Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 12710 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 12710 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ALBIGNASEGO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/02/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe, resa in data 8.2.2023, la corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Padova, in data 3.3.202. aveva condanNOME, tra gli altri, COGNOME NOME alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai reati ascrittigli ai capi 1); 2) e 3) dell’imputazione, in qualità di amministratore di fatto della “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita dal tribunale di Padova in data 24.2.2016, assolveva l’imputato dal Reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo 1), per non aver commesso il fatto, con conseguente rideterminazione dell’entità del trattamento sanzioNOMErio in senso più favorevole all’imputato, confermando nel resto la sentenza impugnata, con riferimento ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione di cui al capo n. 2) e al reato ex artt. 110, c.p., 5, d.lgs. n. 74 del 2000, di cui al capo n. 3).
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando: 1) violazione di legge, con riferimento al disposto di cui all’art. 407, c.p.p., e vizio di motivazione, in punto di inutilizzabilità di tutti gli atti di indagine e anche della sentenza dichiarativa di fallimento, per violazione dell’art. 407, co. 3, c.p.p., tenuto conto del lungo periodo di tempo di durata delle indagini preliminari, iniziate il 31.5.2012 con l’iscrizione dell’imputato risalente al 31.5.2012 e la chiusura delle stesse intervenuta nel 2015, eccezione proposta in primo e in secondo grado dalla difesa del prevenuto, senza ricevere alcuna risposta; 2) violazione di legge, in relazione al disposto dell’art. 516, c.p.p., per mancata notifica all’imputato assente dell’ordinanza con cui il tribunale ha corretto l’imputazione, con riferimento alla qualità di amministratore di fatto addebitata al prevenuto, originariamente indicato come amministratore di diritto, non trattandosi, come ritenuto dalla corte territoriale, di un mero errore materiale, ma di una vera e propria modifica del capo d’imputazione, in presenza di due diverse posizioni giuridiche, che richiedono differenti difese da sviluppare; 3) violazione di legge violazione di legge e vizio di motivazione, anche sotto il profilo del
travisamento della prova, in quanto dalle deposizioni testimoniali non emerge che il COGNOME svolgesse il ruolo di amministratore di fatto, senza tacere che l’unico soggetto che poteva agire sui conti correnti della società fallita non era il COGNOME, ma il signor COGNOME, mentre pende allo stato un procedimento penale in cui è oggetto di accertamento la qualità dell’imputato di amministratore di fatto anche della partecipata “RAGIONE_SOCIALE“, società destinataria delle condotte distrattive; 4) violazione di legge, in ordine al disposto dell’art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000, non risultando adeguatamente dimostrato il superamento della soglia di punibilità.
Con requisitoria scritta del 7.11.2023, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, AVV_NOTAIO chiede che il ricorso venga accolto e, di conseguenza, che la sentenza impugnata sia annullata con rinvio per nuovo giudizio, in relazione al reato di cui al capo n. 2); senza rinvio in ordine al reato di cui al capo n. 3), perché estinto per prescrizione, prima della pronuncia della sentenza di appello.
Con memoria e conclusioni scritte del 23.11.2023, pervenute a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore dell’imputato, condivide le conclusioni del pubblico ministero, eccependo il compiuto decorso del termine di prescrizione del reato di cui al capo n. 3), pur contestando la valutazione operata da quest’ultimo sulla inammissibilità, per genericità del primo motivo di impugnazione.
Il ricorso è parzialmente fondato e va accolto nei seguenti termini.
4.1. Inammissibile appare il primo motivo di ricorso, posto che, come affermato da un costante e condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si eccepisce la inutilizzabilità delle informative di polizia giudiziaria, per decorrenza del termine di durata delle indagini preliminari, senza, tuttavia, individuare con precisione l’atto specifico, in esse contenuto, asseritamente inutilizzabile, non spettando alla Corte, in mancanza di specifiche deduzioni, di verificare se esistano cause di inutilizzabilità o di invalidità di atti del procedimento che, non apparendo
manifeste, implichino la ricerca di evidenze processuali o di dati fattuali che è onere della parte interessata rappresentare adeguatamente (cfr. Sez. 5, n. 19553 del 25/03/2014, Rv. 260404; Sez. 2, n. 35659 del 27/06/2018, Rv. 273602).
In tema di ricorso per cassazione, invero, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì l’incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugNOME (cfr. Sez. 6, n. 1219 del 12/11/2019, Rv. 278123).
Onere a cui il ricorrente non ha adempiuto deducendo genericamente l’inutilizzabilità di tutti gli atti di indagine (e della sentenza dichiarativa di fallimento, che, in tutta evidenza, non rappresenta un atto di indagine).
4.2. Inammissibile, sia perché manifestamente infondato, sia per difetto di interesse, deve ritenersi il secondo motivo di ricorso.
Come correttamente rilevato dal pubblico ministero nella richiamata requisitoria scritta del 7.11.2023, le cui argomentazioni sul punto si condividono integralmente, “l’indicazione della qualità di amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE nel capo 1) d’imputazione è stata ritenuta dai giudici del merito frutto di evidente errore materiale, tenuto conto che nel capo 2) il COGNOME era stato correttamente individuato come amministratore di fatto della medesima società”, per cui “l’eccezione attiene al reato di cui al capo 1) d’imputazione (la correzione d’errore materiale riguarda, infatti, il solo capo 1), con riferimento al quale è intervenuta pronuncia assolutoria in grado d’appello”, sicché nessun interesse appare configurabile in capo al ricorrente nel dedurre un’eccezione relativa a un reato per il quale il COGNOME è stato assolto.
4.3. Fondato, invece, appare il terzo motivo di ricorso.
Si osserva al riguardo che, come affermato da tempo nella giurisprudenza di legittimità, in tema di reati fallimentari, il soggetto
che, ai sensi della disciplina dettata dall’art. 2639, c.c., assume la qualifica di amministratore “di fatto” della società fallita è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (come i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale), tra i quali vanno ricomprese le condotte dell’amministratore di diritto (cfr. Sez. 5, 20/05/2011, n. 39593, rv 250844; Sez. 5, 2/3/2011, n. 15065, rv. 250094).
Senza tacere che la previsione di cui all’art. 2639 cod. civ. non esclude che l’esercizio dei poteri o delle funzioni dell’amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l’esplicazione dell’attività di altri soggetti di diritto, i quali – in tempi successivi o anche contemporaneamente – esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (cfr. Sez. 5, n. 12912 del 06/02/2020, Rv. 279040).
Consolidato appare all’interno della giurisprudenza di legittimità anche l’orientamento secondo cui la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 c.c., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, anche se “significatività” e “continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di “tutti” i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale.
La posizione dell’amministratore di fatto, destinatario delle norme incriminatrici della bancarotta fraudolenta, dunque, va determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l’attribuzione della qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di norme che sono sanzionate dalla legge penale. La disciplina sostanziale si traduce, in via processuale, nell’accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti dall’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus” che svolge
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funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell'”iter” di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti – in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare.
Peraltro l’accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione o cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di fatto che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione congrua e logica (cfr. Sez. 5, 14.4.2003, n. 22413, rv. 224948; Se. I, 12.5.2006, n. 18464, rv. 234254).
In conclusione può dunque affermarsi che in tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 I. fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (cfr. Sez. V, 13.4.2006, n. 19145, rv. 234428; Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, Rv. 268273; Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, Rv. 279497; Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, Rv. 280550).
Orbene non può non rilevarsi come, nel caso in esame, la corte territoriale non abbia fatto buon governo dei richiamati principi.
Il giudice di appello, infatti, ha ritenuto che il COGNOME abbia svolto il ruolo di amministratore di fatto della società fallita, alla luce della sua diretta partecipazione alle vicende che condussero la “RAGIONE_SOCIALE” all’acquisto dell’albergo “Corinna”, di cui al capo n. 6) dell’imputazione.
Come evidenziato dal giudice di secondo grado, l’imputato era intervenuto nella stipula del contratto preliminare di vendita in qualità di delegato del legale responsabile della società acquirente, “RAGIONE_SOCIALE“, che aveva dichiarato di acquistare per sé o per persona da nominare, con riserva di indicarla al momento del contratto definitivo, alla stipula del quale, come acquirente, era stata indicata la “RAGIONE_SOCIALE“, che aveva provveduto al pagamento in favore dei venditori COGNOME del relativo prezzo di euro 1.100.000,00 e che, in un distinto atto
di vendita stipulato contestualmente al primo, aveva, a sua volta, venduto lo stesso complesso alberghiero alla “RAGIONE_SOCIALE“, ad un prezzo pari al triplo di quello pagato dalla fallita ai fratelli COGNOME.
La “RAGIONE_SOCIALE” aveva, poi, provveduto a versare sul conto corrente della fallita la somma di 1.100.000,00 euro, una parte della quale, pari a 420.000,00 euro, era stata distratta, secondo l’ipotesi accusatoria, in favore della “RAGIONE_SOCIALE“, dal cui conto corrente il COGNOME aveva prelevato l’intera somma.
Sulla base di questa ricostruzione dei fatti la corte di appello ha ritenuto” di tutta evidenza” che il COGNOME abbia svolto il ruolo di amministratore di fatto della “RAGIONE_SOCIALE“, con un’affermazione, tuttavia, meramente assertiva, che si colloca in un contesto motivazionale del tutto carente nell’individuazione e nella valutazione di concreti elementi sintomatici, di consistenza tale, in quanto non occasionali, né episodici, da poterne fondatamente desumere la configurabilità in capo al De COGNOME di un effettivo potere di gestione o cogestione della società fallita nei sensi indicati.
Sul punto, pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte di appello di Venezia, che provvederà a colmare l’evidenziata lacuna motivazionale, uniformandosi ai principi di diritto in precedenza richiamati.
4.4. Con riferimento al quarto motivo di ricorso, si osserva in via preliminare che, ai sensi di quanto previsto dagli artt. 157, 160 e 161, c.p., il termine di prescrizione del reato di cui al capo n. 3)’ nella sua massima estensione, tenuto conto, cioè, degli atti interruttivi intervenuti e della mancanza di cause di sospensione del relativo decorso dichiarate dai giudici di merito, risulta perento alla data del 31.12.2022, circostanza non rilevata dalla corte di appello, che, pertanto, spetta a questa Corte rilevare.
Premesso che secondo un condivisibile orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, è ammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduce, anche con un unico motivo, l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza impugnata ed
erroneamente non dichiarata dal giudice di merito, integrando tale doglianza un motivo consentito ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. b), c.p.p. (cfr., ex plurimis, Sez. U., 17.12.2015, n. 12602, rv. 266819), nel caso in esame, come si è detto, il giudice di secondo grado, in violazione del disposto dell’art. 129 c.p.p., ha omesso di rilevare e dichiarare l’estinzione del reato di cui al capo n. 3), per prescrizione verificatasi prima del giudizio di appello.
Ciò impone al Collegio, a fronte della eccezione comunque sollevata dalla difesa con la richiamata memoria, di rilevare la compiuta prescrizione, posto che, da un lato, il principio della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, sancito dall’art. 129, co. 2, c.p.p., opera anche con riferimento alle cause estintive del reato, quale è la prescrizione, rilevabili nel giudizio di cassazione (cfr., ex plurimis, Sez. 3, 01/12/2010, n. 1550, rv. 249428; Sez. U. 27/02/2002, n. 17179); dall’altro, non trova applicazione nel caso in esame, trattandosi di motivo di ricorso non manifestamente infondato, il principio secondo cui, l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609 comma secondo, c.p.p., l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso (cfr. Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, Rv. 266818)
In presenza di una causa di estinzione del reato, peraltro, la formula di proscioglimento nel merito (art. 129, comma 2, c.p.p.) può essere adottata solo quando dagli atti risulti “evidente” la prova dell’innocenza dell’imputato, sicché la valutazione che in proposito deve essere compiuta appartiene più al concetto di “constatazione” che di “apprezzamento” (cfr, ex plurimis, Sez. II, 11/03/2009, n. 24495,), evenienza non sussistente nel caso in esame.
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio con riferimento al reato in materia tributaria di cui al capo n. 3) dell’imputazione, perché estinto per prescrizione, con eliminazione della relativa pena, pari a tre mesi di reclusione.
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Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al reato di cui al capo 3) perché estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi tre di reclusione. Annulla la stessa sentenza relativamente al reato di cui al capo 2) con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della corte di appello di Venezia.
Così deciso in Roma il 6.12.2023.