Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 18616 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 18616 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PAZIENZA VITTORIO
Data Udienza: 28/03/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nata a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 13/06/2023 dalla Corte d’Appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13/06/2023, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Roma, in data 05/05/2022, con la quale COGNOME NOME era stata condannata alla pena di giustizia in relazione al delitto di cui all’art. 5 d.lv. n. 74 del 2000, a lei ascritto per l’anno di imposta 2017 qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
Ricorre per cassazione la COGNOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di penale responsabilità. Si censura la sentenza impugnata per il mancato confronto con le risultanze evidenziate nell’atto di appello con riferimento al ruolo realmente svolto dalla ricorrente e a quello di COGNOME NOME, reale dominus della società. In particolare, si deduce che, dalle risultanze acquisite (ed allegate nel corpo del ricorso) era emerso il travisamento della prova, dal momento che la ricorrente aveva individuato il COGNOME come precedente amministratore e tenutario delle scritture, tentando di contattarlo e fornendo il suo numero telefonico; si richiama inoltre la procura speciale rilasciata al COGNOME, che consentiva a quest’ultimo di operare come amministratore occulto, nonché i tentativi dei direttori di due banche di parlare con lui.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico. Si deduce che la ricorrente, mera prestanome mai entrata in possesso delle scritture contabili, mai avrebbe potuto accorgersi del fatto che la società era attiva e della conseguente necessità di presentare le dichiarazioni fiscali.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione della non menzione della condanna. Si censura la sentenza per il mancato esame dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., ed il riferimento alle pene accessorie che non trovava riscontri nel testo attuale dell’art. 175 cod. pen.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, per la genericità e manifesta infondatezza delle questioni prospettate.
Con memoria tempestivamente trasmessa, il difensore replica alle argomentazioni del P.G., insistendo per il suo accoglimento
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente all’ultimo motivo.
Per ciò che riguarda i due primi ordini di censure, che possono qui essere trattati congiuntamente, è opportuno prendere le mosse dal consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte secondo cui «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la
persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, del credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento» (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747 – 01).
In tale prospettiva ermeneutica, che si condivide e qui si intende ribadire, le doglianze difensive non superano lo scrutinio di ammissibilità, risolvendosi nella censura del merito delle valutazioni operate dalla Corte d’Appello (in piena sintonia con il primo giudice), e nella reiterata prospettazione di una diversa e più favorevole lettura delle risultanze acquisite, il cui apprezzamento in questa sede è evidentemente precluso.
D’altra parte, la Corte d’Appello ha diffusamente esposto, senza incorrere in criticità denunciabili in questa sede, le ragioni a sostegno della conferma della condanna in primo grado per la mancata presentazione delle dichiarazioni della RAGIONE_SOCIALE, a lei addebitata per essere entrata in carica, quale amministratore unico, nel giugno 2018 e quindi prima della scadenza del termine di presentazione delle dichiarazioni medesime.
In particolare, è stata valorizzata la partecipazione dell’imputata alle operazioni di verifica, nonché la scarsa plausibilità sia della tesi per cui l’inte amministrazione della società – il cui giro di affari per l’anno di imposta i contestazione era superiore ai sei milioni di Euro – era di fatto riconducibile a COGNOME NOME, sia della sua mancata consapevolezza della obbligatorietà degli adempimenti fiscali derivanti dalla attività posta in essere dalla RAGIONE_SOCIALE (cfr. pag. 4 segg. della sentenza impugnata. V. anche pag. 6 della sentenza di primo grado, in cui si valorizza – a sostegno dell’ipotesi accusatoria – la dichiarata intenzione della COGNOME di esercitare l’attività di impresa insieme al fratello, nonchè il mantenimento della carica pur essendo a conoscenza della grave anomalia costituita dalla mancanza di scritture contabili, in relazione alla quale la COGNOME non aveva segnalato condotte di terzi idonee ad alleggerire la propria posizione).
A fronte di tali concordi valutazioni, la difesa ha in questa sede reiterato la prospettazione di una COGNOME del tutto inconsapevole delle vicende societarie perché riconducibili al solo COGNOME, da lei ripetutamente ma vanamente cercato.
Si tratta di un’ipotesi ricostruttiva già esaminata e motivatamente disattesa dai giudici di merito, che in questa sede viene riproposta senza che, tra l’altro, sia stato in alcun modo chiarito il ruolo che in tale prospettiva avrebbe svolto il fratello della ricorrente (la quale era subentrata nella carica amministrativa a quest’ultimo, e non al COGNOME). Dalla lettura del ricorso e degli atti in esso riportati, emerge anzi (cfr. pag. 5) non solo una plateale contraddittorietà intrinseca delle dichiarazioni della ricorrente, quanto all’oggetto dell’attività imprenditoriale che
avrebbe dovuto svolgere con il fratello (dapprima nel campo dei pezzi di ricambio di autovetture, poi in ambito edilizio), ma anche il fatto che la COGNOME, sempre nel 2018, aveva assunto la rappresentanza legale di altri quattro soggetti giuridici: RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, RAGIONE_SOCIALE).
In tale complessivo contesto, la “doppia conforme” di responsabilità appare pienamente in linea con l’insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui «in tema di omessa dichiarazione, il legale rappresentante di un ente che non abbia dello stesso l’effettiva gestione non risponde ex art. 40, comma secondo, cod. pen. per violazione dei doveri di vigilanza e controllo derivanti dalla carica rivestita, ma quale autore principale della condotta, in quanto direttamente obbligato “ex lege” a presentare le dichiarazioni relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto di soggetti diversi dalle persone fisiche, che devono essere da lui sottoscritte e, solo in sua assenza, da chi abbia l’amministrazione, anche di fatto» (Sez. 3, n. 20050 del 16/03/2022, NOME, Rv. 283201 – 01).
E’ invece fondato l’ultimo motivo di ricorso.
Questa Suprema Corte ha invero chiarito che «il beneficio della non menzione della condanna di cui all’art. 175 cod. pen. è fondato sul principio dell”emenda’ e tende a favorire il processo di recupero morale e sociale del condannato, sicché la sua concessione è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è necessariamente conseguenziale a quella della sospensione condizionale della pena, fermo restando l’obbligo del giudice di indicare le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.» (Sez. 2, n. 16366 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 275813 – 01).
In tale prospettiva ermeneutica, che si condivide e qui si intende ribadire, colgono nel segno le censure difensive, dal momento che la reiezione della richiesta è stata motivata, per un verso, con un asserito “contrasto con il contenuto delle pene accessorie inflitte” e, per altro verso, con un giudizio di non meritevolezza del beneficio “in difetto di specifiche esigenze, neppure rappresentate, di recupero sociale” (pag. 6 della sentenza impugnata).
Al riguardo, deve rispettivamente osservarsi che il riferimento alla valenza ostativa delle pene accessorie non sembra tener conto dell’intervenuta abrogazione dell’ultimo comma dell’art. 175 cod. pen., e che – per il resto – la motivazione adottata non dà conto di una adeguata valutazione degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.
Facendo uso dei poteri di cui all’art. 620, lett. I), cod. proc. pen., a tale lacun può porre rimedio questa Suprema Corte, avuto riguardo alla complessiva valutazione della vicenda e all’incensuratezza della COGNOME, che inducono a ritenere quest’ultima meritevole del beneficio.
Le considerazioni fin qui svolte impongono l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla mancata concessione della non menzione
della condanna, beneficio che si applica in questa sede. Quanto alle residue censure, deve invece essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla non menzione della condanna, beneficio che dispone. Dichiara inammissibile nel resto.
Così deciso il 28 marzo 2024
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Il Presidente