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Amministratore formale: responsabilità penale e doveri

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un amministratore formale condannato per bancarotta fraudolenta. La Corte ha stabilito che la responsabilità penale sussiste anche senza atti di gestione diretti, poiché la carica formale impone un dovere di vigilanza. Le dimissioni di un altro consigliere non estinguono i doveri di chi rimane in carica, confermando la piena responsabilità dell’amministratore formale fino al fallimento della società.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore Formale: La Responsabilità Penale Anche Senza Gestione Diretta

Ricoprire la carica di amministratore formale di una società non è un incarico privo di rischi, anche quando non si partecipa attivamente alla gestione quotidiana. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 2906/2024) ha ribadito un principio fondamentale: la responsabilità penale per reati come la bancarotta fraudolenta non svanisce semplicemente affermando di non aver compiuto atti di gestione. La posizione ufficiale comporta doveri di vigilanza e controllo che non possono essere ignorati.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda l’amministratore di una società a responsabilità limitata, dichiarata fallita nel 2010. L’uomo era stato condannato in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta patrimoniale. Nel suo ricorso in Cassazione, l’imputato sosteneva di non avere alcuna responsabilità, adducendo due motivi principali: l’avvenuta prescrizione del reato e, soprattutto, il fatto di non aver mai svolto un ruolo gestorio concreto. A suo dire, un altro soggetto era l’amministratore di fatto, e dopo le dimissioni di quest’ultimo, egli non aveva mai formalmente accettato la carica, lasciando la società di fatto priva di un organo amministrativo negli ultimi mesi di vita.

La Responsabilità dell’Amministratore Formale secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha respinto categoricamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che l’imputato era stato amministratore della società fin dalla sua costituzione, prima come amministratore unico e poi come membro del consiglio di amministrazione. Le dimissioni del suo co-amministratore non hanno in alcun modo fatto venir meno la sua carica. Al contrario, lo hanno lasciato come unico amministratore formale della società.

Il punto cruciale della decisione risiede nel principio secondo cui la carica di amministratore formale comporta precisi doveri. Anche in assenza di atti di gestione diretti, l’amministratore ha un obbligo di vigilanza e controllo sull’andamento della società. La sua responsabilità penale può derivare anche da una condotta omissiva, ovvero dal non aver impedito la commissione di illeciti che aveva l’obbligo giuridico di prevenire.

Le Dimissioni di un Consigliere non Annullano il CDA

La Corte ha inoltre specificato che, in un organo collegiale come il consiglio di amministrazione, le dimissioni di un membro non comportano la cessazione dell’intero organo. L’altro consigliere – in questo caso l’imputato – rimane in carica con tutti i suoi poteri e doveri, garantendo la continuità gestionale (cd. prorogatio). Pertanto, la tesi della “vacanza” dell’organo amministrativo è stata ritenuta infondata.

Il Principio della “Doppia Conforme” e l’Inammissibilità del Ricorso

Un altro aspetto rilevante è stato il richiamo al principio della “doppia conforme”. Poiché sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano concordato sulla colpevolezza dell’imputato, valutando in modo analogo le prove, il ricorso in Cassazione non poteva trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti. I motivi del ricorso sono stati giudicati generici e volti a ottenere una nuova e inammissibile valutazione probatoria, anziché a denunciare vizi di legittimità della sentenza impugnata.
Anche l’eccezione di prescrizione è stata rigettata, in quanto il termine non era ancora maturato al momento della sentenza d’appello e, in ogni caso, l’inammissibilità del ricorso impediva alla Corte di pronunciarsi su tale punto.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una rigorosa interpretazione del ruolo e delle responsabilità legali dell’amministratore. La sentenza ha stabilito che:
1. La posizione di amministratore formale, risultante dai registri pubblici, è la fonte primaria di doveri e responsabilità.
2. Le dimissioni di un co-amministratore non estinguono la carica e i doveri di chi rimane.
3. La responsabilità per bancarotta non richiede necessariamente il compimento di atti di gestione diretti, ma può scaturire dalla violazione dei doveri di controllo e vigilanza.
4. In presenza di una “doppia conforme”, il ricorso in Cassazione che mira a una rivalutazione dei fatti, senza evidenziare specifici vizi di legge, è inammissibile.

Le Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un monito importante per chi accetta di ricoprire cariche sociali. Essere un amministratore formale non è una semplice formalità, ma un incarico che comporta obblighi giuridici precisi e inderogabili. La decisione della Cassazione conferma che non è possibile sottrarsi alle proprie responsabilità penali sostenendo di essere stato un mero “prestanome” o di non aver partecipato alla gestione, specialmente in contesti di crisi aziendale che sfociano nel fallimento.

Un amministratore formale è responsabile per bancarotta fraudolenta anche se non ha compiuto atti di gestione diretti?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la responsabilità penale deriva dalla posizione di garanzia che la carica comporta. L’amministratore ha il dovere giuridico di vigilare sulla gestione sociale e di impedire la commissione di illeciti, quindi la sua responsabilità può sorgere anche da una condotta omissiva.

Le dimissioni di un membro del consiglio di amministrazione fanno cessare dalla carica anche gli altri membri?
No. La rinuncia di un consigliere non determina la cessazione dell’intero organo amministrativo. I consiglieri che rimangono in carica mantengono i loro poteri e doveri per garantire la continuità aziendale, lasciando l’organo amministrativo pienamente operativo nelle mani di chi resta.

È possibile che la prescrizione di un reato venga dichiarata dalla Corte di Cassazione se il ricorso è inammissibile?
No. Se il ricorso è originariamente inammissibile, non si instaura validamente il giudizio di legittimità. Di conseguenza, la Corte non può esaminare il merito della questione, inclusa l’eventuale maturazione della prescrizione avvenuta dopo la sentenza d’appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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