Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19961 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19961 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato ad AVERSA il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 16/06/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale NOME
COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata pronunziata il 16 giugno 2023 dalla Corte di appello di Firenze, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Pisa che aveva condannato NOME per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, in relazione alla “RAGIONE_SOCIALE” (fallita il 20 novembre 2012), commesso nella qualità di legale rappresentante e di liquidatore della società fallita.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, articolato con specifico riferimento all’elemento oggettivo del reato, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 216 e 220 legge fall. e 137, 192, 530 e 533 cod. proc. pen.
Sostiene che la Corte di appello non avrebbe valutato con attenzione le «doglianze difensive». In particolare, non avrebbe tenuto conto delle seguenti circostanze: l’imputato era una mera «testa di paglia»; nel momento in cui egli aveva assunto la carica (nel 2009), la società non risultava più attiva, avendo operato sino al 2007; gran parte della documentazione era stata trattenuta dalla Guardia di Finanza.
2.2. Con un secondo motivo, articolato con specifico riferimento all’elemento soggettivo del reato, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 216 e 220 legge fall. e 187, 192, 530 e 533 cod. proc. pen.
Contesta la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, ponendo in rilievo che: l’imputato era una mera «testa di paglia»; NOME COGNOME era il «vero dominus» della società. In considerazione di tali circostanze sarebbe illogico ritenere – come fatto dalla Corte di appello – che la condotta dell’imputato fosse supportata dal necessario dolo specifico.
2.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 62-bis, 132 e 133 cod. pen.
Contesta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, sostenendo che, sul punto, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe carente, illogica e contraddittoria. La Corte di appello, in particolare, non avrebbe tenuto conto dei seguenti elementi: l’imputato era una mera «testa di legno»; i fatti non erano gravi; la condotta era stata realizzata per un periodo di tempo limitato e quando la società ormai non era più operativa.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. I primi due motivi di ricorso GLYPH che possono essere analizzati congiuntamente, essendo strettamente correlati – sono manifestamente infondati.
Entrambi si basano, essenzialmente, sulla circostanza che l’imputato sarebbe stato una mera «testa di paglia», atteso che il vero amminisl:ratore della società sarebbe stato tale COGNOME NOME.
Ebbene, va rilevato che tale circostanza, nei termini generici in cui è rappresentata dal ricorrente, non assume rilievo determinante.
Va, invero, ricordato che l’assunzione solo formale della carica gestoria non consente, di per sé, l’automatica esenzione di responsabilità dell’amministratore dai reati di bancarotta documentale, atteso che egli è il diretto destinatario, ex art. 2392 cod. civ., dell’obbligo relativo alla regolare tenuta e conservazione dei libri contabili (cfr. Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, Pastechi, Rv. 271754). Per cui egli, qualora deleghi ad altri in concreto la tenuta della contabilità o comunque consenta che altri assumano di fatto la gestione della società, non è esonerato dal dovere di vigilare sull’operato dei delegati o degli amministratori di fatto e conseguentemente, dalla responsabilità penale, eventualmente in forza del disposto di cui all’art. 40, comma 2, cod. pen., se viene meno a tale dovere (Sez. 5, n. 36870 del 30/11/2020, Marelli, Rv. 280133).
Quanto all’elemento soggettivo del reato, la Corte di appello ha evidenziato che l’imputato, pur in presenza di un amministratore di fatto (COGNOME NOME), era coinvolto negli interessi della società e in quelli del più ampio gruppo del quale la fallita faceva parte (“RAGIONE_SOCIALE“), risultando, pertanto, pienamente consapevole delle modalità illecite con cui veniva gestita la società. Il NOME non solo era il legale rappresentante della società fallita, ma aveva acquistato anche quote sociali dal COGNOME e svolgeva il ruolo di amministratore anche della capogruppo.
I giudici di merito hanno evidenziato anche che: l’omessa tenuta delle scritture contabili era iniziata in concomitanza con una serie di operazioni di compravendita di immobili tra la fallita e la “RAGIONE_SOCIALE“; «i torb avvicendamenti in sede di amministrazione della società (come riportati dal COGNOME e dal luogotenente COGNOME), facevano desumere non solo la volontà di oscurare le operazioni effettuate», ma anche l’esigenza di complicare in futuro l’ accertamento di eventuali responsabilità (cfr. anche sentenza di primo grado, pagina 7).
Gli elementi evidenziati dai giudici di merito sono sicuramente idonei a supportare la sussistenza dell’elemento soggettivo e, in relazione alla loro valorizzazione, il ricorrente non ha posto in rilievo alcun effettivo travisamento di prova o determinate vizio logico.
Quanto alla presunta inattività della società, nel periodo successivo all’assunzione della carica formale da parte dell’imputato, va ricordato che l’obbligo di tenuta delle scritture contabili viene meno solo quando la cessazione dell’attività
commerciale viene formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese (Sez. 5, n. 20514 del 22/01/2019, Martino, Rv. 275261; Sez. 5, n. 15516 del 11/02/2011, COGNOME, Rv. 250086; Sez. 5, n. 44666 del 04/11/2021, COGNOME Porta, Rv. 282280).
La tesi secondo la quale la documentazione contabile sarebbe stata trattenuta dalla Guardia di finanza, trova precisa smentita nella sentenza impugnata. La Corte di appello, infatti, ha evidenziato che: il curatore aveva riferito di non aver avuto alcuna notizia circa il trattenimento della documentazione da parte della Guardia di finanza; il teste COGNOME (luogotenente della Guardia di finanza) aveva riferito che, in sede di accertamento fiscale, non era risultata disponibile la documentazione necessaria a ricostruire il volume degli affari.
1.2. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Invero, per la consolidata giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269), nel motivare il diniego delle attenuanti generiche, è sufficiente un congruo riferimento, da parte del giudice di merito, agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti, come parimenti avvenuto nel caso in esame (cfr. l’ultima pagina della sentenza impugnata). La Corte di appello, in particolare, ha posto in rilievo non solo l’intensità del dolo, ma anche e soprattutto i numerosi e gravi precedenti penali a carico dell’imputato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 15 febbraio 2024.