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Amministratore senza delega: la prova della colpa

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso del pubblico ministero contro l’annullamento di una misura cautelare per un amministratore senza delega. La Corte ribadisce che per affermare la responsabilità per bancarotta impropria non basta la mera ‘conoscibilità’ delle condotte illecite altrui, ma serve la prova di una ‘conoscenza effettiva’ dei fatti o di segnali di allarme inequivocabili, deliberatamente ignorati. Il ricorso è stato giudicato un tentativo di rivalutare i fatti, compito che esula dalle funzioni della Corte di legittimità.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore senza delega e Bancarotta: La Cassazione sui Limiti della Responsabilità

La recente sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sezione V, n. 20153/2024, offre un’importante chiarificazione sui confini della responsabilità penale dell’amministratore senza delega in caso di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali. La pronuncia stabilisce un principio fondamentale: per configurare il concorso omissivo nel reato, non è sufficiente che l’amministratore potesse conoscere le attività illecite, ma è necessaria la prova della sua ‘conoscenza effettiva’ dei fatti predatori o di ‘segnali di allarme’ inequivocabili.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un membro del consiglio di amministrazione di una società per azioni, successivamente dichiarata fallita. A suo carico era stata applicata una misura cautelare interdittiva (il divieto di esercitare la professione) per il reato di bancarotta impropria. L’accusa sosteneva che egli, approvando bilanci societari non veritieri, avesse contribuito a occultare le perdite derivanti da una serie di operazioni depauperative poste in essere dal Presidente del CdA, figura dominante e vero ‘dominus’ della società.

La Decisione del Tribunale del Riesame

In seguito all’appello dell’indagato, il Tribunale del Riesame di Genova aveva annullato la misura cautelare. La ragione principale era la carenza di gravi indizi di colpevolezza riguardo all’elemento soggettivo del reato. Secondo il Tribunale, non era stato dimostrato che l’amministratore fosse consapevole delle operazioni predatorie commesse dagli altri amministratori, né che avesse percepito segnali di allarme tali da imporgli un intervento. Il suo ruolo, privo di deleghe operative specifiche e di cointeressenze in altre società del gruppo, lo rendeva estraneo al circuito di interessi illeciti che faceva capo al Presidente.

Il Ricorso del Pubblico Ministero e la responsabilità dell’amministratore senza delega

Il Pubblico Ministero ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando l’illogicità della motivazione del Tribunale del Riesame. Secondo l’accusa, l’amministratore non poteva non sapere, data la sua partecipazione alle riunioni del CdA e alle assemblee, e data la presenza nei bilanci di numerose operazioni con parti correlate. Il PM ha sostenuto che questi elementi costituivano chiari segnali di allarme che l’indagato avrebbe dolosamente ignorato, omettendo di esercitare i suoi doveri di vigilanza e contribuendo così all’approvazione di bilanci falsi.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso del Pubblico Ministero inammissibile, confermando la decisione del Tribunale del Riesame. Le motivazioni sono cruciali per comprendere la moderna interpretazione della responsabilità dell’amministratore senza delega.

La Necessità della ‘Conoscenza Effettiva’

Il punto centrale della decisione è la distinzione tra ‘conoscibilità’ e ‘conoscenza effettiva’. La giurisprudenza più recente, richiamata dalla Corte, ha superato l’idea che un amministratore risponda penalmente solo in virtù della sua posizione. Oggi si richiede la prova rigorosa che egli avesse una conoscenza concreta e reale delle condotte illecite o, quantomeno, di ‘segnali di allarme’ così evidenti e inequivocabili da rendere la sua inerzia una scelta consapevole di accettazione del rischio (dolo eventuale). Un semplice sospetto o la mera possibilità di informarsi non sono sufficienti a fondare un’accusa di bancarotta.

I Limiti del Giudizio di Legittimità

La Corte ha inoltre ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti o di sostituire la propria valutazione delle prove a quella del giudice di merito. Il ricorso del PM è stato giudicato come un tentativo di proporre una ‘lettura alternativa’ delle fonti indiziarie, chiedendo alla Cassazione di rivalutare elementi come le relazioni della società di revisione o il contenuto dei verbali. Questo tipo di attività è preclusa nel giudizio di legittimità, che si limita a verificare la correttezza logica e giuridica del ragionamento del giudice precedente.

L’irrilevanza delle Operazioni con Parti Correlate come Prova Automatica di Dolo

Un altro aspetto significativo riguarda le operazioni con parti correlate. La Corte ha specificato che la semplice indicazione di tali operazioni nelle note integrative dei bilanci non è, di per sé, un ‘segnale di allarme’. Per diventarlo, l’accusa deve dimostrare che da tali indicazioni emergesse con chiarezza la natura distrattiva o depauperativa delle operazioni, un dato che nel caso di specie non era stato provato.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento garantista in materia di responsabilità penale degli amministratori. Si afferma con forza che la carica di amministratore senza delega comporta un dovere di agire informato, ma non si traduce in una responsabilità oggettiva per i fatti illeciti commessi da altri. Per affermare il concorso omissivo nel reato di bancarotta, l’accusa deve superare una soglia probatoria elevata, dimostrando che l’amministratore non si è limitato a essere negligente, ma ha volontariamente chiuso gli occhi di fronte a segnali chiari e inequivocabili di un’attività criminale ai danni della società.

Quando un amministratore senza delega risponde per la bancarotta causata da altri amministratori?
Secondo la sentenza, l’amministratore senza delega risponde penalmente solo se viene fornita la prova della sua ‘effettiva conoscenza’ delle condotte predatorie o di ‘segnali di allarme’ inequivocabili che ha volontariamente ignorato. La mera ‘conoscibilità’ dei fatti o una semplice negligenza non sono sufficienti per configurare il dolo richiesto dal reato.

La semplice esistenza di operazioni con parti correlate è sufficiente a provare la consapevolezza dell’amministratore?
No. La sentenza chiarisce che la sola indicazione di operazioni con parti correlate nella nota integrativa al bilancio non costituisce di per sé un segnale di allarme. È necessario che da tali indicazioni emerga con chiarezza anche la natura depauperativa o anomala delle operazioni, altrimenti non è un elemento da cui si può dedurre la consapevolezza dell’amministratore.

Può la Corte di Cassazione riesaminare le prove e i fatti valutati dal Tribunale del riesame?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che il suo giudizio è di ‘legittimità’ e non di ‘merito’. Non può quindi effettuare una ‘rilettura’ degli elementi di fatto o una nuova valutazione delle prove. Il suo compito è verificare la correttezza logica e giuridica della motivazione della decisione impugnata, senza sostituirsi al giudice che ha valutato i fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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