Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35911 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35911 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Nettuno (Rm) il DATA_NASCITA;
Oggi,
– 4 NOV, 2025
f»’ ,.COGNOME
avverso la sentenza n. 9889/2024 della Corte di appello di Roma del 26 settembre 2024;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del AVV_NOTAIO, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata quanto all’ammontare della somma confiscata;
letta, altresì, la memoria rassegnata, nell’interesse del ricorrente, dall’AVV_NOTAIO, del foro di Velletri, con la quale si è insistito per l’accoglimento del ricorso. B)
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma, con sentenza pronunziata in data 26 settembre 2024, ha solo parzialmente accolto la impugnazione presentata da COGNOME NOME avverso la sentenza con la quale, il precedente 18 aprile 2023, il Tribunale di Velletri lo aveva dichiarato responsabile dei reati di cui agli artt. 5, 4 e 10 del dlgs n. 74 del 2000 per avere, rispettivamente: a) in qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE ed in concorso con tali COGNOME e COGNOME, omesso di presentare la dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 2013; b) indicato, nelle medesima qualità di cui sopra ed in concorso col solo COGNOME, nella dichiarazione Iva relativa all’anno di imposta 2013 1 elementi attivi di reddito inferiori a quelli effettivi, per avere, altresì, indicato elementi attivi di reddito falsamente segnalati come esenti da imposta nonché elementi passivi documentati con fatture aventi ad oggetto operazioni inesistenti; c) per avere, infine, spiegando sempre la predetta qualità, occultato o comunque distrutto in concorso con il già citato COGNOME e con tale COGNOME, la documentazione della quale è, invece, obbligatoria la conservazione per fini tributari; il Tribunale lo aveva, pertanto, condannato, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione e riconosciute in suo favore le circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, oltre accessori, ivi compresa la confisca del profitto conseguito attraverso la consumazione dei reati contestati, pari ad euri 518.147,52.
In parziale riforma della sentenza emessa in primo grado, la Corte capitolina, rilevata la intervenuta estinzione per prescrizione del reato avente ad oggetto la violazione dell’art. 4 del dlgs n. 74 del 2000, ha prosciolto l’imputato quanto ad esso ed ha, conseguentemente, riformato la sentenza impugnata in ordine alla entità della pena inflitta, riducendola ad anni 1 e mesi 3 di reclusione; ha, altresì, rideterminato la confisca nella forma per equivalente, riducendola al solo profitto conseguito attraverso la violazione dell’art. 5 del dlgs n. 74 del 2000, mentre la ha confermata nella sua originaria entità quanto alla confisca in forma diretta.
Avverso la sentenza così concepita ha interposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore fiduciario, l’COGNOME, affidando le proprie doglianze a due motivi di impugnazione.
Il primo motivo di ricorso è svolto in relazione al criterio di giudizio che ha indotto i giudici del merito a ritenere che l’COGNOME fosse l’amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE; in particolare il ricorrente ha contestato il dato, invece valorizzato nella sentenza censurata, secondo il quale, in base a quanto riferito da un teste esaminato nel corso del dibattimento, le fatture che la RAGIONE_SOCIALE inviava ai propri clienti recavano la indicazione del numero identificativo di un conto corrente bancario, sul quale dovevano essere effettuate le rimesse dei corrispettivi dovuti alla RAGIONE_SOCIALE, non riconducibile alla predetta RAGIONE_SOCIALE ma direttamente all’COGNOME.
Tale dato, ha osservato il ricorrente, non risponde a verità in quanto il teste in questione non ha riferito la informazione riportata nella sentenza di merito, e comunque il numero di conto corrente indicato in fattura era riferibile alla RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo motivo il ricorrente ha lamentato il difetto di motivazione della sentenza impugnata in relazione alla determinazione della somma confiscata, posto che la stessa sarebbe viziata in quanto la quantificazione della stessa sarebbe stata operata in difetto del requisito della proporzionalità, tanto più ove si consideri il recente arresto delle Sezioni unite di questa Corte di cassazione – del quale era, al momento della redazione del ricorso, nota solo la “notizia di decisione” – deliberato nel corso della udienza del 27 settembre 2024.
In data 27 maggio 2025 il ricorrente ha fatto pervenire una memoria con la quale ha insistito per l’accoglimento del suo ricorso, concentrando le proprie osservazioni a sostegno del primo dei due motivi dedotti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è risultato inammissibile e, pertanto, come tale lo stesso deve essere ora dichiarato.
Osserva, infatti, il Collegio che la prima censura svolta dal ricorrente ha esclusivamente quale suo oggetto la inadeguatezza motivazionale della sentenza impugnata in quanto nella stessa l’attribuzione all’COGNOME della qualifica di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata argomentata in base ad un dato, peraltro già oggetto di gravame, non rispondente a verità, cioè che i pagamenti operati in favore della predetta società erano eseguiti tramite rimesse su di un conto corrente bancario la cui disponibilità era del solo COGNOME e non anche della predetta RAGIONE_SOCIALE.
Rileva il Collegio che, sebbene risponda a verità la circostanza che nella sentenza impugnata la Corte di appello abbia valorizzato un dato di fatto cioè che il teste COGNOME, titolare di una impresa che aveva intrattenuto rapporti commerciali con la RAGIONE_SOCIALE, avesse sostenuto che i pagamenti da lui effettuati erano stati indirizzati su di un conto corrente, i cui estremi sarebbero stati riportati sulle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, non riferibile a questa ma direttamente all’COGNOME – che, non solo era stato contestato in sede di impugnazione, ma sul quale la stessa Corte non aveva fornito alcun elemento volto replicare ai documentati temi impugnatori di fronte ad essa prospettati, deve, peraltro, rilevarsi come la medesima Corte abbia giustificato l’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, e di conseguenza la sua personale responsabilità penale, in funzione di altri indici, diversi da quello contestato dal ricorrente, desunti dalle dichiarazioni di altri testi – in particolare si rimanda a quanto riportato nella sentenza impugnata in merito a quanto riferito dai testi COGNOME, COGNOME, COGNOME nonché dallo stesso teste COGNOME in ordine al soggetto che esercitava il potere contrattuale per conto del RAGIONE_SOCIALE, partecipando alle trattative strumentali all’attività negoziale svolta da quest’ultima (si veda pagina 5 della sentenza impugnata) – di per sé logicamente sufficienti, data lo loro pregnanza sintomatica, a giustificare la qualifica di amministratore di fatto attribuita in sede di merito all’COGNOME.
Il fatto che con tali indici il ricorrente non si sia affatto confrontato rende generico sul punto il contenuto del ricorso ora esaminato.
Anche il successivo motivo di impugnazione deve ritenersi inammissibile, posto che con lo stesso viene introdotto un tema, quello della sproporzione fra la somma confiscata e imposta evasa, che è manifestamente infondato in ordine alla corrispondenza dell’importo confiscato con la determinazione monetaria della imposta, atteso che, non essendo state contestate le componenti positive di reddito risultanti a seguito dati di fatto certi richiamati dalla sentenza della Corte capitolina ed applicata sugli stessi la aliquota pertinente, sarebbe stato onere del ricorrente, evidentemente da assolvere in sede di giudizio di merito, documentare e quantificare in termini affidabili l’esistenza di elementi passivi di reddito tali da ridurre il valore dell’imponibile.
Non risultando, anche alla luce del contenuto del ricorso ora proposto, che tale onere sia stato adempiuto, deve concludersi /quanto al predetto profilo attinente alla sproporzione fra somme confiscata e imposta evasa che la censura appare del tutto infondata.
In relazione al successivo tema, adombrato – concernente la possibile ripartizione fra correi del valore del profitto confiscabile, sulla base di quanto risultante dal contenuto della sentenza n. 13783 del 2025 delle Sezioni unite della Corte di cassazione – osserva il Collegio – senza dovere entrare nel merito della deducibilità della questione per la prima volta in sede di ricorso per cassazione, laddove la questione non aveva formato specifico oggetto di impugnazione di fronte alla Corte di merito – che nel caso di specie la questione non è allo stato concretamente proponibile posto che il soggetto che è, in relazione al reato di cui al capo a), stato giudicato congiuntamente all’COGNOME, cioè tale COGNOME (amministratore formale della RAGIONE_SOCIALE), è stato assolto in ordine alla imputazione a lui contestata, essendo venuta pertanto meno, in relazione a questo, già in radice la ragione per l’eventuale suddivisione della entità della somma contestata; mentre per ciò che attiene alle altre imputazioni la posizione dei soggetti che avrebbero dovuto rispondere di esse unitamente al prevenuto sono state stralciate, tali COGNOME e COGNOME, come pacificamente risultante dalla sentenza impugnata, di tal che la loro posizione rispetto a dette imputazioni – la cui conoscenza sarebbe risultata indispensabile per la corretta applicazione dei principi affermati dalle Sezioni unite della Corte di cassazione in punto di regime di eventuale ripartizione fra correi della entità della somma da confiscare quale profitto del reato commesso – risulta ignota né la stessa è stata indicata dal ricorrente, come invece sarebbe stato suo onere al fine di far valere l’argomento difensivo adombrato col motivo di ricorso.
Questo, pertanto, deve essere dichiarato nel suo complesso inammissibile ed il ricorrente, visto l’art. 616 cod. proc. pen., va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2025
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Pr idente