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Amministratore formale: la responsabilità va provata

La Corte di Cassazione ha annullato la condanna per bancarotta fraudolenta a carico di un amministratore formale. La Corte ha stabilito che la mera carica sociale e il legame familiare con l’amministratore di fatto non sono sufficienti a dimostrare la colpevolezza. È necessaria la prova concreta della consapevolezza dell’illecito.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Penale, Diritto Societario, Giurisprudenza Penale

Amministratore formale e bancarotta: non basta la carica per la condanna

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 33988/2024, affronta un tema cruciale nel diritto penale societario: la responsabilità penale dell’amministratore formale, comunemente definito ‘testa di legno’, nel reato di bancarotta fraudolenta documentale. La Corte ha ribadito un principio fondamentale: la condanna non può basarsi sulla mera assunzione della carica, ma richiede la prova rigorosa della consapevolezza dell’illecito.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda una donna, amministratrice legale di una società a responsabilità limitata poi dichiarata fallita. La donna era stata condannata nei primi due gradi di giudizio per bancarotta fraudolenta documentale, in concorso con l’amministratore di fatto, suo marito. L’accusa si basava sulla distruzione o l’occultamento delle scritture contabili della società.
La difesa dell’imputata ha sempre sostenuto che il suo ruolo fosse puramente nominale, una mera ‘testa di legno’, e che l’intera gestione della società fosse nelle mani del coniuge. Secondo la tesi difensiva, ella non aveva mai avuto un ruolo effettivo nell’occultamento dei documenti contabili e, pertanto, mancava l’elemento soggettivo (il dolo) necessario per la condanna.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza di condanna e rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo esame. I giudici di legittimità hanno ritenuto che la motivazione della corte territoriale fosse carente e non in linea con i più recenti e consolidati principi giurisprudenziali in materia.
La decisione impugnata, infatti, aveva fondato la colpevolezza quasi esclusivamente sulla carica formale ricoperta dall’imputata e sul suo legame familiare con l’amministratore di fatto, deducendone una ‘inevitabile consapevolezza’ delle condotte illecite. Un approccio che la Cassazione ha censurato duramente.

Le Motivazioni: la responsabilità dell’amministratore formale non è automatica

Il cuore della sentenza risiede nella netta distinzione tra la titolarità di una posizione di garanzia e l’automatica attribuzione di responsabilità penale. L’amministratore formale ha, senza dubbio, l’obbligo giuridico di tenere e conservare le scritture contabili. Tuttavia, per affermare la sua colpevolezza in caso di bancarotta documentale, non è sufficiente constatare la violazione di tale obbligo.
La Corte ha specificato che l’accusa deve fornire la prova di una ‘effettiva e concreta consapevolezza’ da parte della ‘testa di legno’ riguardo alla sottrazione o distruzione delle scritture contabili. Non si può presumere la colpevolezza. Il giudice di merito deve ricercare ‘indicatori concreti’ o ‘segnali di allarme’ dai quali sia possibile desumere, logicamente, che l’amministratore nominale fosse a conoscenza della situazione e abbia accettato il rischio che il reato venisse commesso.
Una gestione completamente assorbente da parte dell’amministratore di fatto, tale da ridurre il ruolo dell’amministratore formale a quello di un mero attore nominale, può escludere la sua responsabilità. La condanna, altrimenti, si tradurrebbe in un’inaccettabile forma di responsabilità oggettiva, basata sulla sola posizione, in palese contrasto con il principio di colpevolezza personale sancito dall’art. 27 della Costituzione.

Conclusioni

Questa pronuncia rafforza un principio di civiltà giuridica: nessuna condanna senza una colpevolezza provata ‘oltre ogni ragionevole dubbio’. Per l’amministratore formale, ciò significa che la sua responsabilità non discende automaticamente dalla carica. Per l’accusa, implica l’onere di dimostrare, con elementi specifici e concreti, che il soggetto era cosciente delle attività illecite perpetrate dall’amministratore di fatto. La sentenza rappresenta un importante monito per i giudici di merito a non cedere a facili automatismi, specialmente quando sono in gioco legami familiari, e a fondare le decisioni di condanna su un’analisi approfondita e rigorosa dell’elemento psicologico del reato.

Un amministratore formale (‘testa di legno’) è sempre responsabile per i reati commessi dall’amministratore di fatto?
No, la sua responsabilità penale non è automatica. Deve essere provata la sua effettiva e concreta consapevolezza della condotta illecita, non potendo la condanna basarsi sulla sola assunzione della carica.

Cosa deve provare l’accusa per condannare un amministratore formale per bancarotta documentale?
L’accusa deve dimostrare, attraverso elementi concreti e ‘indicatori’ specifici, che l’amministratore formale era consapevole del fatto che le scritture contabili venivano sottratte o distrutte, e che ha accettato il rischio che tale reato si verificasse.

Il legame familiare con l’amministratore di fatto è sufficiente a dimostrare la colpevolezza dell’amministratore formale?
No. La sentenza chiarisce che il legame familiare, da solo, non costituisce una prova di colpevolezza. Anzi, può essere un elemento che, unito ad altri, dimostra la posizione di debolezza del prestanome, ma non può fondare una presunzione automatica di consapevolezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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