Animus Necandi e Tentato Omicidio: Quando un’Aggressione Diventa un Tentativo di Uccidere
La distinzione tra lesioni personali aggravate e tentato omicidio rappresenta uno dei nodi cruciali del diritto penale, incentrato sulla valutazione dell’elemento psicologico del reo: il cosiddetto animus necandi, ovvero l’intenzione di uccidere. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’analisi chiara dei criteri utilizzati per accertare tale intenzione, confermando la condanna per tentato omicidio a carico di un uomo e dichiarando inammissibile il suo ricorso.
I Fatti del Caso
I fatti risalgono al 2017, quando, al termine di una lite, un uomo colpiva un altro soggetto con un’arma da punta e da taglio. La vittima, disarmata, veniva raggiunta da tergo da un fendente che le attingeva l’emitorace sinistro, provocando una ferita grave e con esposizione a pericolo di vita, come accertato dalla perizia medico-legale.
Inizialmente condannato dal Tribunale, l’imputato vedeva la sua pena parzialmente ridotta in appello, con il riconoscimento di una circostanza attenuante, ma la qualificazione del reato come tentato omicidio veniva confermata. La Corte d’Appello escludeva sia la legittima difesa (reale o putativa) sia l’eccesso colposo, sottolineando la dinamica dell’aggressione: la vittima era disarmata e colpita alle spalle. L’imputato, non soddisfatto, ricorreva in Cassazione, sostenendo un vizio di motivazione e chiedendo la riqualificazione del fatto in lesioni personali.
La Decisione della Corte di Cassazione e l’Animus Necandi
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo una mera riproposizione di argomenti già ampiamente e correttamente valutati e respinti dalla Corte d’Appello. Questo passaggio è fondamentale: per la Cassazione, un ricorso non può limitarsi a presentare una lettura alternativa dei fatti, ma deve evidenziare vizi logici o violazioni di legge nella sentenza impugnata.
Gli Indici Rivelatori dell’Intento Omicida
La decisione dei giudici di merito, avallata dalla Cassazione, si è basata su elementi oggettivi e inequivocabili per accertare la presenza dell’animus necandi. Questi elementi, consolidati nella giurisprudenza, includono:
1. Il tipo di arma utilizzata: un’arma da punta e da taglio è intrinsecamente idonea a causare la morte.
2. La zona del corpo attinta: il colpo è stato diretto verso l’emitorace sinistro, una regione anatomica che ospita organi vitali come il cuore e i polmoni.
3. La gravità della lesione: la perizia medico-legale ha confermato che la ferita era tale da esporre la vittima a un concreto pericolo di vita.
Questi fattori, letti congiuntamente, hanno portato i giudici a concludere che l’azione non era finalizzata semplicemente a ferire, ma era sorretta da un’intenzione omicida.
L’Esclusione della Legittima Difesa e delle Lesioni Volontarie
La Corte ha anche ribadito l’impossibilità di invocare la legittima difesa. La dinamica dei fatti, con una vittima disarmata e colpita da tergo, è del tutto incompatibile con i presupposti della scriminante, che richiede una reazione proporzionata a un’aggressione ingiusta e attuale. Allo stesso modo, è stata respinta la richiesta di derubricare il reato a lesioni volontarie, proprio perché la natura e la sede della ferita dimostravano un’intenzione che andava oltre il semplice ferimento.
Le Motivazioni
La Corte di Cassazione ha ritenuto che il discorso giustificativo della sentenza d’appello fosse logicamente coerente e giuridicamente corretto. I motivi del ricorso, secondo gli Ermellini, si limitavano a riproporre le stesse doglianze già formulate in appello riguardo all’assenza dell’animus necandi, senza però confrontarsi criticamente con le argomentazioni puntuali e adeguate fornite dai giudici di merito. In assenza di vizi motivazionali o violazioni di legge, il ricorso non poteva che essere dichiarato inammissibile.
Conclusioni
Questa ordinanza riafferma un principio cardine: l’animus necandi nel tentato omicidio non deve essere provato con una confessione, ma può essere desunto con certezza da un’attenta analisi delle circostanze oggettive del fatto. La decisione sottolinea inoltre il rigore con cui la Corte di Cassazione valuta i ricorsi, respingendo quelli che si traducono in un tentativo di ottenere un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti, anziché denunciare vizi di legittimità. Per la difesa, ciò implica la necessità di costruire un’impugnazione che attacchi specificamente la logica e la coerenza giuridica della decisione precedente, piuttosto che limitarsi a riproporre la propria versione dei fatti.
Come si distingue il tentato omicidio dalle lesioni personali?
La distinzione fondamentale risiede nell’elemento psicologico, cioè l’intenzione dell’agente. Nel tentato omicidio deve essere presente l’animus necandi (l’intenzione di uccidere), che viene desunto da elementi oggettivi come il tipo di arma usata, la zona del corpo colpita (se vitale o meno) e la gravità della ferita inferta.
Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, secondo la Corte, si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte in appello, senza individuare specifici vizi di logica o violazioni di legge nella sentenza impugnata. In pratica, non ha offerto nuovi spunti critici ma ha solo tentato di ottenere una nuova valutazione dei fatti.
In questo caso, perché non è stata riconosciuta la legittima difesa?
La legittima difesa è stata esclusa perché le circostanze del fatto erano incompatibili con i requisiti di legge. In particolare, la vittima era disarmata ed è stata colpita da tergo, elementi che dimostrano l’assenza di un’aggressione ingiusta e attuale dalla quale fosse necessario difendersi.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10136 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10136 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il 07/06/1989
avverso la sentenza del 15/02/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
PREMESSO
che, con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della decisione emessa il 13 dicembre 2021 dal Tribunale di Macerata, previo riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 2), cod. pen., rideterminava nella misur di tre anni e due mesi di reclusione la pena inflitta a NOME COGNOME per il reato di tenta omicidio commesso in danno di NOME in Macerata, all’alba dell’8 dicembre 2017; che, secondo il ragionamento della Corte di merito, non erano ravvisabili, nella specie, né la legittima difesa, reale o putativa, né l’eccesso colposo dalla scriminante, atteso che la vittima, disarmata, era stata colpita da tergo con un’arma da punta e da taglio; che, inoltre, la condotta non era sussumibile nella meno grave ipotesi di lesioni volontarie, tenuto conto che la ferita patita dalla persona offesa aveva attinto l’emitorace sinistro con esposizione a pericolo di vita, come attestato dal perito medico-legale;
LETTO
il ricorso per cassazione proposto dall’interessato, per il tramite del difensore, con il qual in tre motivi, si denunciando vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all’affermazione di responsabilità per tentato omicidio e alla mancata qualificazione della condotta nell’alveo delle lesioni personali;
vista la memoria successivamente trasmessa;
CONSIDERATO
che ricorso è basato su motivi che si risolvono nella mera riproposizione di doglianze formulate in sede di appello sull’assenza dell’animus necandi e confutate in modo adeguato dalla Corte territoriale nei termini sopra sinteticamente riportati;
che nessun vizio motivazionale, né alcuna violazione di legge possono, dunque, essere apprezzati nella sentenza impugnata, ritenuta la conducenza logica e giuridicamente corretta del discorso giustificativo articolato dai giudici di merito, con il quale la di dell’interessato evita di misurarsi in modo critico;
che il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con le conseguenti statuizioni;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2024
Il Consigliere estensore