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Amministratore di fatto: quando si è responsabili

La Cassazione conferma la condanna per bancarotta di un imprenditore, ritenuto amministratore di fatto di una società. La sentenza chiarisce che l’esercizio continuativo di poteri gestori, anche senza carica formale, è sufficiente per attribuire la responsabilità penale. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché basato su ipotesi congetturali e motivi in parte nuovi.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di fatto: la Cassazione delinea le responsabilità penali

La figura dell’amministratore di fatto è cruciale nel diritto societario e penale, poiché estende la responsabilità a chi gestisce un’impresa senza averne la carica formale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 10853/2024) ha ribadito i principi per l’attribuzione di tale qualifica, confermando la condanna per bancarotta fraudolenta e documentale a carico di un imprenditore che, di fatto, non aveva mai smesso di governare la sua società.

Il caso: dalla gestione formale a quella occulta

La vicenda giudiziaria riguarda un imprenditore, socio di maggioranza (80%) e amministratore di diritto di una S.r.l. fino all’aprile 2008. In quella data, pur rimanendo socio, cede formalmente la carica a un’altra persona. Tuttavia, secondo le corti di merito, egli continua a gestire la società. La situazione si complica ulteriormente quando, nel gennaio 2009, l’amministratore di diritto decede, ma nessuna comunicazione viene fatta alla Camera di Commercio e nessun sostituto viene nominato.

L’imprenditore, approfittando di questo vuoto formale, prosegue nell’attività gestoria, portando la società al dissesto attraverso operazioni dolose, come l’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Inoltre, sottrae le scritture contabili, rendendo impossibile la ricostruzione del patrimonio e degli affari sociali. Condannato in primo e secondo grado per bancarotta societaria e documentale, l’imprenditore ricorre in Cassazione, contestando principalmente due punti: la sua qualifica come amministratore di fatto e la sussistenza del dolo specifico per il reato di bancarotta documentale.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello. I giudici hanno ritenuto le argomentazioni del ricorrente generiche, infondate e, in parte, non ammissibili in sede di legittimità.

Le motivazioni

La sentenza si sofferma su due aspetti fondamentali che meritano un’analisi approfondita.

I criteri per identificare l’amministratore di fatto

La Corte ribadisce che per qualificare un soggetto come amministratore di fatto non è necessario che egli eserciti tutti i poteri tipici dell’organo di gestione. È sufficiente, invece, l’esercizio in modo continuativo e significativo di un’apprezzabile attività gestoria. Nel caso di specie, i giudici hanno individuato una serie di elementi sintomatici e concordanti:

* Il ruolo pregresso: L’imprenditore era stato amministratore di diritto e socio di maggioranza, il che dimostrava la sua profonda conoscenza e il suo controllo sulla società.
* La continuità gestionale: Anche dopo la morte dell’amministratore formale, la società ha continuato a operare, effettuando importanti acquisti intracomunitari, indice di una gestione attiva.
* Le prove dirette: Sono state rinvenute email in cui l’imprenditore assicurava a una società estera il pagamento di una commessa, un chiaro atto di gestione esterna.
* Il comportamento strategico: La mancata comunicazione del decesso dell’amministratore di diritto e la mancata nomina di un sostituto sono state interpretate come una precisa volontà di rimanere celato, utilizzando la figura del defunto come uno ‘schermo’ formale per continuare a operare indisturbato.

La Cassazione ha inoltre respinto la tesi difensiva secondo cui le email potessero essere state inviate da un terzo, definendola un’ipotesi puramente congetturale e priva di riscontri, non idonea a configurare un ‘ragionevole dubbio’.

Il dolo specifico nella bancarotta documentale

Per quanto riguarda il reato di bancarotta documentale, il ricorrente sosteneva la mancanza del dolo specifico, ovvero la volontà di arrecare pregiudizio ai creditori. Secondo la difesa, l’intento non era stato provato, ma solo presunto dalla condotta di occultamento.

La Corte ha rigettato anche questa doglianza. Il dolo specifico è stato correttamente desunto da una serie di elementi:

1. La strategia di evasione fiscale: La sottrazione dei documenti contabili non è stata un atto isolato, ma si inseriva in una stabile e sistematica direzione illecita della società, finalizzata a evadere il fisco (creditore principale con un credito di 38 milioni di euro).
2. L’intento di ostacolare i creditori: La volontà era quella di impedire la ricostruzione degli affari per non lasciare prove dell’evasione e per ostacolare la curatela fallimentare nel suo compito di recupero dell’attivo.
3. Il fine di profitto: Il dolo specifico include anche la volontà di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto. In questo caso, il profitto consisteva nel preservare i proventi derivanti dalle operazioni illecite (come gli acquisti intracomunitari non documentati) e nell’impedire l’accertamento di ulteriori responsabilità.

Le conclusioni

La sentenza n. 10853/2024 è di notevole importanza pratica. Essa conferma che la responsabilità penale per i reati societari non si ferma alle cariche formali. Chiunque si inserisca in modo organico e continuativo nella gestione di un’impresa, compiendo atti di direzione e amministrazione, ne risponde come se ne fosse l’amministratore legale. La prova di tale ruolo può essere fornita attraverso un complesso di ‘elementi sintomatici’, senza che sia necessaria la prova del compimento di ogni singolo atto gestorio. Inoltre, la Corte ribadisce che il dolo nei reati di bancarotta documentale può essere provato logicamente, collegando la distruzione dei documenti a una più ampia strategia fraudolenta, come l’evasione fiscale sistematica, finalizzata a danneggiare i creditori e a garantirsi l’impunità.

Come si diventa amministratore di fatto di una società?
Secondo la sentenza, si è considerati amministratori di fatto quando si esercita in modo continuativo e significativo un’apprezzabile attività gestoria, anche senza una nomina formale. La prova si basa su elementi sintomatici come il ruolo pregresso, la continuità operativa, la gestione di rapporti con terzi e comportamenti strategici che indicano un controllo effettivo sulla società.

Per la bancarotta documentale è sufficiente nascondere i libri contabili?
No, non è sufficiente la sola condotta materiale. È necessario il ‘dolo specifico’, ovvero l’intenzione di arrecare pregiudizio ai creditori o di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto. La sentenza chiarisce che tale dolo può essere dimostrato quando la sottrazione dei documenti si inserisce in una più ampia e sistematica strategia illecita, come l’evasione fiscale, finalizzata a impedire la ricostruzione del patrimonio.

Un’ipotesi alternativa può far assolvere l’imputato?
Un’ipotesi alternativa può portare all’assoluzione solo se è ‘ragionevole’. La sentenza precisa che il dubbio che porta a una sentenza di non colpevolezza deve essere ragionevole, non meramente congetturale. Un’ipotesi astratta, priva di qualsiasi riscontro processuale e che si pone al di fuori della normale razionalità, non è sufficiente a scalfire la solidità del quadro probatorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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