Amministratore Formale: Quando il Prestanome Risponde dei Reati Societari
La figura dell’amministratore formale, comunemente noto come ‘prestanome’ o ‘testa di legno’, è spesso al centro di complesse vicende giudiziarie. Molti ritengono, erroneamente, che l’assenza di un potere gestionale effettivo possa costituire uno scudo contro le responsabilità penali derivanti dalla gestione illecita di una società. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce, invece, un principio consolidato: accettare la carica di amministratore, anche solo sulla carta, comporta doveri di vigilanza il cui inadempimento può portare a una condanna penale. Analizziamo come i giudici abbiano ricostruito il dolo del ricorrente, confermando la sua responsabilità per gravi reati fiscali e fallimentari.
I fatti del caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un soggetto condannato in appello per i reati di indebita compensazione di crediti fiscali (capo 24) e di bancarotta documentale (capo 25). L’imputato aveva ricoperto la carica di amministratore formale di una società di servizi, successivamente dichiarata fallita.
Nel suo ricorso per cassazione, l’imputato lamentava un’errata applicazione della legge penale e un vizio di motivazione. La sua linea difensiva si basava su un punto centrale: egli era stato un mero prestanome, completamente estromesso dalla gestione operativa della società. Di conseguenza, a suo dire, non poteva essergli attribuito il dolo, ovvero la coscienza e la volontà, richiesto per la configurazione dei reati contestati.
La decisione della Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la condanna inflitta nei gradi di merito. I giudici hanno ritenuto infondate le censure dell’imputato, specificando come la Corte d’Appello avesse applicato correttamente i principi giuridici che regolano la responsabilità penale dell’amministratore di diritto.
In particolare, la Corte ha stabilito che la posizione di mero prestanome non esclude automaticamente la responsabilità, la quale può sorgere a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento criminoso posto in essere dall’amministratore di fatto.
La responsabilità penale dell’amministratore formale
Il cuore della decisione si concentra sulla ricostruzione dell’elemento soggettivo del reato: il dolo. La Corte ha chiarito che, sebbene l’imputato non gestisse direttamente la società, la sua consapevolezza e accettazione del rischio legato alle condotte illecite altrui erano state adeguatamente provate.
Per il reato di indebita compensazione, il dolo è stato desunto da una serie di elementi convergenti. Per quanto riguarda la bancarotta documentale, le doglianze del ricorrente sono state ritenute troppo generiche per scalfire la logicità della motivazione della sentenza impugnata.
Le motivazioni
La motivazione della Corte si articola su due fronti, uno per ciascun reato contestato.
Per il reato di indebita compensazione (art. 10-quater, D.Lgs. 74/2000), i giudici hanno richiamato il principio secondo cui l’amministratore formale è responsabile, ai sensi dell’art. 40, comma 2, c.p., per non aver impedito il reato. Il dolo generico richiesto dalla norma è stato ritenuto sussistente sulla base di specifici ‘indicatori di consapevolezza’:
1. Partecipazione a riunioni chiave: L’imputato aveva preso parte a incontri durante i quali era emersa chiaramente la problematica relativa ai modelli F24 utilizzati per le compensazioni.
2. Permanenza nella carica: Era rimasto amministratore della società anche dopo che la situazione critica era stata denunciata, dimostrando così di accettare il rischio delle condotte illecite.
3. Percezione di un compenso: Aveva ricevuto un ‘ragguardevole compenso’ per l’attività svolta, un elemento che mal si concilia con una posizione di totale inconsapevolezza.
4. Competenza professionale: Essendo laureato in giurisprudenza, possedeva gli strumenti culturali e professionali per comprendere la gravità e l’illegalità delle questioni in gioco.
Per il reato di bancarotta documentale, la Corte ha liquidato le censure come generiche, in quanto non si confrontavano adeguatamente con le argomentazioni della sentenza d’appello, che aveva già affrontato e risolto la questione del dolo.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, essa conferma che la carica di amministratore formale non è un ruolo privo di rischi. Chi accetta di diventare un ‘prestanome’ assume precisi doveri di vigilanza e controllo sulla gestione sociale. L’inerzia di fronte a evidenti segnali di illegalità non è una difesa valida, ma si trasforma in un concorso omissivo nel reato.
In secondo luogo, la decisione evidenzia come il dolo non debba essere provato con una confessione, ma possa essere logicamente desunto da una pluralità di elementi fattuali. La professionalità, il livello di istruzione e il comportamento tenuto dall’amministratore di fronte a ‘campanelli d’allarme’ diventano cruciali per valutarne la consapevolezza. Essere un avvocato, un commercialista o, come in questo caso, un laureato in giurisprudenza, può diventare un’aggravante di fatto, poiché rende meno credibile la tesi dell’ignoranza o dell’inconsapevolezza.
Un amministratore formale, che non gestisce attivamente la società, può essere ritenuto responsabile per i reati commessi dall’amministratore di fatto?
Sì. Secondo la Corte, l’amministratore formale è responsabile a titolo di concorso con l’amministratore di fatto per omesso impedimento dell’evento criminoso, ai sensi dell’art. 40, secondo comma, del codice penale.
Come si prova il dolo (l’intenzione) di un amministratore formale che si dichiara estraneo alla gestione?
Il dolo può essere desunto da una serie di elementi convergenti, come la partecipazione a riunioni in cui si discutevano le problematiche illecite, la permanenza nella carica dopo la conoscenza della situazione, la percezione di un compenso significativo e la capacità di comprendere le questioni grazie alla propria formazione (nel caso di specie, una laurea in giurisprudenza).
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, per il reato di indebita compensazione, la Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero applicato correttamente i principi sulla responsabilità dell’amministratore formale, mentre per la bancarotta documentale le censure sono state giudicate generiche e non adeguatamente argomentate rispetto alla sentenza impugnata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18560 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18560 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a TORINO il 06/04/1962
avverso la sentenza del 07/06/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
Rilevato che, con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Torino ha confermato la condanna di COGNOME COGNOME per i delitti ascritti ai capi 24) e 25) dell’imputazione, commessi nella veste di amministratore formale della società fallita RAGIONE_SOCIALE
Considerato che l’imputato, con l’unico motivo proposto, lamenta violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen. per erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 110 cod. pen. e 10-quater DEL d.lgs. n. 74 del 2000 (capo 24) nonché agli artt. 110 cod. pen., 223, 216, comma 1, n. 1 e 2, comma 2, n. 2, 219, commi 1 e 2, I. fall. (capo 25) e vizio di motivazione per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente il dolo dei delitti ascritt travisando le prove in senso contrario;
Rilevato che, a fondamento delle censure, il COGNOME sottolinea, innanzi tutto, che egli, pur essendo amministratore formale, era stato completamente estromesso dalla gestione della società, e che, alla luce di tale sua peculiare posizione, ritraibile anche dalla motivazione delle pronunce di merito, non si comprenderebbe da quali elementi sarebbe stato desunto sul piano soggettivo il dolo dei delitti ascritti;
Ritenuto che, rispetto al delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio per il quale l’amministratore di diritto, come mero prestanome, è responsabile a titolo di concorso con l’amministratore di fatto per omesso impedimento dell’evento, ai sensi degli artt. 40, comma secondo, cod. pen. e 2932 cod. civ. (Sez. 3, n. 1722 del 25/09/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277507 – 01), essendo stato ritratto il dolo generico richiesto dalla norma incriminatrice da una serie di elementi convergenti (ovvero dalla partecipazione del ricorrente a riunioni nei quali era emersa la problematica degli F24 presentati, dalla circostanza che egli era rimasto nella società anche dopo che la situazione era stata denunciata, dalla percezione di un ragguardevole compenso per l’attività svolta, dalla possibilità di comprendere le questioni sottese considerata la sua laurea in giurisprudenza);
Considerato, quanto alla bancarotta documentale, che, nello stesso motivo, il ricorrente formula censure generiche in ordine alla problematica del dolo che non si confrontano in maniera adeguata con le argomentazioni sottese alla pronuncia impugnata;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 23/04/2025