Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 489 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Data Udienza: 22/11/2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 489 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a REGGIO EMILIA il 25/07/1969
avverso la sentenza del 13/02/2024 della Corte d’appello di Bologna
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso; dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Con sentenza del 13/02/2024 la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bologna del 28/03/2023, che aveva condannato NOME COGNOME alla pena di anni 2 e mesi 3 di reclusione in ordine ai reati di cui agli articoli 4 e 5 d. lgs. 74/2000, dichiarava estinto per prescrizione il capo b) e per i restanti capi a) e c) rideterminava la pena in anni 1 e mesi 8 di reclusione.
Avverso tale sentenza l’imputata propone ricorso per cassazione.
2.1. Con un primo motivo lamenta violazione dell’articolo 17 cod. proc. pen., per non avere la Corte territoriale accolto l’istanza di riunione.
In primo grado il Tribunale aveva rigettato analoga richiesta e le relative ordinanze erano state impugnate con la sentenza; la doglianza era tuttavia disattesa dalla Corte felsinea con motivazione apparente e sostanzialmente ripetitiva dei provvedimenti impugnati.
2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione dell’articolo 5 d. lgs. 74/2000 e vizio di motivazione in riferimento alla responsabilità dell’imputata quale amministratore di diritto della società RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE e all’elemento soggettivo del reato.
La ricorrente aveva un ruolo servente rispetto ad altri soggetti, quale NOME COGNOME reale gestore
della società, circostanza che emergeva in modo evidente proprio dalla richiesta di rinvio a giudizio di uno dei procedimenti di cui si chiedeva la riunione.
Va censurata la sentenza di appello laddove evidenzia anche che l’imputata, oltre che amministratore di diritto, fosse anche amministratrice di fatto, laddove nella pagina successiva cita una giurisprudenza che indica gli elementi da cui dedurre la gestione di fatto in modo radicalmente diversi da quelli presenti nel caso di specie.
Da qui la contraddizione: o l’imputata era effettivamente solo un prestanome, oppure era amministratrice di fatto, ma manca a tal proposito l’analisi dell’esercizio in concreto di tali poteri. Manca inoltre qualsiasi spiegazione in ordine alla sussistenza del dolo specifico di evasione.
3. Il ricorso Ł inammissibile.
4. Il primo motivo Ł manifestamente infondato.
Questa Corte ritiene (Sez. 1, n. 5206 del 10/04/1996, COGNOME, Rv. 204668 – 01) che «in tema di connessione e competenza, la riunione dei processi Ł un provvedimento meramente discrezionale; ne consegue che non sussiste nullità del giudizio ove vi sia stato un implicito rigetto della richiesta e manchi un motivato provvedimento di diniego della riunione».
Analogamente, si Ł ritenuto (Sez. 4, n. 3190 del 19/12/1996, Laraba, Rv. 206618 – 01) che «per l’omessa osservanza degli artt. 17, 18 e 19 cod. proc. pen., che contengono la disciplina dei provvedimenti di separazione o di riunione, il codice non prevede alcuna sanzione di nullità». Da ultimo, si Ł ritenuto che «il provvedimento con cui il giudice dispone la riunione dei procedimenti ha carattere meramente ordinatorio e discrezionale in quanto attiene alla distribuzione interna dei processi ed all’economia dei giudizi e, come tale, non Ł impugnabile con ricorso per cassazione, salvo che non sia derivata una violazione delle norme concernenti gli effetti della connessione sulla competenza» (Sez. 1, n. 15903 del 22/02/2024, Casagrande, n.m.; Sez. 3, n. 43813 del 04/10/2023, RAGIONE_SOCIALE; Sez. 1, n. 27958 del 20/01/2014, COGNOME, Rv. 262252 – 01; Sez. 5, n. 8404 del 03/10/2013, dep. 2014, Corti, Rv. 259050 – 01).
La doglianza, che non si confronta con la consolidata giurisprudenza della Corte, Ł pertanto manifestamente infondata.
Il secondo motivo Ł inammissibile quanto alla parte di doglianza correlata al primo motivo (relativo alla esistenza di amministratori di fatto, circostanza che emergerebbe dai procedimenti di cui si era chiesta la riunione), a cagione della manifesta infondatezza dello stesso.
Quanto alla doglianza relativa alla inesistenza di poteri di fatto e al dolo specifico, già la sentenza di appello evidenzia come essa sia generica ai limiti dell’inammissibilità (pag. 7) e meramente ripetitiva di argomenti già ampiamente disattesi dal giudice di primo grado, il quale aveva evidenziato come la stessa avesse a piena disposizione tutti gli strumenti, documentali e operativi, per seguire le vicende societarie, che di fatto aveva seguito (circostanza confermata dalla stessa imputata in sede di informazioni rilasciate all’amministratore giudiziario, riportate a pag. 3 della sentenza e richiamate a pag. 7), elementi da cui si evinceva che la stessa non aveva abdicato totalmente al suo ruolo gestorio.
Evidenzia inoltre la Corte felsinea che la presenza di amministratori di fatto non esclude la responsabilità degli amministratori di diritto, nel caso in cui questi ultimi esercitino, come nel caso in esame, poteri gestori.
Va del resto evidenziato che per costante giurisprudenza, la prova del dolo specifico dei reati tributari di cui agli artt. 5, 8 e 10 del d.lgs n. 74 del 2000 in capo all’amministratore di diritto di una società, che funge da mero prestanome, può essere desunta dal complesso dei rapporti tra questi e
l’amministratore di fatto, nell’ambito dei quali assumono decisiva valenza la macroscopica illegalità dell’attività svolta e la consapevolezza di tale illegalità (Sez. 3, n. 2570 del 28/09/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275830 – 01).
Nel caso di specie, concordemente i giudici del merito hanno desunto la sussistenza del dolo in ragione dell’entità del superamento delle soglie di punibilità.
Trattasi di doppia conforme valutazione di fatto non suscettibile di rivalutazione in sede di legittimità.
Inoltre, il motivo costituisce pedissequa reiterazione di censura già dedotta con l’atto di appello, motivatamente disattesa dalla Corte territoriale.
E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217).
Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonchØ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 22/11/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME