Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34064 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3   Num. 34064  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/09/2025
Sent. n. 1303/2025
UDIENZA  PUBBLICA
DEL
16/09/2025
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Sesto San Giovanni il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/12/2024 della Corte di appello di Brescia
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta  la  requisitoria  scritta  del  Pubblico  Ministero,  in  persona  del  AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
lette per l’imputato le conclusioni scritte dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10/12/2024, la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza emessa in data 1/12/2023, all’esito del dibattimento, dal Tribunale di Bergamo,- con la quale RAGIONE_SOCIALE NOME era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 4 d.lgs 74/2000 ascrittogli al capo 1) dell’imputazione e condannato alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione ed alle correlate pene accessorie, nonchè assolto dal reato di cui al capo 2) dell’imputazione per non aver commesso il fatto – riduceva la pena inflitta all’imputato ad anni 1 e mesi 4 di reclusione e nella stessa misura le pene accessorie temporanee.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo di ricorso deduce erronea applicazione degli artt. 18 d.lgs 74/2000 e 8 e 9 cod.proc.pen.
Argomenta che sia in primo grado che dinanzi alla Corte di appello era stata sollevata eccezione di incompetenza territoriale, sul presupposto che il Tribunale competente fosse quello di Brescia, ultima sede legale della RAGIONE_SOCIALE; infatti, essendo oggetto di imputazione due annualità di imposta (2014 e 2015), la competenza territoriale andava determinata ex art. 9, comma 1, cod.proc.pen ovvero presso il Giudice dell’ultimo luogo in cui era avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione, ovvero la provincia di Brescia.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione alla compatibilità tra  dolo  eventuale e  dolo  specifico  ed alla  responsabilità  dell’amministratore di diritto pur in presenza di un gestore di fatto, nonchè travisamento delle prove.
Argomenta che qualora emerga, come nella specie, la prova dell’esclusivo svolgimento delle attività amministrative e gestorie in capo ad altro soggetto, amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, l’amministratore formale non può essere ritenuto responsabile delle condotte delittuose penal-tributarie; deduce che l’accettazione della gestione altrui non può comportare l’accettazione anche delle singole azioni delittuose altrui, in difetto di prova in ordine alla consapevolezza delle altrui finalità elusive. Lamenta, poi, che la prova testimoniale di NOME COGNOME, era stata ritenuta attendibile, nonostante la teste avesse lavorato alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE solo a partire dal gennaio 2015, come dalla prova decisiva costituita dal cedolino paga dal quale risultava l’assunzione dal gennaio 2015; le dichiarazioni rese dalla teste relativamente all’anno 2014, pertanto, non potevano essere prese in considerazione dalla Corte di appello. Rimarca, infine, che la responsabilità dell’amministratore di diritto non può essere fondata sul disposto
dell’art. 40 cpv cod.pen. non sussistendo un obbligo giuridico in tal senso, ma sul disposto dell’art. 110 cod.pen. e, cioè, con applicazione dei criteri generali sul dolo nel concorso di persone.
Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 603, comma 3, cod.proc.pen. e manifesta illogicità della motivazione.
Lamenta che la Corte di appello aveva ritenuto tardivo il documento prodotto con le conclusioni rassegnate via PEC all’udienza cartolare del 10/12/2024, documento che attestava che la teste COGNOME NOME, le cui dichiarazioni erano state poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, era stata assunta dalla RAGIONE_SOCIALE in data 1/01/2025 e che nel corso del 2015 era stata quasi sempre assente per maternità; quindi, la teste non poteva riferire in merito all’anno 2014, come, invece, avvenuto. Deduce che trattasi di omissione di acquisizione di prova decisiva da parte del Giudice di appello con conseguente nullità della sentenza impugnata.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
 Il  Pg  ha  depositato  requisitoria  scritta;  il  difensore  dell’imputato  ha depositato memoria con conclusioni scritte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va osservato che questa Corte (Sez.3, n. 37858 del 04/06/2014, Piccioni Rv.260115 – 01; Sez. 3 n. 42147 del 15/07/2019, Reale, Rv. 277984 – 03; Sez. 3, n. 31517 del 29/09/2020, NOME, Rv. 280161) ha affermato che il d.lgs. n. 74 del 2000 – pur prevedendo una propria e specifica disciplina, rispetto a quella codicistica, diretta a regolare la competenza per territorio – non contiene, quanto alla competenza per territorio derivante dalla connessione, principi diversi rispetto a quelli fissati nel codice di rito. Ne consegue che, nei reati tributari, la competenza per territorio derivante dalla connessione è disciplinata dall’art. 16 c.p.p.. Il d.lgs. n. 74 del 2000, art. 18, detta le regole per la determinazione della competenza per territorio in relazione al “singolo reato tributario” e stabilisce un criterio di carattere AVV_NOTAIO, ossia valido ratione materiae per tutti i reati tributari, che sopporta, come reso evidente dalla clausola di salvezza contenuta nel d.lgs. n. 74 del 2000, art. 18, comma 1, due eccezioni. Stabilisce, come criterio di carattere AVV_NOTAIO, che la competenza per territorio nei reati tributari si determina ai sensi dell’art. 8 c.p.p., (ossia secondo le regole generali valide per i reati comuni)e che, qualora la competenza per territorio non possa essere determinata ai sensi dell’art. 8 c.p.p., è competente il giudice del luogo di accertamento del reato. Logico corollario di tali principi è che, nei reati tributari, non si applicano le regole
suppletive di cui all’art. 9 cod.proc.pen., perché  l’unica regola suppletiva applicabile è quella del luogo di accertamento del reato.
Va, quindi, ricordato che il disposto dell’art. 18, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 – a tenore del quale “Per i delitti previsti dal capo I del titolo II il reato si considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale” -, è stato costantemente interpretato in stretta correlazione al principio di effettività del domicilio fiscale delle persone giuridiche agli effetti della legge processuale penale. Ciò significa che la competenza territoriale per i delitti in materia di dichiarazione riguardante le imposte relative alle persone giuridiche si determina con riferimento al luogo in cui queste ultime hanno il domicilio fiscale, che, di regola, coincide con quello della sede legale, ma che, ove questa risulti avere carattere meramente fittizio, corrisponde al luogo in cui si trova la sede effettiva dell’ente (Sez. 3, n. 27606 del 14/09/2020, COGNOME, Rv. 280275; Sez. 3, n. 20504 del 19/02/2014, COGNOME e altri, Rv. 259783).
Nel caso di specie, la Corte di appello, condividendo la valutazione del Tribunale, ha correttamente applicato i principi suesposti, evidenziando che la RAGIONE_SOCIALE in esame avesse sede effettiva in Bergamo al momento di presentazione della dichiarazione relativa all’anno di imposta 2014 (capo 1) e che tale luogo era quello di commissione del predetto reato più grave, così radicandosi la competenza territoriale in Bergamo, in quanto trovava applicazione il criterio determinativo della competenza di cui all’art. 16, primo comma, cod.proc.pec., vertendosi in fattispecie di reati connessi a norma dell’art. 12 lett. b) cod.proc.pen.
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va ricordato che costituisce principio consolidato che l’amministratore di diritto di una RAGIONE_SOCIALE risponde del reato tributario contestatogli quale diretto destinatario degli obblighi di legge, finanche se sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale, per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (Sez. F, n. 42897 del 09/08/2018, COGNOME., Rv. 273939 – 02; Sez. 3, n. 7770 del 05/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258850 – 01; Sez. 3, n. 22919 del 06/04/2006, COGNOME, Rv. 234474 – 01; v. anche Sez. 3, n. 20050 del 16/03/2022, COGNOME, Rv. 283201 – 01).
Deve  anche  ricordarsi  che  il  prestanome,  accettando  la  carica  ha  anche accettato i rischi ad essa connessi e risponde comunque a titolo di dolo eventuale esponendosi  alle  conseguenze  dell’operato  dei  gestori  reali  e  dunque  alla possibilità che questi pongano in essere, attraverso il paravento loro prestato con
la carica ricoperta, attività non legali; ciò in base alla posizione di garanzia di cui all’art. 2392 cod. civ., in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la RAGIONE_SOCIALE e per i terzi (cfr. Cass. 26 gennaio 2006, n. 7208; Cass. 26 novembre 1999, COGNOME, Rv 215199; Sez. 3, n. 22919 del 06/04/2006 – dep. 04/07/2006, COGNOME, Rv. 234474). E si è chiarito che, in tema di reati tributari, il prestanome non risponde dei delitti in materia di dichiarazione previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, solo se è privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione della RAGIONE_SOCIALE (nella specie, questa Corte ha annullato la sentenza impugnata che aveva assolto il legale rappresentante di una RAGIONE_SOCIALE, trascurando la circostanza che lo stesso era a conoscenza della dubbia regolarità della gestione societaria da parte dell’amministratore di fatto: Sez. 3, n. 47110 del 19/11/2013 – dep. 27/11/2013, PG in proc. Piscicelli, Rv. 258080).
Nella specie, la Corte di appello ha dato corretto rilievo al dato meramente formale di accettazione della carica di amministratore da parte del ricorrente ed ha evidenziato, altresì, il ruolo attivo e sostanziale svolto dallo stesso nell’ambito societario (per quasi tre anni era costantemente presente in azienda, coordinava l’esecuzione delle commesse, di rilevantissimo importo, e le squadre di lavoratori), e, quindi, l’accettazione del rischio connesso alla carica di amministratore di diritto in relazione alla commissione di reati da parte dell’amministratore di fatto.
Da tanto consegue, come anticipato, la manifesta infondatezza della censura.
Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte di appello, pur ritenendo tardiva la produzione documentale, ne ha, comunque, valutato la decisività ai fini della decisione e ne ha escluso la rilevanza affermando  che,  pur  escluso  il  periodo  temporale  indicato  dall’appellante,  le dichiarazioni testimoniali riferivano, comunque, la circostanza che COGNOME NOME era  stato  a  tutti  gli  effetti  l’amministratore  della  RAGIONE_SOCIALE  fino  a  quando  era subentrato nella gestione il liquidatore NOME COGNOME.
Il ricorrente, neppure confrontandosi con tali congrue e non manifestamente illogiche argomentazioni (confronto doveroso per l’ammissibilità dell’impugnazione, ex art. 581 cod.proc.pen., perché la sua funzione tipica è quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso, cfr Sez.6, n.20377 del 11/03/2009, Rv.243838; Sez.6, n.22445 del 08/05/2009, Rv.244181) si dilunga in considerazioni in fatto, precluse in sede di legittimità, allegando al ricorso nuovi documenti dei quali sollecita la valutazione nel merito, la cui produzione non è consentita in questa sede. Va ricordato, con riferimento a tale ultimo profilo, che nel giudizio di legittimità possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano “prova nuova” e
non comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito (Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019, Rv. 277609 – 01).
Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
 Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità  (Corte  Cost.  sent.  n.  186  del  13.6.2000),  alla  condanna  del ricorrente  al  pagamento  delle  spese  del  procedimento  consegue  quella  al pagamento  della  sanzione  pecuniaria  nella  misura,  ritenuta  equa,  indicata  in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese  processuali  e  della  somma  di  euro  tremila  in  favore  della  RAGIONE_SOCIALE  delle Ammende.
Così deciso il 16/09/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME