Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13666 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13666 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME a GUASTALLA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/09/2023 del TRIB. LIBERTA’ di PADOVA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Depositata in Cancelleria
Oggi, GLYPH 4 APR. 2024
“Ap
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 13 settembre 2023, il Tribunale del riesame di Padova rigettava l’appello cautelare reale proposto avverso il provvedimento del GIP del Tribunale di Padova del 22 luglio 2023 con cui veniva rigettata l’istanza di dissequestro formulata da COGNOME NOME in data 26 giugno 2023, avente ad oggetto le quote della società RAGIONE_SOCIALE di cui il ricorrente era amministratore e socio RAGIONE_SOCIALE, quote oggetto di sequestro preventivo in forma diretta del profitto dei reati allo stesso contestati quale indagato (artt. 416, c.p 2, 4, 5 e 8, d. Igs. n. 74 del 2000; art. 2, d. Igs. n. 74 del 2000; art. 8, d. Igs 74 del 2000).
Avverso l’ordinanza impugnata nel presente procedimento, il predetto ha proposto ricorso per cassazione tramite il difensore di fiducia, deducendo tre motivi, di seguito sommariamente indicati.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione al disposto di cui agli artt. 192, 273 e 321, cod. proc. pen. e 2, 4, 5 e 8, d. Igs. 74 del 2000 per contraddittorietà della motivazione, non avendo i giudici valutato correttamente gli atti processuali, in particolare la presenza del fumus commissi delicti, comportando la conferma della misura reale e non la sua revoca in relazione all’elemento soggettivo dell’indagato.
In sintesi, si premette che la difesa del ricorrente aveva contestato la mancanza dell’indispensabile presupposto del fumus per l’adozione della misura cautelare. La difesa aveva evidenziato che proprio il Procuratore europeo delegato, nel parere espresso al GIP/Tribunale, aveva ricordato che quest’ultimo aveva rigettato la richiesta di misura cautelare in capo allo COGNOME rilevando che non vi erano elementi che consentissero di ritenere che lo COGNOME non esercitasse anche di fatto la carica di amministratore di diritto ricoperta. In merito al presunto coll gamento tra la RAGIONE_SOCIALE e tale COGNOME, uno dei principali indagati, non sussisterebbe per la difesa alcun indizio, né alcun elemento tale da potersi sostenere che dopo l’acquisto della società e dopo la nomina ad amministratore dello COGNOME la MDT fosse collegata anche in minima parte al COGNOME o ad altri indagati, non esistendo alcuna documentazione contabile o intercettazione a sostegno. I giudici del Tribunale non sarebbero entrati nel merito della vicenda, limitandosi solo all’affermazione tautologica che l’adozione della misura trovava autogiustificazione nella sola sussistenza RAGIONE_SOCIALE indagini per RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, motivazione del tutto insussistente. L’assenza assoluta di motivazione, si aggiunge, emergerebbe in maniera ancor più
evidente ove si consideri che il reato presupposto per cui è stato richiesto il sequestro è reato a dolo specifico, la cui sussistenza non poteva essere considerata dal tribunale proprio perché nel 2020 lo COGNOME non era né socio né amministratore della RAGIONE_SOCIALE.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 34, 34-bis, 35, n. 5, d. Igs. n. 159 del 2011 e 104-bis, disp. At Cod. proc. pen., per non aver autorizzato la messa in liquidazione della società RAGIONE_SOCIALE
In sintesi, premette la difesa che all’interno dell’istanza di dissequestro presentata dalla difesa era stata richiesta l’autorizzazione alla messa in liquidazione della società RAGIONE_SOCIALE, istanza reiterata all’atto dell’appello cautelare presentata al tribunale di Padova e rigettata dallo stesso. Richiamati l’art. 34, n. 4, l’art. bis, n. 5 del d.lgs. n. 159 del 2011 e l’art. 104-bis, comma 1-ter, disp. Att. Cod. proc. pen., rileva la difesa che i precedenti difensori, in base a tali disposizion avevano richiesto all’ufficio del giudice delegato l’autorizzazione alla messa in liquidazione della società, reiterata al tribunale in composizione collegiale. Si censura, in particolare, il provvedimento impugNOME che avrebbe rigettato tale richiesta osservando come lo spossessamento RAGIONE_SOCIALE quote derivanti dal sequestro aveva privato il socio dei correlati diritti e facoltà, non potendo quindi la messa in liq dazione essere richiesta dallo COGNOME ma dall’amministratore giudiziario. Pur essendo condivisibile tale affermazione, si censura il provvedimento perché non avrebbe preso in considerazione la facoltà di revoca dell’amministratore giudiziario da parte del titolare dell’attività economica sottoposta al controllo. La richiesta d messa in liquidazione della società come formulata dai precedenti difensori avrebbe comportato la nomina di un soggetto terzo, diverso dal proprietario RAGIONE_SOCIALE quote ed oggi indagato, e diverso dall’amministratore giudiziario. La regolare indicazione di un soggetto abilitato sarebbe quindi da leggere come una sostanziale richiesta di revoca dell’amministratore giudiziario. Il Tribunale di Padova, quindi, non avrebbe applicato la procedura di controllo ed eventuale revoca dell’amministratore giudiziario, concentrandosi solo sulla questione dello spossessamento RAGIONE_SOCIALE quote e della perdita di titolarità dei diritti del socio. Contrariamente a quant indicato nell’art. 35 del c.d. codice antimafia in cui sono elencati espressamente i casi di revoca dell’amministratore giudiziario su richiesta dell’ufficio, nulla è dett per la richiesta da parte del titolare, il quale può valutare anche la mera opportunità economica. Il Tribunale non si sarebbe quindi potuto limitare a richiamare il mero spossessamento RAGIONE_SOCIALE quote, ma avrebbe dovuto indicare e motivare sul punto in relazione sia alle questioni rilevabili d’ufficio che in base a quanto indicato Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
dal ricorrente. Si conclude osservando come la richiesta sarebbe confacente alle linee guida dettate dalla Legge che mira alla prosecuzione RAGIONE_SOCIALE attività sociali in relazione alle reali condizioni, mentre andare oltre comporterebbe un aggravio ultra vires per il titolare RAGIONE_SOCIALE quote.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 8, cod. proc. pen. e 18, d. Igs. n. 74 del 2000 per incompetenza del Tribunale adito ad emettere il provvedimento cautelare.
In sintesi, la difesa deduce in sede di legittimità l’incompetenza territoriale del Tribunale di Padova a conoscere l’impugNOME provvedimento cautelare. Richiamato l’art. 18, comma 1, d. Igs. n. 74 del 2000 che rinvia ai criteri dettati dall’ar 8, cod. proc. pen., sostiene il ricorrente che il criterio principale determinativ della competenza per territorio è quello del /ocus commissi delicti, divenendo sussidiario il criterio fondato sul luogo dell’accertamento del reato, salvo che non sia impossibile individuare il luogo di consumazione dle reato tributario. Nel caso di specie, il reato più grave è quello di cui all’art. 8, d. Igs. n. 74 del 2000 e tu capi sono avvinti dalla connessione ex art. 12, lett. c), cod. proc. pen. In applicazione del disposto dell’art. 16, comma 1, cod. proc. pen., la competenza territoriale spetta al giudice del reato più grave che, come anticipato, è l’art. 8 d. Igs. n 74 del 2000, coincidente con il luogo in cui hanno sede i cedenti o gli utilizzatori RAGIONE_SOCIALE fatture emesse asseritamente per operazioni inesistenti, luogo da identificarsi in Milano, ove hanno sede la società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 10.01.2024, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
In sintesi, secondo il PG, il primo motivo si risolve in una denuncia di vizio motivazionale già preliminarmente inammissibile perché non proponibile avverso provvedimenti cautelari reali, salvo il caso – qui manifestamente non ricorrente il cui la motivazione sia completamente assente così da ridondare in violazione della legge processuale; in ogni caso, la motivazione è del tutto adeguata e priva di aporie logiche, allorché sottolinea l’assoluta indifferenza, ai fini del disposto s questro preventivo RAGIONE_SOCIALE quote di una società costituita come “società filtro” nell’ambito di una “RAGIONE_SOCIALE“, della qualità di amministratore di fatto o solo di diritto dell’odierno ricorrente (peraltro socio RAGIONE_SOCIALE); il secondo motivo è manifestamente infondato, correttamente avendo il Tribunale del riesame rilevato la mancanza di legittimazione del ricorrente, atteso l’intervenuto sequestro, a formulare istanza per la messa in liquidazione; e ciò a prescindere dalla totale inconferenza della richiesta rispetto al thema decidendum proprio dell’appello proposto,
attinente alla originaria richiesta di dissequestro RAGIONE_SOCIALE quote; il terzo motivo è di rettamente inammissibile, trattandosi di doglianza introdotta per la prima volta in sede di legittimità che non risulta oggetto dei motivi dell’appello proposto davanti al giudice del provvedimento oggi impugNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, trattato cartolarmente ex art. 23, d.l. n. 137 del 2020 e successive modifiche ed integrazioni, in assenza di richiesta di discussione orale, è inammissibile.
Il primo motivo è inammissibile perché generico per aspecificità.
I giudici del riesame, decidendo sull’identica richiesta formulata in sede di appello cautelare (qui reiterata senza alcun apprezzabile elemento di novità critica, salvo il tenore puramente contestativo del motivo di ricorso che insiste nel prospettare questioni di merito, tendenzialmente finalizzate a sostenere che non vi siano in atti elementi di prova né indiziari a carico del ricorrente circa il suo coi volgimento nella vicenda criminosa), hanno risposto alle doglianze difensive con cui l’allora appellante lamentava la carenza di sufficienti elementi probatori a sostegno della circostanza che egli fosse amministratore solo di diritto e non anche di fatto della RAGIONE_SOCIALE – in relazione alla quale, si legge nel provvedimento, emerge l’ipotesi dell’amministrazione di fatto in capo a tale COGNOME o COGNOME NOME -, osservando come, in realtà, l’adozione della misura del sequestro preventivo RAGIONE_SOCIALE quote della società predetta trova giustificazione nel fatto che dalle in dagini la società risulta inserita nel sistema di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a partire dal 2020 e che, in virtù di ciò, ha indebitamente detratto VIVA per un ammontare superiore a 440 mila euro, sicché, aggiunge il tribunale, sia che lo COGNOME fosse amministratore solo di diritto della società, sia che lo COGNOME lo fosse anche di fatto, sussiste i ogni caso il fumus idoneo a fondare il sequestro preventivo RAGIONE_SOCIALE quote, in uno con la necessità di impedire attraverso detta misura che per il tramite della RAGIONE_SOCIALE, ancora attiva e operativa al momento del sequestro, fosse possibile la prosecuzione dell’attività di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Alla luce di quanto sopra, non può quindi ritenersi che il provvedimento impugNOME presenti un silenzio motivazionale sul fumus commissi delicti, RAGIONE_SOCIALE caso in cui, unitamente a quello di apparenza motivazionale, è consentito impugnare il provvedimento cautelare reale ai sensi dell’art. 325, cod. proc. pen.
È stato infatti più volte affermato che in tema di riesame RAGIONE_SOCIALE misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legitti mità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice (per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710 – 01).
Nel caso di specie, la difesa, più che contestare l’assenza motivazionale, si duole della valutazione del compendio indiziario svolta da parte del giudice dell’appello cautelare, contestando dunque l’approdo valutativo esperito, operazione non consentita nell’incidente cautelare reale di legittimità.
Quanto, poi, alla censura difensiva volta a contestare la sussistenza del dolo specifico del ricorrente, è sufficiente ricordare come in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al “fumus” del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata; ne consegue che lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, purché esso emerga “ictu ()culi” (tra le tante: Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Rv. 266896 01).
Ne discende, pertanto, anche sotto tale profilo l’inammissibilità del relativo motivo, atteso che la prova del dolo specifico dei reati tributari di cui agli artt. 8 e 10 del d.lgs n. 74 del 2000 in capo all’amministratore di diritto di una società, che funge da mero prestanome, può essere desunta dal complesso dei rapporti tra questi e l’amministratore di fatto, nell’ambito dei quali assumono decisiva valenza la macroscopica illegalità dell’attività svolta e la consapevolezza di tale illegalità (Sez. 3, n. 2570 del 28/09/2018, dep. 2019, Rv. 275830 – 01), elementi, questi, il cui accertamento o valutazione non possono essere demandati a questo Giudice di legittimità ma che sono riservati al naturale giudizio di merito.
Anche il secondo motivo è inammissibile, anzitutto perché generico per aspecificità.
Il giudice collegiale della cautela confuta infatti l’identica richiesta difensi (ancora una volta reiterata in questa sede senza alcun apprezzabile elemento di novità critica) per due ordini di ragioni: a) anzitutto, valutando la genericità dell
richiesta fondata sulla dedotta esigenza di “evitare alcuni dei normali costi di gestione comunemente sottesi all’esistenza stessa di una società non in liquidazione”, in particolare sottolineando come non siano stati neppure indicati quali e quanti sarebbero questi costi che si vorrebbero evitare, aggiungendosi del resto come la circostanza che l’attività della società sia stata interrotta con la nomina dell’amministratore giudiziario limita evidentemente allo stato il maturarsi di costi, quantomeno con riferimento aKquelli connessi alla gestione operativa; b) in secondo luogo, osservando come gli effetti del sequestro e la conseguente nomina dell’amministratore giudiziario sono regolati dall’art. 104-bis, disp. Att. Cod. proc. pen., che rinvia quanto ai compiti dell’amministratore e gestione dei beni alle disposizioni del libro primo del codice Antimafia, aggiungendo però che, non trattandosi nel caso in esame di sequestro di azienda, per la cui disciplina relativamente alla liquidazione soccorrerebbe l’art. 41, d. Igs. n. 159 del 2011, si dovrà ragionare secondo i principi generali sicché, conclude il giudice della cautela, avendo lo spossessamento RAGIONE_SOCIALE quote derivante dal sequestro privato il socio dei correlati diritti e facoltà, la messa in liquidazione della stessa non potrà spettare allo COGNOME, ma all’amministratore giudiziario.
Ancora una volta, le censure difensive non colgono nel segno.
Anzitutto, perché si limitano a censurare una sola RAGIONE_SOCIALE due rationes decidendi su cui si articola il provvedimento impugNOME, non essendo stata contestata quella parte dell’ordinanza in cui si è dato atto della genericità dell’istanza, così d giustificare il giudizio di inammissibilità. È infatti pacifico nella giurisprudenza questa Corte che è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola RAGIONE_SOCIALE diverse “rationes decidendi” poste a fondamento della decisione, ove queste siano autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Rv. 272448 – 01).
La doglianza difensiva, con cui peraltro il ricorrente si duole per aver rigettato il Tribunale la richiesta di messa in liquidazione, è poi manifestamente infondata.
Come correttamente rileva il Tribunale, non si tratta di sequestro di azienda (per il quale si applica la disciplina dettata dall’art. 41, d. Igs. n. 159 del 201 ma di sequestro emesso per finalità impeditive e relativo alle quote della RAGIONE_SOCIALE di cui l’indagato ricorrente è amministratore e socio RAGIONE_SOCIALE, con conseguente difetto di legittimazione attiva in capo al ricorrente, essendo stato nelle more l’indagato privato dei diritti e RAGIONE_SOCIALE facoltà a seguito del sequestro con nomina dell’amministratore giudiziario, di cui il ricorrente non può chiederne la revoca.
È pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 36364 del 21/05/2021, Rv. 282331 – 01) che il legale rappresentante di una società della quale siano stati sequestrati i beni e le quote rappresentative del capitale sociale, o comunque il proprietario dei beni in sequestro, non è legittimato a promuovere un procedimento diretto alla revoca dell’amministratore giudiziario di quanto sottoposto a vincolo. La conclusione appena indicata si fonda sul combiNOME disposto di cui all’art. 104-bis, comma 1 ed 1-bis, disp. att. cod. proc. pen. e di cui all’a 35, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011.
Invero, l’art. 104-bis, comma 1 e comma 1-bis, disp. att. cod. proc. pen., così recitano: «1. In tutti i casi in cui il sequestro preventivo o la confisca abbian per oggetto aziende, società ovvero beni di cui sia necessario assicurare l’amministrazione, esclusi quelli destinati ad affluire nel RAGIONE_SOCIALE giustizia, di cui all’a ticolo 61, comma 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, l’autorità giudiziaria nomina un amministratore giudiziario scelto nell’Albo di cui all’articolo 35 del codice di cui a decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni. Con decreto motivato dell’autorità giudiziaria la custodia dei beni suddetti può tuttavia essere affidata a soggetti diversi da quelli indicati al periodo precedente. 1-bis. Si applicano le disposizioni di cui al Libro I, titolo III, del codice di cui al dec legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni nella parte in cui recano la disciplina della nomina e revoca dell’amministratore, dei compiti, degli obblighi dello stesso e della gestione dei beni. In caso di sequestro disposto ai sensi dell’articolo 321, comma 2, del codice o di confisca ai fini della tutela dei terzi e nei rapporti con la procedura di liquidazione giudiziaria si applicano, altresì le disposizioni di cui al titolo IV del Libro I del citato decreto legislativo». Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Nel titolo III del libro I del d.lgs. n. 159 del 2011, rubricato «L’amministrazione, la gestione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati», è presente, come prima disposizione, l’art. 35, rubricato «Nomina e revoca dell’amministratore giudiziario». L’art. 35, al comma 7, primo periodo, fissa la specifica disciplina in tema di revoca dell’amministratore giudiziario; segnatamente, prevede: «In caso di grave irregolarità o di incapacità il tribunale, su proposta del giudice delegato, dell’Agenzia o d’ufficio, può disporre in ogni tempo la revoca dell’amministratore giudiziario, previa audizione dello stesso. Nei confronti dei coadiutori dell’Agenzia la revoca è disposta dalla medesima Agenzia». Da queste disposizioni, innanzitutto, si evince che la disciplina generale in tema di revoca dell’amministratore giudiziario nomiNOME in relazione ad un sequestro preventivo è quella fissata dall’art. 35, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011. Invero, l’art. 104-bis, disp. att. cod
proc. pen., ossia la disposizione che detta la disciplina generale in materia di amministrazione dei «aziende, società o beni » sottoposti a sequestro preventivo, in particolare, ai commi 1 e 1-bis, dopo aver indicato l’Autorità giudiziaria competente alla nomina dell’amministratore, rinvia, senza altro aggiungere, al titolo III del libro I del d.lgs. n. 159 del 2011, nel quale l’unica e specifica disposizione i tema di revoca dell’amministratore giudiziario è quella prevista dall’art. 35, comma 7.
Né l’applicazione di tale disposizione risulta incompatibile con la disciplina dell’amministrazione e gestione dei beni sequestrati non direttamente disciplinati dal codice antimafia, stante l’assenza di previsioni specifiche o di principi generali di segno contrario. Dalla disciplina di cui all’art. 35, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011, poi, si desume che l’esclusione della legittimazione del proprietario dei beni sequestrati, o di soggetti ad esso assimilabili, a chiedere al giudice la revoca dell’amministratore giudiziario è coerente con l’assetto complessivo della pertinente procedura. In effetti, l’art. 35, comma 7, d.lgs. cit. individua specificamente non solo i soggetti che possono promuovere la procedura per la revoca dell’amministratore giudiziario, ma anche chi deve essere necessariamente chiamato ad interloquire: precisamente, l’RAGIONE_SOCIALE soggetto indicato come necessario interlocutore della procedura è l’amministratore giudiziario del quale è in valutazione la revoca.
Ora, la mancata indicazione del proprietario dei beni sequestrati (nella specie, il titolare RAGIONE_SOCIALE quote societarie, attuale indagato) tra le parti necessar del procedimento conferma la conclusione secondo cui l’omessa elencazione del medesimo tra i soggetti legittimati a chiedere al giudice la revoca dell’amministratore giudiziario non costituisce la conseguenza di una lacuna accidentale del dato normativo, bensì una precisa scelta del Legislatore.
Né questa conclusione determina conseguenze irrazionali o l’esclusione della tutela del titolare dei beni sottoposti a sequestro. Da un lato, l’esclusione della legittimazione di tale soggetto a promuovere formalmente il procedimento di revoca dell’amministratore è obiettivamente funzionale all’esigenza di evitare o contenere i rischi di liti giudiziarie che possano ingiustificatamente determinare la paralisi della gestione dei beni in sequestro. Dall’altro, il titolare dei beni in sequ stro può comunque segnalare irregolarità o incapacità dell’amministratore agli organi legittimati a promuoverne la revoca, e, soprattutto, può proporre opposizione al giudice dell’esecuzione in ordine alle decisioni sulle modalità di gestione di quanto sottoposto a misura cautelare reale (cfr., in relazione a questo secondo profilo, ad esempio, Sez. 2, n. 946 del 21/11/2018, dep. 2019, Della Santina, Rv. 274723-01).
Si può aggiungere, ancora, che, già nella vigenza della precedente disciplina di cui all’art. 104-bis disp. att. cod. proc. pen., anteriormente all’inseriment del comma 1-bis per effetto dell’art. 3, comma 2, lett. b), legge 17 ottobre 2017, n 161, in giurisprudenza si era escluso che il legale rappresentante della società i cui beni era stati sottoposti a sequestro preventivo potesse proporre appello a norma dell’art. 322-bis cod. proc. pen. avverso le decisioni in ordine alla nomina o alla revoca di un amministratore giudiziario (il riferimento è a Sez. 3, n. 39181 del 28/05/2014, Rubino, Rv. 260381-01). Precisamente, in quella occasione si era osservato: «le questioni riferite alle modalità di esercizio dell’amministrazione giudiziaria e agli eventuali profili di negligenza dell’amministratore, con conseguente richiesta di sostituzione dello stesso, e i relativi provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria, devono ritenersi inammissibili, perché attinenti all’ordinaria amministrazione del bene e, dunque, non sindacabili con l’appello ai sensi dell’art. 322 bis cod. proc. pen.».
9. Le considerazioni precedentemente esposte, oltre a determinare l’inammissibilità del presente ricorso per cassazione e del precedente appello, escludono anche l’ammissibilità di una riqualificazione dell’atto di impugnazione proposto in questa sede come opposizione da trasmettere al giudice dell’esecuzione.
Ed infatti, il legale rappresentante di una società della quale siano stati sequestrati i beni e le quote rappresentative del capitale sociale o il proprietario dei beni in sequestro, se non sono legittimati a promuovere un procedimento diretto alla revoca dell’amministratore giudiziario, non possono nemmeno proporre incidenti di esecuzione o opposizioni contro eventuali determinazioni dell’autorità giudiziaria in proposito. Invero, una diversa conclusione si tradurrebbe, di fatto, proprio nel riconoscimento della legittimazione a promuovere un procedimento diretto alla revoca dell’amministratore giudiziario.
10. Infine, anche il terzo motivo è inammissibile in quanto dedotto per la prima volta in questa sede di legittimità.
Si è infatti affermato che non può costituire motivo di ricorso per cassazione la violazione RAGIONE_SOCIALE regole di competenza territoriale da parte del giudice che ha emesso l’ordinanza cautelare, se detta violazione, non sia stata dedotta nel giudizio di riesame, essendo precluso al giudice di legittimità di decidere su violazioni di legge, non rilevabili d’ufficio, i cui presupposti di fatto non siano già stati es minati dai giudici di merito (Sez. 3, n. 32904 del 08/02/2018, Rv. 273672 – 01).
Il Collegio non ignora che sulla questione è venuto a formarsi un contrasto giurisprudenziale. Rileva, tuttavia, che quand’anche si facesse applicazione del
principio affermato dal contrapposto orientamento, il motivo non sfuggirebbe peraltro alla sanzione dell’inammissibilità, atteso che il ricorrente fonda le sue la mentele su elementi di fatto mai introdotti dinanzi al giudice del merito o, comunque, sui quali sarebbe necessario procedere a valutazioni o ad accertamenti comunque inammissibili nel giudizio di legittimità (Sez. 6, n. 2336 del 07/01/2015, Rv. 262081 – 01).
A tacer d’altro, comunque, nemmeno il foro competente individuato dalla difesa del ricorrente (ossia il luogo in cui hanno sede le società che hanno emesso le fatture relative ad operazioni inesistenti, avendo indicato il ricorrente l’art. 8, Igs. n. 74 del 2000 come reato più grave) è quello corretto, avendo già affermato questa Corte che in tema di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, il «luogo in cui il reato è consumato», previsto come criterio determinativo della competenza dall’art. 8, comma 1, cod. proc. pen. – dalla cui inapplicabilità discende la competenza del «giudice del luogo di accertamento del reato», ex art. 18, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000 – deve essere individuato in base ad elementi oggettivi ed idonei a fondare una ragionevole certezza al momento dell’esercizio dell’azione penale, ovvero, se la decisione deve essere assunta anteriormente, allo stato degli atti, e non coincide necessariamente con la sede dell’ente cui è attribuibile la falsa emissione dei documenti fiscali (Sez. 3, n. 11216 del 19/02/2021, Rv. 281568 – 01). Invero, non può dirsi rispondente ad una massima di esperienza l’affermazione secondo cui le false fatture, almeno quando riguardano operazioni del tutto inesistenti, sono state emesse nel luogo in cui ha sede la ditta di emissione. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
11. Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della RAGIONE_SOCIALE, non potendosi escludere profili di colpa nella sua proposizione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso, il 16 febbraio 2024
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