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Amministratore di fatto: responsabilità penale

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta fraudolenta a carico sia dell’amministratore di diritto che dell’amministratore di fatto di una società. La sentenza chiarisce che la responsabilità penale sorge dalla co-gestione effettiva, provata anche da elementi indiziari convergenti, come l’ideazione di operazioni fraudolente (un indebito rimborso IVA), la riscossione congiunta di crediti e l’uso promiscuo degli strumenti societari. Viene respinta la tesi difensiva che mirava a sminuire il ruolo di entrambi gli imputati, riaffermando il principio che la gestione condivisa, anche senza una nomina formale, comporta una piena responsabilità per i reati commessi nell’interesse della società.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di fatto: quando la gestione occulta porta alla condanna

La figura dell’amministratore di fatto è centrale nel diritto penale societario, sollevando complesse questioni sulla responsabilità penale di chi gestisce un’impresa senza averne la carica formale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 18824 del 2024, torna su questo tema cruciale, confermando la condanna per bancarotta fraudolenta sia per l’amministratore di diritto (la classica “testa di legno”) sia per colui che, di fatto, tirava le fila della società.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda il fallimento di una società a responsabilità limitata, attiva nel settore immobiliare. Le indagini avevano portato alla luce una gestione illecita culminata in diversi reati fallimentari. In particolare, gli amministratori erano accusati di:

* Bancarotta fraudolenta patrimoniale: per aver distratto circa 76 mila euro, ottenuti tramite un rimborso IVA basato su presupposti falsi.
* Bancarotta fraudolenta documentale.
* Causazione dolosa del fallimento: per aver utilizzato la società come strumento per truffe ai danni dello Stato, omettendo la restituzione del rimborso IVA e aggravando così la posizione debitoria dell’impresa fino a oltre 91 mila euro.

Sul banco degli imputati sedevano due figure: l’amministratore unico, formalmente in carica, e un secondo soggetto, considerato dagli inquirenti il vero dominus, ovvero l’amministratore di fatto.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Condannati in primo e secondo grado, entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, cercando di smontare l’impianto accusatorio.

L’amministratore di diritto sosteneva di essere stato un mero esecutore, privo di qualsiasi autonomia decisionale, costretto a chiedere l’autorizzazione dell’amministratore di fatto per ogni operazione. A sua discolpa, ipotizzava che i fondi distratti fossero in realtà stati utilizzati per pagare le retribuzioni legate all’attività edilizia della società.

Dall’altro lato, l’amministratore di fatto contestava la sua qualifica, affermando che le prove a suo carico fossero puramente indiziarie (dichiarazioni di terzi, amicizie) e non supportate da riscontri oggettivi, come accertamenti sui conti correnti. Sosteneva, inoltre, che il solo concepimento di un’idea fraudolenta non potesse equivalere a un atto di gestione societaria.

Le motivazioni della Corte: la responsabilità dell’amministratore di fatto

La Suprema Corte ha rigettato entrambi i ricorsi, ritenendoli infondati e confermando la solidità della decisione dei giudici di merito. Il ragionamento della Corte si basa su principi consolidati in materia di reati fallimentari e sulla corretta valutazione del compendio probatorio.

La Co-gestione e il Valore degli Indizi

I giudici hanno ribadito che la responsabilità dell’amministratore di fatto può coesistere con quella dell’amministratore di diritto. Nel caso di specie, la prova della co-gestione è emersa da una serie di elementi convergenti e logici:

1. Ideazione e Attuazione: La richiesta di rimborso IVA era stata sì firmata dall’amministratore di diritto, ma l’idea fraudolenta era stata concepita dall’amministratore di fatto, come da lui stesso ammesso.
2. Gestione Condivisa: Entrambi gli imputati si recavano insieme a riscuotere i crediti della società e seguivano congiuntamente i cantieri, impartendo ordini.
3. Uso degli Strumenti Societari: L’amministratore di fatto aveva persino firmato un assegno al posto dell’amministratore di diritto, dimostrando di avere piena disponibilità del libretto degli assegni della società.

La Corte ha sottolineato come la difesa abbia commesso l’errore di analizzare ogni elemento di prova in modo isolato (“prospettiva atomistica”). Al contrario, è la valutazione complessiva e integrata degli indizi a fornire un quadro univoco e pregnante, capace di dimostrare il fatto illecito. La confessione dell’amministratore di fatto riguardo alla programmazione dell’operazione fraudolenta è stata considerata un elemento di particolare rilievo.

L’irrilevanza della Difesa sulla Destinazione dei Fondi

Anche la tesi difensiva sull’utilizzo delle somme per scopi sociali è stata respinta come “del tutto congetturale”. La Corte ha evidenziato due dati insormontabili: il sicuro ingresso della somma illecita nelle casse della società e la totale assenza di prove specifiche che ne dimostrassero un utilizzo per finalità lecite, come il pagamento di retribuzioni.

Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio fondamentale del diritto penale d’impresa: la responsabilità penale non si ferma alle cariche formali. Chiunque eserciti un potere gestorio continuativo e significativo su una società, anche senza un’investitura ufficiale, risponde dei reati commessi nella gestione. La figura dell’amministratore di fatto non è uno schermo, ma un soggetto pienamente responsabile. Per la sua individuazione, un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti è sufficiente a fondare una sentenza di condanna, senza che sia necessario un accertamento su ogni singolo movimento bancario, soprattutto a fronte di ammissioni e di una palese co-gestione operativa.

Può un amministratore di fatto essere ritenuto penalmente responsabile per reati fallimentari insieme all’amministratore di diritto?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che l’esercizio dei poteri gestionali da parte di un amministratore di fatto può verificarsi in concomitanza con l’attività di altri soggetti di diritto, portando a una responsabilità penale condivisa per i reati fallimentari commessi.

Quali prove sono sufficienti per dimostrare il ruolo di un amministratore di fatto?
Non sono necessarie prove dirette come gli accertamenti sui conti correnti. La sentenza stabilisce che un insieme di elementi indiziari convergenti è sufficiente. Nel caso specifico, sono stati valorizzati: l’ammissione di aver concepito l’operazione fraudolenta, la riscossione congiunta dei crediti, la gestione comune dei cantieri e la sottoscrizione di un assegno societario.

L’aver semplicemente concepito un’idea fraudolenta è sufficiente per essere condannati come amministratore di fatto?
No, la Corte chiarisce che la responsabilità non deriva dal semplice concepimento di un’idea, ma dalla “programmazione di un’operazione fraudolenta foriera di gravi conseguenze sulla società”, unita ad altri elementi che dimostrano un ruolo attivo e continuativo nella gestione aziendale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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