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Amministratore fittizio: responsabilità per omessa dichiarazione

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un amministratore di società condannato per omessa dichiarazione IRES. La Corte ha stabilito che anche un amministratore fittizio ha responsabilità penali, poiché l’accettazione della carica e la ricezione della documentazione sociale sono sufficienti a configurare almeno il dolo eventuale, escludendo che si tratti di responsabilità oggettiva.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore Fittizio: la Cassazione conferma la Responsabilità Penale per Omessa Dichiarazione

Assumere la carica di amministratore di una società, anche solo formalmente come amministratore fittizio o ‘prestanome’, non è un atto privo di conseguenze. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: chi accetta tale ruolo si assume anche i doveri inderogabili ad esso connessi, tra cui l’obbligo di presentare le dichiarazioni fiscali. La Suprema Corte ha chiarito che l’inerzia totale, anche in assenza di una volontà diretta di evadere le tasse, può integrare il reato di omessa dichiarazione per dolo eventuale.

I Fatti del Caso: La Condanna per Omessa Dichiarazione

Il caso esaminato dalla Cassazione riguarda un amministratore condannato in primo e secondo grado per il reato di omessa presentazione della dichiarazione IRES per l’anno d’imposta 2014, con un’evasione accertata di oltre 82.000 euro. La Corte d’Appello, accogliendo il ricorso del Procuratore Generale, aveva inoltre disposto la confisca, diretta o per equivalente, del profitto del reato. L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo di essere stato un mero amministratore fittizio e di non aver mai avuto l’intenzione di evadere le imposte.

I Motivi del Ricorso: Il Ruolo dell’Amministratore Fittizio e la Mancanza di Dolo

La difesa dell’imputato ha basato il ricorso su due argomenti principali:
1. Prescrizione del reato: Si sosteneva che il tempo massimo per perseguire il reato fosse ormai trascorso.
2. Illogicità della motivazione: L’imputato affermava di essere un semplice ‘prestanome’, totalmente estraneo alla gestione effettiva della società. Di conseguenza, secondo la difesa, mancava l’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo specifico di evasione. Si contestava alla Corte d’Appello di aver applicato una forma di responsabilità oggettiva, legata alla sola carica ricoperta, senza considerare la testimonianza del precedente amministratore e la situazione di crisi economica della società.

La Decisione della Suprema Corte: La Responsabilità Penale dell’Amministratore Fittizio

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. In primo luogo, ha respinto l’eccezione di prescrizione, chiarendo che, a causa di plurimi atti interruttivi, il termine massimo di dieci anni non era ancora decorso.

Nel merito, la Corte ha smontato la tesi difensiva, affermando che le censure dell’imputato non evidenziavano vizi logici nella sentenza impugnata, ma rappresentavano un tentativo, non consentito in sede di legittimità, di ottenere una nuova valutazione dei fatti.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che la responsabilità penale dell’amministratore, anche se amministratore fittizio, non deriva da una responsabilità oggettiva, ma da precisi doveri imposti dalla legge. L’assunzione formale della carica comporta l’accettazione degli obblighi ad essa connessi, primo fra tutti quello dichiarativo.

I giudici di legittimità hanno ritenuto logico il ragionamento della Corte d’Appello, che aveva desunto la consapevolezza dell’imputato da elementi fattuali specifici. In particolare, era emerso che il precedente amministratore aveva consegnato al ricorrente ‘tutta la documentazione della società’. Questo elemento dimostrava che l’imputato era stato messo nelle condizioni di adempiere ai suoi doveri minimi.

La totale inerzia e il completo disinteresse per le sorti della società sono stati considerati sufficienti a configurare almeno il dolo eventuale. L’amministratore, pur non volendo direttamente l’evasione, ha accettato il rischio che l’omessa presentazione della dichiarazione si verificasse come conseguenza della sua passività. Infine, la Corte ha sottolineato che la presunta crisi economica della società era rimasta una mera affermazione, non supportata da alcuna prova documentale di tentativi di risanamento.

Le Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione lancia un messaggio chiaro: la carica di amministratore, anche se assunta per conto terzi, non è una finzione giuridica priva di responsabilità. La legge impone doveri precisi il cui inadempimento ha conseguenze penali. Chi accetta di fare da amministratore fittizio non può poi invocare la propria estraneità alla gestione per sfuggire alla responsabilità per reati come l’omessa dichiarazione. La passività e il disinteresse consapevole sono sufficienti a integrare l’elemento soggettivo del reato, quantomeno nella forma del dolo eventuale, confermando che la legge non ammette scappatoie basate sulla mera apparenza formale.

Un amministratore fittizio può essere ritenuto responsabile per l’omessa dichiarazione fiscale della società?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che l’assunzione formale della carica di amministratore comporta l’accettazione dei doveri inderogabili ad essa connessi, come l’obbligo di presentare le dichiarazioni fiscali. L’inerzia totale può portare a una condanna per questo reato.

Per la condanna per omessa dichiarazione è necessario provare la volontà specifica di evadere le tasse?
No, non necessariamente. La sentenza chiarisce che può essere sufficiente il ‘dolo eventuale’. Ciò si verifica quando l’amministratore, pur non avendo come obiettivo primario l’evasione, con la sua totale inerzia accetta consapevolmente il rischio che l’omissione della dichiarazione si verifichi e che sia finalizzata all’evasione delle imposte.

La crisi economica di un’azienda può essere una giustificazione valida per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi?
No, non se non è adeguatamente provata. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto tale giustificazione manifestamente infondata perché la difesa non ha fornito alcuna ‘documentazione o altri elementi significativi’ a sostegno dello stato di crisi o di tentativi di risanamento, rendendo l’argomento una mera affermazione priva di valore probatorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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