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Amministratore di fatto: la responsabilità per bancarotta

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi di due imputati per reati di bancarotta. La sentenza conferma che la qualifica di amministratore di fatto si basa su indici concreti di gestione, come impartire direttive e gestire la contabilità, rendendo il soggetto responsabile penalmente. Viene inoltre ribadito che i reati di bancarotta sono configurabili anche se la società è ammessa al concordato preventivo e non formalmente fallita.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di Fatto: Quando la Gestione Occulta Conduce alla Responsabilità per Bancarotta

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 35226/2024, offre un’analisi cruciale sulla figura dell’amministratore di fatto e sulle sue responsabilità penali in materia di bancarotta. La Suprema Corte ha chiarito che l’esercizio di poteri gestori, anche senza una carica formale, è sufficiente per essere chiamati a rispondere dei reati fallimentari. Questa pronuncia ribadisce principi fondamentali, sottolineando come la sostanza prevalga sulla forma nella gestione societaria.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dai ricorsi presentati da due soggetti contro una sentenza della Corte d’Appello che li aveva condannati per reati fallimentari, tra cui bancarotta patrimoniale e documentale, e per reati fiscali.

Il primo ricorrente era stato condannato come co-amministratore di fatto di una società fallita. Egli contestava tale qualifica, sostenendo di aver svolto solo attività episodiche e non una gestione continuativa. Inoltre, negava la sussistenza del dolo specifico richiesto per il reato di bancarotta documentale.

Il secondo ricorrente, amministratore di un’altra società coinvolta, contestava la condanna per reati fiscali per carenza di prove e, soprattutto, l’applicabilità delle norme sulla bancarotta, dato che la sua società era stata ammessa a una procedura di concordato preventivo con continuità aziendale, senza mai essere dichiarata fallita.

La Decisione della Corte di Cassazione sull’Amministratore di Fatto

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, confermando le condanne. La decisione si basa su argomentazioni solide che meritano un’attenta analisi.

Per quanto riguarda il primo ricorrente, la Corte ha stabilito che la qualifica di amministratore di fatto non richiede lo svolgimento di tutti i poteri tipici dell’organo di gestione, essendo sufficiente un’attività gestoria significativa e continua. La Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero correttamente individuato una pluralità di “elementi sintomatici” che provavano il suo ruolo attivo e non episodico.

Per il secondo ricorrente, la Cassazione ha ribadito un principio consolidato: i reati di bancarotta societaria si applicano anche alle società ammesse al concordato preventivo, poiché la norma (art. 236 Legge Fallimentare) mira a proteggere la garanzia patrimoniale dei creditori da qualsiasi condotta pregiudizievole, indipendentemente dalla successiva dichiarazione di fallimento.

La Prova del Ruolo dell’Amministratore di Fatto

La Corte ha valorizzato la ricostruzione operata dai giudici di merito, che si basava su una serie di prove concrete per definire il ruolo gestorio del primo ricorrente. Tra queste:

* La presenza assidua presso lo studio del commercialista della società.
* La revisione e la modifica dei bilanci.
* La partecipazione costante alle riunioni del collegio sindacale e alle assemblee dei soci.
* L’assunzione di personale e l’emanazione di direttive di lavoro.
* Il coinvolgimento diretto in operazioni distrattive, come prelievi dal conto corrente societario.

Questi elementi, nel loro insieme, disegnano un quadro di inserimento organico e di co-gestione della società, che va ben oltre un’attività occasionale o di mera consulenza. La Cassazione ha sottolineato che la presenza di un amministratore di diritto formalmente in carica non esclude il coinvolgimento e la responsabilità di chi, di fatto, esercita i poteri gestori.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su consolidati principi giurisprudenziali. I giudici hanno chiarito che il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. Il compito della Corte è verificare la logicità e la coerenza della motivazione della sentenza impugnata, non effettuare una nuova valutazione delle prove.

Sul tema dell’amministratore di fatto, la Corte ha ribadito che la prova della sua posizione si desume da elementi sintomatici che ne attestano l’inserimento organico nella gestione societaria. La valutazione di tali elementi è un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato, come nel caso di specie.

In merito alla bancarotta in caso di concordato preventivo, la Corte ha spiegato che il reato di bancarotta è un reato di pericolo concreto. Ciò significa che la legge punisce ogni condotta idonea a pregiudicare le ragioni dei creditori, a prescindere dal fatto che la società sia poi effettivamente dichiarata fallita. L’ammissione al concordato preventivo, anche quello con continuità aziendale, non esclude la punibilità delle condotte distrattive o fraudolente poste in essere prima o durante la procedura. Tale interpretazione, secondo la Corte, non è un’estensione analogica vietata, ma la corretta applicazione della volontà del legislatore di tutelare i creditori in ogni fase della crisi d’impresa.

Infine, per la bancarotta documentale, la Corte ha ritenuto provato il dolo specifico (la volontà di recare pregiudizio ai creditori) dalla complessiva gestione fraudolenta e dalla finalità dell’omessa tenuta della contabilità, volta a occultare le operazioni illecite e a impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.

Conclusioni

La sentenza in esame è un importante monito per chi opera nel mondo societario. Essa conferma che le responsabilità penali non dipendono dalle qualifiche formali, ma dalle funzioni concretamente esercitate. Chiunque si ingerisca nella gestione di una società, impartendo direttive, prendendo decisioni strategiche e operando come se fosse un amministratore, può essere considerato un amministratore di fatto e chiamato a rispondere penalmente per i reati commessi, inclusa la bancarotta. Inoltre, la decisione chiarisce che le procedure concorsuali “minori”, come il concordato preventivo, non costituiscono uno scudo contro le responsabilità per atti di mala gestio che hanno messo a repentaglio gli interessi dei creditori.

Chi è considerato amministratore di fatto e come si prova il suo ruolo?
È considerato amministratore di fatto chi, pur senza una carica formale, esercita in modo significativo e continuativo i poteri di gestione di una società. Il suo ruolo si prova attraverso ‘elementi sintomatici’ come la partecipazione alle decisioni, l’emanazione di direttive ai dipendenti, la gestione dei rapporti con banche e fornitori e il coinvolgimento nelle operazioni contabili e finanziarie.

Si può essere condannati per bancarotta se la società non è fallita ma è in concordato preventivo?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che i reati di bancarotta si applicano anche quando una società è ammessa al concordato preventivo, perché la legge punisce le condotte che mettono in pericolo la garanzia patrimoniale dei creditori, indipendentemente dall’esito finale della procedura (fallimento o meno).

L’omessa tenuta dei libri contabili integra sempre il reato di bancarotta fraudolenta documentale?
Integra il reato di bancarotta fraudolenta documentale, e non quello meno grave di bancarotta semplice, quando lo scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali. Tale scopo (dolo specifico) può essere desunto dal contesto generale della vicenda e dalla natura fraudolenta delle operazioni che si intendevano occultare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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