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Amministratore di fatto: responsabilità e bancarotta

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta fraudolenta a carico di un amministratore di fatto, ribadendo che chi gestisce una società in concreto ne assume tutte le responsabilità penali. La sentenza chiarisce che per la bancarotta distrattiva è sufficiente il dolo generico, ovvero la consapevolezza di depauperare il patrimonio sociale a potenziale danno dei creditori, anche senza un’intenzione specifica di causare il fallimento.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di fatto: responsabilità e bancarotta

La figura dell’amministratore di fatto è da sempre al centro del dibattito giurisprudenziale, specialmente nell’ambito dei reati fallimentari. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti, confermando che chiunque gestisca concretamente un’impresa, anche senza un incarico formale, è pienamente responsabile delle conseguenze penali delle sue azioni. Questo principio, noto come prevalenza della sostanza sulla forma, è cruciale per la tutela dei creditori e del corretto funzionamento del mercato.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un imprenditore condannato in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale. Sebbene formalmente l’amministratrice della società fallita fosse la coniuge, le indagini hanno dimostrato che era l’imputato a esercitare in via esclusiva e continuativa il potere gestionale. Egli era, a tutti gli effetti, l’amministratore di fatto.

Le condotte contestate erano numerose e sistematiche, volte a depauperare il patrimonio sociale a vantaggio proprio e del coniuge. Tra le operazioni illecite figuravano:

* La sottrazione di beni mobili (arredi, attrezzature) iscritti in bilancio.
* L’acquisto di un’autovettura con fondi della società, intestata però al coniuge.
* Il versamento di assegni societari su conti correnti personali.
* La vendita di due immobili di proprietà della società a un’altra entità giuridica, anch’essa amministrata dall’imputato, senza che la società venditrice incassasse mai il corrispettivo pattuito (pari a centinaia di migliaia di euro).
* La distruzione o l’occultamento delle scritture contabili, rendendo impossibile la ricostruzione del patrimonio e del reale andamento degli affari.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la sua qualifica di amministratore di fatto, la sussistenza dell’elemento soggettivo (dolo) e la natura distrattiva delle operazioni.

La Responsabilità dell’Amministratore di Fatto nella Bancarotta

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna. La sentenza si fonda su principi consolidati in materia, offrendo una motivazione chiara e rigorosa.

Innanzitutto, la Corte ha ribadito che la qualifica di amministratore di fatto si basa sull’accertamento di un esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici della funzione gestoria. Non è necessario esercitare tutti i poteri, ma è sufficiente svolgere un’attività gestoria apprezzabile e non occasionale. Nel caso di specie, elementi come la gestione dei conti correnti, i rapporti con il commercialista, la vendita di immobili societari e il possesso di una procura generale hanno ampiamente dimostrato il suo ruolo dominante.

Le motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le difese dell’imputato. Un aspetto centrale della motivazione riguarda il dolo nel reato di bancarotta fraudolenta. La difesa sosteneva la mancanza di un’intenzione specifica di danneggiare i creditori, ma i giudici hanno ribadito che per questo reato è sufficiente il dolo generico.

Questo significa che non è richiesta la volontà di causare il fallimento, ma basta la consapevolezza che l’atto di distrazione (cioè la sottrazione di un bene dal patrimonio sociale) provochi un impoverimento della società, mettendo a rischio la garanzia patrimoniale per i creditori. L’intento di agire per un interesse personale o estraneo a quello sociale, con la previsione di questo possibile danno, integra pienamente l’elemento soggettivo del reato. Le Sezioni Unite hanno chiarito che le condotte distrattive sono penalmente rilevanti in qualsiasi momento siano state commesse, anche quando l’impresa non era ancora insolvente.

Anche la tesi difensiva secondo cui alcune distrazioni erano di valore esiguo è stata respinta. La Corte ha osservato che tali atti devono essere valutati nel loro complesso, come parte di un ‘sistema’ di spoliazione sistematica del patrimonio aziendale.

Infine, per quanto riguarda la bancarotta documentale, la Cassazione ha sottolineato che l’obbligo di tenere correttamente le scritture contabili grava anche sull’amministratore di fatto, in quanto soggetto che ha la responsabilità della gestione complessiva dell’impresa. La loro distruzione o la tenuta irregolare che impedisce la ricostruzione degli affari è a lui direttamente imputabile.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un’importante conferma dei principi che regolano la responsabilità penale nelle crisi d’impresa. Essa ribadisce con forza che il diritto non si ferma alle apparenze formali: chi gestisce una società è responsabile delle proprie azioni, indipendentemente dal titolo ufficiale che ricopre. La figura dell’amministratore di fatto non è uno schermo per eludere la legge, ma un soggetto pienamente equiparato, nei doveri e nelle responsabilità, all’amministratore di diritto. Questa decisione serve da monito a chiunque pensi di poter utilizzare prestanome o schermi societari per sottrarre risorse a un’azienda a danno dei creditori e del mercato.

Chi è considerato ‘amministratore di fatto’ e quali sono le sue responsabilità?
È considerato amministratore di fatto chi, pur senza una nomina formale, esercita in modo continuativo e significativo i poteri di gestione di una società. Secondo la Corte, questa figura è gravata dell’intera gamma dei doveri e delle responsabilità, anche penali, che competono all’amministratore di diritto, inclusa la corretta tenuta delle scritture contabili.

Quale tipo di dolo è necessario per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione?
La Corte di Cassazione conferma che è sufficiente il dolo generico. Ciò significa che non è necessaria l’intenzione specifica di causare un danno ai creditori o il fallimento, ma è sufficiente la consapevolezza e volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella dovuta, con la previsione che tale operazione possa diminuire la garanzia per i creditori.

La vendita di beni aziendali senza incassare il corrispettivo può configurare una distrazione?
Sì. La sentenza ha qualificato come distrattiva la vendita di immobili della società fallita a un’altra società, gestita dallo stesso amministratore di fatto, senza che il prezzo della vendita fosse mai stato versato. Questa operazione, priva di qualsiasi vantaggio economico per la società venditrice, ne ha diminuito il patrimonio a esclusivo vantaggio dell’acquirente, integrando pienamente il reato di bancarotta per distrazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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