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Amministratore di fatto: responsabilità e bancarotta

Due amministratori sono stati condannati per bancarotta fraudolenta a causa della distrazione di beni da una società fallita verso un’altra da loro gestita. Hanno impugnato la sentenza, contestando il loro ruolo di amministratori di fatto. La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, confermando la loro responsabilità. Tuttavia, ha annullato la sentenza limitatamente alla durata delle pene accessorie, rinviando alla Corte d’Appello per una nuova determinazione alla luce di una sentenza della Corte Costituzionale. Il caso sottolinea la piena responsabilità penale dell’amministratore di fatto.

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Pubblicato il 29 luglio 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di fatto: la Cassazione conferma la piena responsabilità penale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 52120 del 2019, affronta un tema cruciale nel diritto penale societario: la responsabilità dell’amministratore di fatto. Questa figura, che agisce per conto della società senza una nomina formale, è equiparata a tutti gli effetti all’amministratore di diritto. La pronuncia chiarisce che la gestione effettiva prevale sulla carica ufficiale, con importanti conseguenze in caso di reati fallimentari come la bancarotta fraudolenta. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I fatti di causa

La vicenda riguarda due soci, amministratori di una società a responsabilità limitata (S.r.l.) dichiarata fallita. Erano accusati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta documentale semplice. In particolare, avevano distratto circa 144.800 euro dalla S.r.l. fallita a favore di un’altra società di persone (S.a.s.), anch’essa gestita da loro.

La S.r.l. era stata costituita per proseguire l’attività della S.a.s., che incontrava difficoltà di accesso al credito. Grazie all’apporto di un socio esterno, la S.r.l. aveva ricevuto una liquidità di 150.000 euro. Questa somma, tuttavia, era stata immediatamente utilizzata per acquistare beni e clientela dalla S.a.s. a un prezzo ritenuto largamente superiore al valore reale, stimato in soli 76.000 euro. Questa operazione di trasferimento di ricchezza ha svuotato le casse della S.r.l., portandola al fallimento, e ha configurato il reato di distrazione.

La responsabilità dell’amministratore di fatto secondo la Cassazione

I due imputati hanno presentato ricorso in Cassazione, contestando la loro responsabilità. Uno sosteneva di non essere amministratore di fatto prima della sua nomina ufficiale, mentre l’altro affermava di non aver più avuto un ruolo gestionale dopo le sue dimissioni formali.

La Corte ha respinto entrambe le tesi, dichiarando i ricorsi inammissibili. I giudici hanno sottolineato che il ricorso per cassazione non consente una nuova valutazione dei fatti, ma solo un controllo sulla legittimità della decisione. La Corte d’Appello aveva motivato in modo logico e coerente la responsabilità di entrambi gli imputati, basandosi su prove concrete che dimostravano il loro pieno e continuativo coinvolgimento nella gestione della società, a prescindere dalle cariche formali ricoperte in un dato momento.

La decisione della Corte

La Cassazione ha confermato la condanna per i reati di bancarotta, ritenendo i ricorsi degli imputati un tentativo di rimettere in discussione il merito della vicenda, cosa non permessa in sede di legittimità.

Tuttavia, la Corte ha rilevato d’ufficio un’irregolarità. La sentenza impugnata aveva applicato la pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di impresa per una durata fissa di dieci anni, come previsto dall’art. 216 della legge fallimentare. Nel frattempo, la Corte Costituzionale (sent. n. 222/2018) aveva dichiarato incostituzionale tale automatismo. Di conseguenza, la Cassazione ha annullato la sentenza su questo specifico punto, rinviando il caso alla Corte d’Appello di Milano per rideterminare la durata della pena accessoria, che deve essere stabilita dal giudice “fino a dieci anni” e non in misura fissa.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione su tre pilastri fondamentali:
1. Prevalenza della sostanza sulla forma: Ai fini della responsabilità penale, ciò che conta è l’esercizio effettivo dei poteri gestori. La qualifica di amministratore di fatto deriva da un’analisi concreta del ruolo svolto all’interno dell’azienda. Elementi come la gestione dei rapporti con clienti e fornitori, la cura dei conti correnti e il potere decisionale sono sufficienti a configurare tale posizione, anche in assenza o al di fuori di una nomina formale.
2. Inammissibilità del riesame dei fatti: I ricorsi sono stati respinti perché si limitavano a proporre una lettura alternativa delle prove (come le dichiarazioni testimoniali), senza individuare vizi di legittimità quali la manifesta illogicità della motivazione. La valutazione delle prove è di competenza esclusiva dei giudici di merito.
3. Legalità della pena: La Corte ha agito d’ufficio per adeguare la sanzione ai principi costituzionali. La pena accessoria, come quella principale, deve essere proporzionata alla gravità del fatto. L’automatismo dei dieci anni è stato giudicato contrario a questo principio, e la Cassazione ha quindi corretto l’errore di diritto, restituendo al giudice di merito il potere di commisurare la sanzione.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio cardine del diritto penale d’impresa: la responsabilità penale non si ferma alle etichette formali. Chiunque gestisca una società, anche senza un incarico ufficiale, ne risponde penalmente come un amministratore di fatto. Inoltre, la decisione evidenzia l’importante ruolo della Corte Costituzionale e della Cassazione nel garantire che le pene siano sempre giuste e proporzionate, eliminando automatismi sanzionatori ritenuti eccessivi.

Si può essere considerati responsabili per bancarotta anche se si è cessati dalla carica di amministratore?
Sì. La sentenza conferma che se un soggetto continua a esercitare di fatto funzioni gestorie e direttive anche dopo le dimissioni formali, viene considerato un ‘amministratore di fatto’ e può essere ritenuto penalmente responsabile per i reati fallimentari commessi durante la sua gestione effettiva.

Quali prove sono necessarie per dimostrare il ruolo di amministratore di fatto?
La prova si basa su ‘elementi sintomatici’ che dimostrano l’inserimento organico del soggetto nella gestione della società. Secondo la Corte, esempi concreti sono la gestione dei rapporti con clienti e fornitori, la cura dei conti correnti, la partecipazione a decisioni strategiche e, in generale, l’esercizio di funzioni direttive, a prescindere da una nomina formale.

La pena accessoria per il reato di bancarotta fraudolenta ha una durata fissa di dieci anni?
No. La Corte di Cassazione, applicando una precedente sentenza della Corte Costituzionale (n. 222/2018), ha stabilito che la pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa non è automaticamente di dieci anni. Il giudice del merito deve determinare la durata, fino a un massimo di dieci anni, valutando la gravità specifica del reato e la colpevolezza dell’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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