deliberatamente rotta contro un cestino dei rifiuti e l’aveva usata come arma impropria per colpire l’antagonista ripetutamente al capo, al collo (in prossimità della giugulare) e al busto. La Corte d’Appello aveva ridotto la pena a quattro anni di reclusione, decisione contro cui l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione.

Il Ricorso in Cassazione: Contestazioni su Testimonianze e Dolo

La difesa dell’imputato ha basato il ricorso sulla presunta contraddittorietà e illogicità della motivazione della sentenza d’appello. In particolare, si lamentavano:

* Discordanze testimoniali: Le piccole differenze nelle dichiarazioni dei testimoni, ad esempio sul colore degli abiti della vittima o sull’esatta localizzazione dei colpi, avrebbero reso impossibile una ricostruzione attendibile dei fatti.
* Incertezza sull’animus necandi: Di conseguenza, secondo la difesa, non era possibile provare con certezza l’intento omicida, elemento soggettivo indispensabile per il reato contestato.
* Eccessività della pena: Si sosteneva che la pena fosse sproporzionata, dato che il tentativo di omicidio si era fermato a uno stadio iniziale.

La Valutazione dell’Animus Necandi secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha respinto tutte le argomentazioni, dichiarando il ricorso inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nella valutazione dell’animus necandi. I giudici hanno chiarito che, in assenza di una confessione, l’intenzione di uccidere deve essere desunta da elementi oggettivi e inequivocabili del comportamento dell’agente. Nel caso di specie, questi elementi erano abbondanti e convergenti:

1. La scelta dell’arma: La deliberata rottura di una bottiglia per trasformarla in un’arma tagliente e appuntita.
2. La modalità dell’azione: L’imputato ha brandito l’arma improvvisata e si è diretto con violenza verso la vittima.
3. La zona del corpo colpita: I colpi sono stati inferti in aree vitali come il collo, in prossimità della giugulare, e la testa. Questa scelta è considerata un indicatore primario della volontà di causare la morte.
4. La reiterazione dei colpi: L’aggressione è proseguita con più colpi fino a quando la vittima non è caduta a terra.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha spiegato che le discrepanze testimoniali sollevate dalla difesa erano del tutto marginali e non intaccavano il ‘nucleo centrale’ della ricostruzione dei fatti, che rimaneva solido e coerente in tutte le deposizioni. L’identità dell’aggressore, la dinamica dell’aggressione e l’uso della bottiglia come arma erano punti fermi e incontestati. Pertanto, l’ipotesi di una lesione accidentale era insostenibile.

Anche riguardo alla dosimetria della pena, la Corte ha ritenuto la motivazione della Corte d’Appello adeguata. I giudici di merito avevano correttamente bilanciato lo stato iniziale del tentativo con l’oggettiva gravità della condotta e la violenza manifestata dall’imputato, applicando una pena base inferiore alla media edittale, che non necessitava di una motivazione più specifica.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio cruciale: per accertare l’animus necandi nel tentato omicidio, contano i fatti oggettivi. L’uso di un’arma potenzialmente letale, diretto verso zone vitali del corpo, costituisce una prova logica e potente dell’intenzione di uccidere, capace di superare piccole incongruenze nelle testimonianze. La decisione sottolinea come il giudice debba valutare l’azione nel suo complesso, considerando la situazione ‘ex ante’, ovvero dal punto di vista dell’aggressore al momento del fatto. Per gli operatori del diritto e i cittadini, questa pronuncia è un chiaro monito sulla gravità di atti che, per modalità e mezzi, manifestano un inequivocabile disprezzo per la vita altrui.

Le piccole contraddizioni tra testimoni possono annullare una condanna per tentato omicidio?
No. Secondo la sentenza, se le contraddizioni riguardano aspetti marginali (come il colore degli indumenti) e non intaccano il nucleo centrale e coerente della ricostruzione dei fatti, esse sono irrilevanti e non possono invalidare la condanna.

Quali elementi dimostrano l’intenzione di uccidere (animus necandi) in un’aggressione?
L’animus necandi si desume da indicatori oggettivi, quali: la natura dell’arma utilizzata (una bottiglia rotta), la sua idoneità a uccidere, la direzione dei colpi verso zone vitali del corpo (testa, collo vicino alla giugulare) e la reiterazione dell’azione violenta.

Come viene determinata la pena per un omicidio solo tentato?
La pena viene determinata bilanciando diversi fattori. Nel caso specifico, i giudici hanno considerato lo ‘stato iniziale del tentativo’ (che porterebbe a una pena più mite) ma lo hanno contemperato con la ‘gravità oggettiva della condotta’ e la violenza espressa, arrivando a una pena ritenuta congrua.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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