Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17322 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17322 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASTELLANA SICULA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/07/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Procuratore Generale, COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata deliberata il 3 luglio 2023 dalla Corte di appello di Milano che, giudicando in sede di rinvio dopo annullamento di questa Corte, ha riformato quanto alla durata delle pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma, legge fall. la decisione del Tribunale di Como del 4 dicembre 2018, di condanna a carico di NOME COGNOME per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva, commesso in relazione al fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarato dal Tribunale di Como il 27 giugno 2016.
1.1. La bancarotta viene addebitata all’imputato quale amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE – in concorso con il cognato NOME COGNOME, amministratore di diritto della società, già giudicato in via definitiva – e consiste nell’avere posto in essere condotte distrattive, cedendo il ramo d’azienda relativo all’esercizio dell’attività di autotrasporto merci per conto terzi al prezzo, reputato vile, di 8000 euro e cedendo altresì beni strumentali della medesima RAGIONE_SOCIALE per un corrispettivo quasi del tutto non pagato, alla RAGIONE_SOCIALE, società avente quale socio unico e amministratore unico NOME COGNOME (moglie di NOME COGNOME e sorella di NOME COGNOME, moglie di COGNOME). In sostanza, secondo i Giudici di merito, si era trattato di un’attività di sistematico svuotamento, a favore della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE, mentre tutti i debiti erano rimasti in capo a quest’ultima.
1.2. In primo grado erano stati condannati per la bancarotta fraudolenta distrattiva sia COGNOME che l’amministratore di diritto della società, NOME COGNOME, con esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 7 dl. 13 maggio 1991, n. 152, conv. con mod. nella I. 12 luglio 1991, n. 203 – oggi 416bis.1 cod. pen. – perché la condotta sub iudice era stata ritenuta funzionale non già ad agevolare il clan COGNOME, ma a sovvenzionare economicamente COGNOME stesso, benché il primo Giudice avesse comunque ritenuto la RAGIONE_SOCIALE una società strumentale all’infiltrazione della cosca COGNOME nell’economia lombarda (cfr. pag. 24 sentenza di primo grado); entrambi erano stati assolti dall’accusa di bancarotta documentale con la formula ‘perché il fatto non sussiste’.
La Corte di appello di Milano aveva respinto l’appello degli imputati.
La Corte di cassazione, con sentenza del 18 ottobre 2022, aveva dichiarato inammissibile il ricorso di COGNOME (salvo che per quanto concerne la durata delle pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma, legge l’ali., per cui vi era stato un parziale annullamento con rinvio), mentre aveva accolto quello di COGNOME, per cui la sentenza impugnata era stata annullata cori rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. La ragione dell’annullamento risiedeva nell’erronea trattazione in camera di consiglio del procedimento di appello, in quanto era stata pretermessa un’istanza di trattazione orale presentata dalla difesa dell’imputato in tempo utile rispetto ad un’udienza che era stata poi rinviata per impedimento del difensore stesso ad altra data, data in cui era stato adottato il rito cartolare non partecipato (ritenendo tardiva un’ulteriore richiesta di trattazione orale che era stata comunque depositata dalla difesa prima dell’udienza di rinvio, ma trascurando la permanente valenza di quella iniziale).
Ricorre contro la sentenza della Corte del rinvio l’impu:ato COGNOME a mezzo degli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME, che hanno formulato tre motivi.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta mancanza di motivazione quanto all’utilizzazione di intercettazioni acquisite da altro procedimento.
A dispetto di uno specifico motivo di appello, la decisione avversata ha completamente omesso di motivare in ordine alla doglianza relativa alla violazione dell’art. 270 cod. proc. pen. Nell’atto di appello – ricorda il ricorrente – si lamenta che il Tribunale avesse ricavato la prova della funzione di amministratore di fatto addebitata a COGNOME sulla sola scorta del contenuto di captazioni svolte nel diverso procedimento sorto a carico di COGNOME per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. In particolare – prosegue il ricorso – l’appello aveva segnalato che il riferimento alla funzione svolta dall’imputato nell’ambito della società «ben poteva essere rinvenuto nella porzione dedicata alla ricostruzione dell’istruttoria e, in particolare, alla deposizione del Maresciallo della Guardia di Finanza Marino», testimone che si era riferito, a comprova della – si badi – mera «conoscenza in capo al COGNOME» della cessione del conto terzi e dei beni di COGNOME, dalla sola intercettazione del 20 giugno 2023 presso il carcere di Cosenza, relativa ad una conversazione intrattenuta con il coimputato – il cognato COGNOME – allorché COGNOME era ivi detenuto.
Nell’appello si segnalava altresì – si legge nel ricorso – che il procedimento nel cui ambito era stata disposta la captazione di cui sopra era diverso da quello attuale e recava il n. NUMERO_DOCUMENTO e n. NUMERO_DOCUMENTO; il ricorrente fa, poi, riferimento ad un’allegazione al ricorso dei provvedimenti autorizzativi delle intercettazioni ambientali e telefoniche disposte nel diverso procedimento ed utilizzate in questo.
Nell’appello si rappresentava altresì che, all’epoca dell’intercettazione di cui sopra, la RAGIONE_SOCIALE non era ancora fallita e che quindi, il reato non era stato ancora consumato e che, in ogni caso, per la bancarotta non è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza e non vi era alcuna connessione tra la vicenda nel cui ambito furono disposte le intercettazioni e quella oggi sub iudice, connessione che oggi, dopo la sentenza Cavallo delle Sezioni Unite, sarebbe l’unico criterio per ritenere l’unicità del procedimento.
Ebbene – conclude il ricorrente – di fronte a queste considerazioni, la sentenza impugnata ha del tutto taciuto.
2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione degli artt. 2639 cod. civ. e 521 cod. proc. pen. perché la Corte distrel:tuale, in primo luogo, non avrebbe motivato quanto al ruolo di amministratore di fatto attribuito a COGNOME e, in
secondo luogo, avrebbe condannato il predetto per un titolo di responsabilità non contestato.
Quanto al primo aspetto, il ricorso lamenta che la prova dello svolgimento della funzione di amministratore di fatto in capo a COGNOME sarebbe stata ricavata dalle intercettazioni di cui al primo motivo che, anche a voler superare la censura di ordine processuale, le captazioni non restituirebbero l’immagine di un gestore occulto della società come individuata dalla norma di cui all’art. 2639 cod. civ. In particolare – prosegue il ricorrente – mancherebbe la prova dell’esercizio, da parte dell’imputato, «in modo continuativo e significativo», dei poteri tipici della funzione di amministratore e dl governo dell’azienda.
La difesa, nell’atto di appello, aveva passato in rassegna le intercettazioni e ne aveva ricavato come COGNOME fosse animato dall’unica intenzione di recuperare un proprio credito per pagare gli avvocati che lo assistevano nel procedimento per cui era detenuto e come egli fosse estraneo non solo all’attività sociale, ma anche alle condotte specifiche che gli vengono ascritte. Ciò nonostante, la Corte di appello ha ritenuto che egli fosse l’ispiratore e l’istigatore della condotta predatoria, ma tale enunciato non soddisferebbe – continua il ricorrente – il dovere di indagine del Giudice penale sugli indicatori di una effettiva funzione gestoria.
Vi sarebbe stata in questo modo – e veniamo al secondo versante della doglianza – una torsione del titolo di attribuzione della responsabilità da quella di amministratore di fatto della società a quella di concorrente extraneus con l’amministratore di diritto, titolo mai contestato e, nel concreto, non sostenuto da un’adeguata motivazione in punto di coefficiente soggettivo
2.3. Il terzo motivo di ricorso denunzia vizio di motivazione quanto alla natura distrattiva delle condotte addebitate al ricorrente.
Il ricorrente ricorda quali fossero le proposizioni critiche Formulate nell’atto di appello a proposito della natura distrattiva delle condotte ascrittegli e lamenta che la Corte di merito non si sia proprio avveduta di tali doglianze, concentrandosi solo su quelle che riguardano il ruolo di amministratore di fatto del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.
Il primo motivo di ricorso – con cui la parte lamenta mancanza di motivazione quanto all’utilizzazione di intercettazioni acquisite da altro procedimento – è inammissibile per genericità.
In particolare, il ricorrente sostiene che le intercettazioni da cui era stata tratta la prova della sua responsabilità quale amministratore di fatto della fallita siano state svolte in altro procedimento, sempre a carico del COGNOME, ma per il diverso e non connesso reato di associazione mafiosa; donde, poiché per la bancarotta fraudolenta non è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, tenuto conto dei principi sanciti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza Cavallo, le captazioni non sarebbero utilizzabili ai fini della prova del reato fallimentare, ostandovi il disposto di cui all’art. 270 cod. proc. pen.
Ebbene, per chiarire le ragioni che hanno condotto il Collegio a reputare generico il ricorso, occorre ricordare che il reato di bancarotta era originariamente contestato come aggravato ex art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. con mod. nella I. 12 luglio 1991, n. 203, per avere il ricorrente agito per agevolare la cosca COGNOME. Tale aggravante era stata’ poi, esclusa dal Tribunale, che aveva reputato accertato solo che il partecipe COGNOME aveva commesso il reato per ricavarne utilità economiche per se stesso (al fine di mantenere la famiglia e di pagare gli avvocati che lo assistevano nel procedimento per cui era in quel momento detenuto) e non per il clan, pur spiegando che la RAGIONE_SOCIALE era «una delle società attraverso le quali il RAGIONE_SOCIALE intendeva realizzare in Lombardia il programma di infiltrazione nella economia locale con utilizzo del metodo di intimidazione mafiosa» (cfr. pag. 24 della sentenza di primo grado).
Di fronte all’originaria contestazione della circostanza aggravante nella forma agevolativa del clan COGNOME rispetto alla bancarotta, alla ritenuta funzionalità della società rispetto alle ambizioni imprenditoriali della cosca e alla circostanza – dedotta specificamente nel ricorso – che le intercettazioni erano state disposte nell’ambito di un diverso procedimento, a carico di COGNOME, per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., il ricorrente avrebbe dovuto chiarire le ragioni per cui non vi era connessione tra i due procedimenti nei termini di cui all’art. 12, lett. b) cod. proc. pen.
La presenza di una connessione di questo tipo, infatti, avrebbe consentito l’utilizzazione delle intercettazioni nel presente procedimento proprio in ragione della sentenza richiamata dal ricorrente (Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, Rv. 277395), secondo cui il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art 12 cod. proc. pen., a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata “ah
origine” disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen.
Né rileverebbe, per escludere la rilevanza dell’informazione omessa dal ricorrente, che vi sia stata esclusione della circostanza aggravante all’esito del dibattimento di primo grado, giacché il Collegio ritiene estensibili anche all’ipotesi di cui all’art 270 codice di rito gli insegnamenti di questa Corte secondo cui, «in tema di intercettazioni telefoniche o ambientali, il mutamento dell’addebito, anche per effetto della esclusione di una circostanza aggravante, che intervenga nel corso del fisiologico sviluppo del procedimento, non determina la inutilizzabilità dei risultati dell’attività tecnica, la quale consegue solo se presupposti per disporre le captazioni mancassero al momento di autorizzazione delle stesse. (Fattispecie in cui la Corte ha disatteso l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite mediante captatore informatico, in seguito alla ritenuta insussistenza dell’ aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., che aveva legittimato il ricorso a tale più intrusivo mezzo di ricerca della prova)» (Sez. 6, n. 48320 del 12/04/2022, Manna, Rv. 284074, conformi, tra le altre, Sez. 1, n. 12749 del 19/03/2021, COGNOME, Rv. 280981).
Ne consegue che il tema del rapporto tra i reati – quello sulla cui base erano state autorizzate le intercettazioni e quello oggi sub iudice andava specificamente chiarito dal ricorrente, dal momento che la Corte di cassazione, nello scrutinio sull’utilizzabilità delle intercettazioni, non può che fare riferimento, oltre che alle sentenze di merito, ai dati che la parte segnala, evidenzia o allega.
Ciò non è accaduto e, quindi, il ricorso è, in parte qua, generico.
E’ fondato, invece, il secondo motivo di ricorso, quando ha reputato non assolto il dovere motivazionale della Corte di appello circa il ruolo di amministratore di fatto attribuito al ricorrente, con particolare riferimento al vaglio delle intercettazioni poste a base del giudizio di penale responsabilità.
L’appello (cfr. pagg. 7 e segg.), infatti, aveva passato in rassegna una serie di intercettazioni – non solo quella del 20 giugno 2013 – che erano transitate nel presente procedimento e che riguardavano conversazioni in cui COGNOME, raggiunto in carcere da vari familiari, discuteva di temi che, in qualche modo, potevano interessare le sorti della RAGIONE_SOCIALE. Di queste captazioni l’appellante proponeva una lettura difforme da quella fatta propria dal Tribunale, che ne aveva tratto la dimostrazione che COGNOME fosse l’amministratore di fatto della società fallita. La lettura alternativa delle intercettazioni, propugnata dall’appellante, vedeva invece quest’ultimo interessato solo a recuperare un credito che vantava nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (sollecitando la vendita degli escavatori), ma sostanzialmente disinteressato ed estraneo alle sorti di
quest’ultima, alla sua gestione e alla ideazione delle restanti operazioni che si assumono distrattive.
Affrontare il tema devoluto con l’appello sarebbe stato necessario per verificare la tenuta logica dell’interpretazione delle intercettazioni svolta dal Tribunale onde stabilire se se ne potessero trarre elementi per giustificare un’affermazione di responsabilità di COGNOME — si badi COME amministratore di fatto della società, cui era pertanto ascrivibile la totalità delle operazioni distrattive.
Ebbene, la risposta della Corte di appello è laconica, dal momento che si limita a fare riferimento alle «rituali intercettazioni telefoniche» (rectius ambientali) tra COGNOME e COGNOME, senza affrontare minimamente il tema della loro esegesi e prospettando l’esistenza di un secondo corredo probatorio, rappresentato dalle dichiarazioni dell’amministratore giudiziario della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE e del Maresciallo Marino della Guardia di Finanza che, però, per come valorizzate nel seguito della sentenza, sembrano sostanziare non già il tema dell’attribuibilità soggettiva del fatto a COGNOME, ma quello della natura distrattiva delle operazioni. Peraltro anche il riferimento alla prova dichiarativa si risolve in poche e assertive battute, che non valgono a chiarire se, grazie ai contributi narrativi, si possa prescindere probatoriamente dalle intercettazioni, tanto valorizzate dal Collegio di prime cure e contrastate nell’appello.
Il deficit motivazionale è tanto più rilevante in ragione della fisiologica complessità del percorso di costruzione probatoria della figura dell’amministratore di fatto che – secondo i condivisi insegnamenti di questa Corte – se non postula la verifica dell’eserc:izio di tutti i poteri gestori connessi alla carica, si traduce comunque nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, solo ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016 dep. 2017, COGNOME, Rv. 269101; Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, Rv. 268273, COGNOME; Sez. 5, n. 35249 del 03/04/2013, COGNOME e altro, Rv. 255767).
Per tali ragioni, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio affinché la Corte di appello colmi il vuoto argdmentativo sopra segnalato.
La sentenza impugnata deve essere annullata anche con riferimento alla risposta della Corte di appello circa la natura distrattiva delle operazioni attuate sul patrimonio della RAGIONE_SOCIALE, tema che l’appellante aveva affrontato nel primo
motivo di appello ed al quale la Corte territoriale non ha dato alcuna, specifica risposta, se non con vaghi accenni ai rapporti tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE.
Tanto premesso, la Corte di appello dovrà riesaminare per intero la regiudicanda con pieni poteri di cognizione e senza la necessità di soffermarsi sui soli punti oggetto della pronunzia rescindente, rispetto ai quali, tuttavia, dovrà evitare di incorrere nuovamente nel vizio rilevato, fornendo in sentenza adeguata motivazione in ordine all’iter logico-giuridico seguitc (Sez. 5, n. 33847 del 19/04/2018, COGNOME e altri, Rv. 273628; Sez. 5, n. 3401.6 del 22/06/2010, COGNOME, Rv. 248413).
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Così deciso il 26/03/2024.