Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28618 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28618 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a NAPOLI il 23/12/1963
avverso la sentenza del 31/10/2024 della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, con la sentenza emessa il 31 ottobre 2024, confermava quella del Tribunale partenopeo, che aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME in ordine ai delitti di bancarotta societaria fraudolenta patrimoniale e documentale.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla attribuzione al COGNOME della qualità di amministratore di fatto della fallita RAGIONE_SOCIALE
Il motivo censura la sentenza impugnata rappresentando che le fonti di prova che individuano le funzioni di fatto dell’imputato – i dipendenti NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché NOME COGNOME – sarebbero state oggetto di travisamento, in quanto l’amministratore di fatto e di diritto era COGNOME e COGNOME avrebbe
svolto, in rappresentanza di costui, il ruolo di ‘gestore del quotidiano’ in ordine ai due punti vendita della fallita in Pomigliano d’Arco.
Il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla bancarotta patrimoniale distrattiva, da riqualificarsi in bancarotta di tipo preferenziale.
Lamenta il ricorrente che la sentenza ha tratto la prova della sottrazione dei beni dal bilancio, della cui affidabilità non vi era certezza, come lo stesso curatore avrebbe riferito.
In sostanza si dubita che l’oggetto della distrazione, consistente nella massa attiva risultante dal bilancio, sia stata effettivamente esistente nel patrimonio societario.
Anche i riferimenti contenuti nella sentenza impugnata alla cessione di azienda, non si confronterebbero con la circostanza che la stessa non è in sé un atto distrattivo, ma lo è allorquando non vi è il pagamento del corrispettivo congruo, cosicché anche tale condotta non deve essere attribuita all’imputato, pur se lo stesso rivestiva il ruolo di amministratore della società cessionaria che riceveva il ramo di azienda della fallita.
Al più, osserva il ricorrente, il pagamento della creditrice conseguente alla cessione del ramo di azienda integrerebbe una bancarotta preferenziale.
Il ricorso è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è complessivamente infondato.
Il primo motivo di ricorso deduce travisamento delle dichiarazioni dei testimoni e omessa valutazione delle dichiarazioni dello stesso imputato.
Il motivo è in primo luogo reiterativo dei motivi di appello e, quanto alla dichiarazione di COGNOME, a ben vedere, non si confronta con la sentenza di primo grado che cita un punto specifico della deposizione del teste che nella prospettiva difensiva dovrebbe escludere, ricoprendo egli stesso un ruolo nella organizzazione commerciale, la qualità di amministratore di fatto dell’imputato.
COGNOME, come si legge al fol. 8 della sentenza di primo grado, condivisa anche da quella di secondo grado (fol. 5), indicava COGNOME e COGNOME come suoi referenti qualificandoli come ‘proprietari dell’azienda’.
L’esame del verbale delle dichiarazioni dibattimentali di COGNOME – allegato dalla difesa correttamente al ricorso, al fine di garantire la specificità della doglianza – consente a questa Corte di rilevare che il teste dichiarava: «diciamo che più che gestori o altro erano i miei referenti come proprietari dell’azienda o chi li rappresentava per conto della società ed erano i signori COGNOME e COGNOME qualche volta. Ma erano più confronti che disposizioni perché il mio ruolo direttivo
Pertanto, NOME si muoveva come proprietario, il che coincide, per la Corte di appello, con quanto dichiarato dai dipendenti COGNOME e COGNOME, che riferivano di essersi interfacciati con NOME e di essere stati assunti dallo stesso COGNOME.
Il che comprova l’amministrazione di fatto da parte di COGNOME
Dalla sentenza di merito emerge anche che la RAGIONE_SOCIALE aveva avuto fin dall’origine quale amministratrice proprio la moglie di COGNOME il quale poi riacquistava il ramo di azienda tramite la RAGIONE_SOCIALE In sostanza anche la cronologia che vede la congiunta amministratrice della società e la cessione di azienda in favore della società di COGNOME sostiene logicamente la ricostruzione operata dalla Corte di appello, quanto alla continuità del controllo gestionale dell’imputato sulla società fallita.
La ricostruzione operata risulta, quindi, non manifestamente illogica né, tantomeno, vinta dalle censure in ordine al travisamento delle dichiarazioni dei dipendenti – che in vero si sostanziano in doglianze, non consentite, di rivalutazione del materiale dichiarativo – né dall’omessa valutazione delle dichiarazioni dell’imputato, che sono state invece oggetto di disamina accurata da parte del Tribunale (cfr. sentenza di primo grado fol. 8 e s.), che ha rilevato l’assenza di elementi di riscontro a quanto riferito da COGNOME smentito anche dalle risultanze del casellario giudiziale. Tali conclusioni del primo Collegio non sono state ‘attaccate’ in modo specifico e convincente con i motivi di appello.
Quanto alla violazione di legge dedotta, il vizio non sussiste.
A fronte della ricostruzione in fatto operata dalla Corte di appello, questo Collegio rileva come la sentenza impugnata abbia fatto buon governo dei principi costanti in giurisprudenza per cui ai fini dell’attribuzione della qualifica di amministratore “di fatto” è necessaria la presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo,
contrattuale o disciplinare ed il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (fra le altre, Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019 – dep. 06/11/2019, COGNOME, Rv. 27754001).
Anche la circostanza che NOME si sia mosso quale proprietario ‘qualche volta’, come riferisce solo COGNOME, non risulta ostativa al riconoscimento della qualità di fatto poiché, quanto al profilo della esclusività delle funzioni, in tema di reati fallimentari, la previsione di cui all’art. 2639 cod. civ. non esclude che l’esercizio dei poteri o delle funzioni dell’amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l’esplicazione dell’attività di altri soggetti di diritto, i quali – i tempi successivi o anche contemporaneamente – esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (Sez. 5, n. 12912 del 06/02/2020, COGNOME, Rv. 279040 – 01). Il che è accaduto fra COGNOME e il cugino COGNOME, per quel che riportano le sentenze di merito, svolgendo l’attuale imputato un ruolo direttivo e gestionale in ambiti diversi, in particolare per le sedi aziendali in Pomigliano. Ne consegue l’infondatezza del primo motivo.
Quanto al secondo motivo lo stesso è per un verso inedito, per altro comunque aspecifico.
3.1 Il motivo è inedito nella parte in cui lamenta l’inaffidabilità del bilancio. A ben vedere si tratta di doglianza non formulata con l’atto di appello rispetto alla quale la Corte territoriale non ha fornito risposta, perché alcun dubbio sulla attendibilità del bilancio era stato posto in modo specifico. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «deve ritenersi sistematicamente non consentita (non soltanto per le violazioni di legge, per le quali cfr. espressamente art. 606, comma 3, c.p.p.) la proponibilità per la prima volta in sede di legittimità, con riferimento ad un capo e ad un punto della decisione già oggetto di appello, di uno dei possibili vizi della motivazione con riferimento ad elementi fattuali richiamabili, ma non richiamati, nell’atto di appello: solo in tal modo è, infatti, possibile porre rimedio al rischio concreto che il giudice di legittimità possa disporre un annullamento del provvedimento impugnato in relazione ad un punto della decisione in ipotesi inficiato dalla mancata/contraddittoria/manifestamente illogica considerazione di elementi idonei a fondare il dedotto vizio di motivazione, ma intenzionalmente sottratti alla cognizione del giudice di appello. Ricorrendo tale situazione, invero, da un lato il giudice della legittimità sarebbe indebitamente chiamato ad operare valutazioni di natura fattuale funzionalmente devolute alla competenza del giudice d’appello, dall’altro, sarebbe facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della sentenza d’appello con riguardo al punto della decisione oggetto di appello, in riferimento ad elementi fattuali che
in quella sede non avevano costituito oggetto della richiesta di verifica giurisdizionale rivolta alla Corte di appello, ma siano stati richiamati solo ex post a fondamento del ricorso per cassazione» (così Sez. 2, n. 32780 del 13/07/2021 , COGNOME, Rv. 281813; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062, in motivazione; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, COGNOME, Rv. 279903; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869; Sez. 2 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, COGNOME, Rv. 269368).
3.2 Inoltre, la distrazione risulta comprovata, senza incorrere in manifeste illogicità, secondo le sentenze di merito: tutti i beni aziendali erano stati distratti, non essendo stato rinvenuto alcunché dalla curatela fallimentare.
Il valore di tali beni risultava individuato nella misura di euro 1.139.017,00, pari all’attivo appostato in bilancio al dicembre 2012 – il fallimento fu dichiarato nel 2015. Il dato fu tratto dal bilancio rinvenuto presso la Camera di commercio, per la sottrazione delle scritture contabili, condotta integrante il delitto di bancarotta documentale, non censurata dal presente ricorso e dunque oggetto di giudicato interno.
L’importo indicato in bilancio come attivo corrispondeva a rimanenze pari a 475mi1a euro, disponibilità liquide pari a 34mila euro, crediti per poco meno di 630mila euro, nonché un passivo pari a oltre un 1.181mila euro, comprensivo dei 400mila euro dovuti alla RAGIONE_SOCIALE (fol. 4 della sentenza di primo grado).
Inoltre, le sentenze di merito evidenziano anche come la RAGIONE_SOCIALE vantasse effettivamente – il che corrisponde alle risultanze di bilancio attestandone l’attendibilità – credito per merci impagate nel corso di due anni, cosicché le stesse merci o gli importi ricavati dalla vendita delle stesse erano stati sottratti.
La doglianza in esame richiama la dichiarazione del curatore, riportata al fol. 8 del ricorso, che indica come possibile la non veridicità dei dati di bilancio. Ma, in disparte la natura inedita della doglianza, a fronte di una dichiarazione generica del curatore, solo potenziale, l’attuale censura comunque non indica la ragione di concreta inattendibilità del bilancio, il che la rende generica, e per altro non si confronta con l’argomento relativo, comunque, ,al mancato rinvenimento delle merci e dei beni o dell’equivalente in denaro, il che la rende aspecifica.
D’altro canto, quanto al bilancio, la Corte di appello fa buon governo del valore probatorio dello stesso, in quanto, come osserva la Procura generale nella requisitoria depositata, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione la prova della precedente disponibilità da parte dell’imputato dei beni non rinvenuti in seno all’impresa può essere desunta anche dal bilancio, ove risulti intrinsecamente
attendibile perché redatto in conformità alle prescrizioni imposte dalla legge (Sez. 5, n. 20879 del 23/04/2021, Rv. 281181 – 01).
3.3 Alla luce di tali dati concordanti emerge come per la prova della esisterne di beni nel patrimonio sociale trovi applicazione il principio per cui la prova della distrazione può essere desunta anche dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore della destinazione dei beni. Nel caso in esame da parte del COGNOME alcuna spiegazione in ordine alla destinazione aziendale dei beni risulta offerta, né richiamata neanche dal ricorso. E in tal senso assolutamente consolidato è l’orientamento che trae la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 8260/16 del 22 settembre 2015, COGNOME, Rv. 267710; Sez. 5, n. 19896 del 7 marzo 2014, COGNOME, Rv. 259848; Sez. 5, n. 11095 del 13 febbraio 2014, COGNOME, Rv. 262740; Sez. 5, n. 22894 del 17 aprile 2013, COGNOME, RV. 255385; Sez. 5, n. 7048/09 del 27 novembre 2008, COGNOME, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400/05 del 15 dicembre 2004, Sabino, Rv. 231411).
Solo nel caso in cui vi sia una indicazione specifica della destinazione aziendale dei beni da parte del fallito, il giudice non può ignorarne l’affermazione, quando però le informazioni fornite alla curatela, al fine di consentire il rinvenimento dei beni potenzialmente distratti, siano specifiche e consentano il recupero degli stessi ovvero l’individuazione della effettiva destinazione (Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Costantino, Rv. 279204 – 01; mass. conf. n. 19896 del 2014 Rv. 259848 – 01). Ma nel caso in esame non risulta alcuna informazione specifica fornite alla curatela da parte di COGNOME in ordine alla destinazione dei beni indicati nell’attivo del bilancio.
3.4 In tale prospettiva la cessione del ramo di azienda – che non è contestata come condotta distrattiva in sé (cfr. fol. 7 e s. della sentenza di primo grado, ove viene valutata la cessione di azienda come elemento ulteriore e comunque non decisivo per la sussistenza del reato) – viene richiamata dalle sentenze di merito quale indice di fraudolenza e prova della cointeressenza di COGNOME alle società fallita e cessionaria.
Non di meno, la doglianza risulta comunque infondata, in quanto anche nella prospettiva della condotta distrattiva, occorrerebbe avere per un verso la certezza che i beni e le risorse cedute siano state tutte quelle oggetto della contestazione di bancarotta fraudolenta, ma da alcuna sentenza o allegazione al ricorso emerge tale identità.
Inoltre, va ricordato che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), in cui si concreta l’elemento
oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela.
In tal senso, pertanto, anche a voler ritenere congruo il prezzo della cessione, come ritiene il ricorrente, se la stessa avviene al preciso scopo di trasferire la disponibilità dei beni societari ad altro soggetto giuridico in previsione del fallimento, viene ad essere integrato il delitto distrattivo (a proposito dell’affitto di azienda, Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, COGNOME, Rv. 280106 – 01; Sez. 5, n. 16748 del 13/02/2018, COGNOME, Rv. 272841 – 01; Sez. 5, n. 46508 del 27 novembre 2008, Scire’ e altri, Rv. 242614; Sez. 5, n. 3302 del 28 gennaio 1998, COGNOME, Rv. 209947; Sez. 5, n. 11207 del 29 ottobre 1993, COGNOME ed altri, Rv. 196456). Per altro, integra il reato di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale qualsiasi forma di cessione di un ramo d’azienda che renda non più possibile l’utile perseguimento dell’oggetto sociale senza garantire contestualmente il ripiano della situazione debitoria della società (Sez. 5, n. 10778 del 10 gennaio 2012, COGNOME, Rv. 252008). Nel caso in esame il ripiano della situazione debitoria non poteva avvenire, in quanto la cessione avrebbe garantito il solo soddisfacimento del credito della Sigma in parte (150mila euro in luogo di 475mi1a) e comunque non anche i crediti erariali ammontanti ad oltre 500mila euro, conseguenti a tributi non pagati dal 2010 (cfr. fol. 5 della sentenza di primo grado). In tal senso, corrette sono le sentenze di merito che evidenziano come la cessione integri la distrazione poiché effettuata in un momento di avanzata decozione della società, già evidente a seguito dell’ottenimento del decreto ingiuntivo da parte della RAGIONE_SOCIALE per oltre 528mi1a euro: la Corte di appello correttamente afferma l’effetto di ‘svuotamento’ della fallenda, il che coincide con il principio per cui la cessione non rende più possibile l’utile perseguimento dell’oggetto sociale. In motivazione, per altro, Sez. 5, n. 10778 del 10/01/2012 dep. 19/03/2012, COGNOME, Rv. 252008, chiarisce che «in tema di bancarotta fraudolenta, la cessione di beni patrimoniali è attività legittima quando sia destinata alla realizzazione delle finalità dell’impresa. Valutazione che deve essere accertata in concreto, tenendo presente che il criterio discretivo sulla legittimità della manovra va riferito all’interesse dell’impresa all’esitazione della porzione di ricchezza in vista, comunque, dell’integrità del suo patrimonio (garanzia dei creditori, ex art.2740 cod. civ.) nel suo complesso. Pertanto, non sussiste alcun illecito se con la cessione viene realizzata una finalità aziendale (per es. raccolta di liquidità in ragione di pendenze debitorie) e viene conservato, con l’acquisizione della controprestazione offerta dal cessionario, l’ammontare quantitativo del patrimonio sociale. Diversamente è a dirsi se, con la perdita della disponibilità del Corte di Cassazione – copia non ufficiale
cespite, si priva l’organismo non soltanto di una porzione di ricchezza, ma anche della capacità di perseguire utilmente l’oggetto sociale». In sostanza in tal caso la
cessione integra una scelta illegittima e non solo inopportuna, in quanto la manovra si traduce in opzione gestoria che danneggia i creditori, in quanto la
cessione determina la cessazione dell’attività aziendale in palese conflitto di interessi e senza che sia garantito il ceto creditorio.
In sostanza, e in conclusione, l’operazione di cessione in sé integra distrazione
– in disparte
. il tema della congruità del prezzo – nel momento in cui non consente
alla società in decozione di poter utilizzare le proprie risorse aziendali per proseguire nell’attività e contestualmente di soddisfare tutto il ceto creditorio.
Anche a voler seguire la ricostruzione contenuta nell’atto di appello, in ordine alla circostanza che la cessionaria pagava il prezzo della cessione del ramo
d’azienda alla società cedente, che a sua volta pagava la creditrice RAGIONE_SOCIALE, la condotta di ‘pagamento’ preferenziale non escluderebbe né assorbirebbe quella
distrattiva della cessione del ramo di azienda, se non altro nei confronti degli altri creditori, per le ragioni esposte, cosicché si sarebbe dovuto configurare altra
ipotesi di reato, mai contestata, di bancarotta preferenziale, aggiuntiva però
rispetto a quella fraudolenta patrimoniale.
Ne consegue l’infondatezza del motivo.
Pertanto il ricorso va rigettato, con condanna alle spese processuali del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13/06/2025