Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 18824 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 18824 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a TORRE ANNUNZIATA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CAGLIARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/03/2023 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che le parti non hanno formulato richiesta di discussione orale ex art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato, da ultimo, in forza dell’art. 17 del decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, convertito, con modificazioni, nella legge 10 agosto 2023, n. 112,
Lette la requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e succ. modif., del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi, e, per il ricorrente COGNOME, le conclusioni dell’AVV_NOTAIO per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza deliberata il 23/03/2023, la Corte di appello di Cagliari ridotta ad anni 3 la pena principale e la durata delle pene accessorie fallimentari, nonché ad anni cinque l’interdizione dai pubblici uffici irrogate agli imputati – ha nel resto confermato la sentenza del 02/12/2021 con la quale il Tribunale di Cagliari aveva dichiarato NOME COGNOME e NOME COGNOME – il primo quale amministratore unico al fallimento, il secondo quale amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 20/01/2012 – responsabile dei reati d bancarotta fraudolenta patrimoniale (per aver dissipato, occultato o comunque distratto 76 mila euro derivanti da un rimborso IVA relativo al 2003 ottenuto sulla base di falsi presupposti), bancarotta fraudolenta documentale e causazione dolosa del fallimento (per aver utilizzato strumentalmente la società per truffe e acquisti simulati ai danni dello Stato, omettendo di restituire l’indebito rimborso IVA di cui sopra, con incremento del debito, dovuto a interessi e sopratasse fino a più di 91 mila euro).
Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Cagliari ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, attraverso il difensore AVV_NOTAIO, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo denuncia inosservanza degli artt. 43 cod. pen., 2639 cod. civ. e 216 I. fall., nonché vizi di motivazione, in relazione al ruolo di amministratore unico della fallita rivestito dal ricorrente, senza però aver alcun ruolo in merito alle scelte gestionali e amministrative della società, come dedotto con i motivi di appello non presi in considerazione della sentenza impugnata, in quanto il ricorrente non poteva procedere in modo autonomo, dovendo sempre chiedere l’autorizzazione a COGNOME, il quale si occupava della parte amministrativa, essendo il reale promotore delle operazioni commerciali.
2.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza degli artt. 43 cod. pen., 192 cod. proc. pen. e 216 I. fall, nonché vizi di motivazione, in quanto erroneamente la Corte di appello ha ritenuto l’insussistenza di tracce dell’utilizzo del rimborso IVA, in quanto la società operò realizzando degli immobili, attività per la quale vengono corrisposte retribuzioni, sicché i 76 mila euro saranno stati utilizzati per tali adempimenti.
Avverso la medesima sentenza della Corte di appello di Cagliari ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, attraverso il difensore AVV_NOTAIO.
NOME COGNOME, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 192 cod. proc. pen., 216, 219, 223, I. fall. La prova della qualifica di amministratore di fatto è basata su elementi meramente indiziari, quali le dichiarazioni dell’amministratore di diritto o di soggetti a questi legati da rapporti di amicizia o coniugio, in assenza di indagini sui movimenti dei conti correnti della società e di quelli dell’amministratore di diritto (sei) e in mancanza di elementi sintomatici della gestione o cogestione della società.
3.2. Il secondo motivo denuncia vizi di motivazione, in quanto il concepimento di un’idea non può essere considerato indice rivelatore della gestione della società, mentre si afferma che gli stipendi erano corrisposti dall’amministratore di diritto per poi, contraddittoriamente, valorizzare l’affermazione del coimputato secondo cui entrambi riscuotevano i crediti, laddove la sottoscrizione di un assegno dimostra l’indisponibilità di liquidità, mentre nessun elemento di riscontro è indicato a conferma delle dichiarazioni del coimputato.
Con requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, cit., il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME AVV_NOTAIO ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi. Per il ricorrente COGNOME, l’AVV_NOTAIO ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi non meritano accoglimento.
Il primo motivo del ricorso nell’interesse di COGNOME e il ricorso nell’interesse di COGNOME – tutti afferenti al tema delle qualifiche soggettive – non sono fondati.
In limine, mette conto ribadire che, in tema di reati fallimentari, l’esercizio dei poteri o delle funzioni dell’amministratore di fatto può verificarsi in concomitanza con l’esplicazione dell’attività di altri soggetti di diritto, i quali tempi successivi o anche contemporaneamente – esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (Sez. 5, 12912 del 06/02/2020, Pauselli, Rv. 279040 – 01).
2.1. A giustificazione dell’affermazione della responsabilità penale in capo sia all’amministratore di diritto, sia all’amministratore di fatto le – sul punto conformi sentenze di merito hanno valorizzato plurimi, convergenti elementi: la
richiesta di (indebito) rimborso IVA era stata sottoscritta da COGNOME, ma l’idea era stata concepita da COGNOME, come da quest’ultimo ammesso, sicché al dato documentale si saldava quello confessorio; i pagamenti per conto della fallita erano concordati tra i due imputati; dall'”incrocio” delle dichiarazioni degli stessi, si evince che insieme si recavano a riscuotere i crediti sociali e che entrambi seguivano i cantieri aperti dalla società, effettuando i relativi ordini; COGNOME aveva sottoscritto un assegno al posto di NOME, il che dimostra che il secondo aveva consegnato al primo il relativo modello. Le censure proposte dai ricorsi non inficiano la tenuta logico-giuridica della motivazione della sentenza impugnata.
2.2. Il primo motivo del ricorso COGNOME svilisce indebitamente il ruolo dello stesso, delineato dai giudici di merito, in termini immuni da cadute di consequenzialità logica, come autore della richiesta di indebito rimborso IVA e, più in generale, compartecipe della gestione – anche amministrativa – della società.
2.3. Il primo motivo del ricorso COGNOME svaluta anch’esso il ragionamento dei giudici di merito, muovendo dalla considerazione dei vari elementi di prova in una prospettiva atomistica e indipendente dal necessario raffronto con il complessivo compendio probatorio valorizzato dalle concordi pronunce di merito (Sez. 6, n. 45249 del 08/11/2012, Cimini, Rv. 254274), laddove è solo l’esame di tale compendio entro il quale ogni elemento è contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, COGNOME, Rv. 239789), posto che nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, così che l’insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere provato il fatto (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191230). In particolare, il ricorso trascura di considerare il dato rimarcato dalla sentenza di appello, ossia l’ammissione della programmazione dell’operazione fraudolenta che ha condotto all’indebito rimborso IVA. Del tutto esplorativa è la deduzione circa gli accertamenti relativi ai conti della società e dell’amministratore di diritto.
2.4. Anche il secondo motivo del ricorso COGNOME non merita accoglimento. A venire in rilievo non è il semplice concepimento di un’idea, quanto la progettazione di un’operazione fraudolenta foriera di gravi conseguenze sulla società (oltre che per l’erario). Privo di consistenza è il riferimento alla dedotta mancanza di riscontri, che oblitera il rilievo dei vari elementi (anche ammissivi) valorizzati dai giudici di merito, laddove la pretesa di dedurre l’indisponibilità di liquidità dalla sottoscrizione dell’assegno al posto dell’amministrazione di diritto non può rimuovere il dato di realtà rappresentato appunto dall’esercizio di
un’attività tipica riservata a tale figura. Nessuna contraddizione poi si rinviene nella descrizione delle varie attività svolte congiuntamente dai due imputati.
Anche il secondo motivo del ricorso nell’interesse di COGNOME non è fondato. Del tutto congetturale (anche nella stessa formulazione lessicale della deduzione) è il riferimento al possibile utilizzo delle somme percepite a titolo di (indebito) rimborso per le retribuzioni, risultando insormontabile il duplice dato del sicuro ingresso della somma nelle casse della società e, al contempo, la mancanza di alcuna specifica indicazione circa il suo utilizzo per scopi sociali.
I ricorsi, pertanto, devono essere rigettati e ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 02/04/2024.