Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 36339 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 36339 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato ad Isola del Liri Africo il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/09/2023 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME
COGNOME, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia resa dal Tribunale di Cassino, la quale aveva condannato NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia in relazione al delitto di cui agli artt. cod. pen., 5 d.lgs. n. 74 del 2000, perché, quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, società esercente l’RAGIONE_SOCIALE, in concorso con all’amministratore di diritto, NOME COGNOME, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, non presentava, essendovi obbligato, le dichiarazioni relative a dette imposte con riferimento all’annualità 2012. Il Tribunale mandava assolto NOME COGNOME dal reato a lui ascritto perché il fatto non costituisce reato, statuizione divenuta irrevocabile.
Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
2.1. Con un primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000. Rappresenta il difensore che la società era stata ceduta, in data 6 dicembre 2012, ad NOME COGNOME, soggetto su cui gravava l’obbligo di presentazione delle dichiarazioni fiscali. Ad avviso del difensore, dagli atti emergerebbe la prova dell’innocenza dell’imputato in quanto: 1) la verifica della G.d.F. ha avuto inizio dopo quattro anni la cessione dell’azienda, quando la società era ormai decotta; 2) NOME COGNOME è un soggetto conosciuto nel mondo imprenditoriale, avendo gestito numerose società per oltre trent’anni; 3) la professionalità sempre dimostrata dall’imputato porta ad escludere che egli abbia deciso di omettere le dichiarazioni fiscali, relative peraltro a una società di cui non aveva più la legale rappresentanza; 4) non corrisponde al vero che l’unico soggetto autorizzato ad operare sui conti della società fosse il COGNOME, il quale non ha più compiuto alcuna operazione dopo il 5 dicembre 2012 e, all’atto della cessione della società, i conti erano regolari e i rapporti bancari erano in attivo, così come, fino a quel momento, erano state presentate tutte le dichiarazioni fiscali.
2.2. Con un secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d) ed e), cod. proc. pen. per la mancata assunzione di una prova decisiva. Ad avviso del difensore, i giudici di merito avrebbero illogicamente ritenuto ininfluente il fatto, incontestato e documentato, del trasferimento delle merci, del valore di circa un milione e mezzo di euro, da Isola di Liri a Roma e delle rimanenze di magazzino nella nuova sede della società, circostanze che dimostrano come l’amministratore effettivo della società fosse il COGNOME.
2.3. Con un terzo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d) ed e), cod. proc. pen. per la mancata assunzione di una prova decisiva, ossia la rinnovazione dell’esame del m.11o AVV_NOTAIO con riferimento ai documenti che l’imputato aveva depositato presso la G.d.F.
2.4. Con un quarto motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 150 ss. cod. proc. pen., perché tpogni caso, ad avviso del difensore, tenendo conto dei 199 giorni di sospensione, che si aggiungono al termine massimo di otto anni, il reato si sarebbe prescritto il 20 aprile 2022.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
I primi tre motivi, esaminabili congiuntamente essendo collegati, sono inammissibili perché di contenuto fattuale, generici e, comunque, perché manifestamente infondati.
Si rammenta che, per espresso dettato normativo ex art. 606, comma 1, lett., e), cod. proc. pen., il vizio della motivazione denunciabile con il ricorso p cassazione è soltanto quello che risulta dal testo del provvedimento impugnato; il che significa, come affermato dalla Corte costituzionale (sen. n. 313 del 1990, par. 4.2), che “la Corte di cassazione non può rilevare il vizio se non è intrinseco al provvedimento, essendo esclusa una diversa valutazione dei fatti così come risultano dagli atti ma non dal provvedimento”.
Il controllo di legittimità sulla motivazione non riguarda perciò né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, COGNOME e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, COGNOME, Rv, 251760). Nel giudizio di cassazione, pertanto, non si può procedere a una rinnovata valutazione dei fatti, ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Del pari, il ricorrente non può limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto, ma deve indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che
appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta. Alla Corte di cassazione, infatti, è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260).
Nel caso di specie, il ricorrente non indica profili di illogicità dell motivazione, ma si limita a contestare la valutazione delle prove concordemente operata dai giudici di merito, né si confronta con le argomentazioni addotte a fondamento della penale responsabilità.
In particolare, i giudici di merito hanno accertato che l’imputato, anche dopo la cessione al COGNOME della società, avvenuta il 6 dicembre 2012, abbia continuato a gestirla sulla base di due specifiche circostanze, vale a dire: 1) dopo la cessazione dalla carica di amministratore, l’imputato – e, si badi, solo lui e non anche il nuovo amministratore – ha continuato a movimentare ingenti somme di denaro sui conti correnti della società; 2) il COGNOME, soggetto irreperibile, dal 2011 al 2013 è divenuto amministratore e socio di ben venti imprese, tutte accomunate dal fatto di essere divenute, a partire dalla carica assunta dal COGNOME medesimo, evasori totali, non avendo mai presentato, dette società, le dichiarazioni fiscali.
A fronte di questa ricostruzione, che certamente non può dirsi manifestamente illogica, il ricorrente si limita ad opporre, con il primo motivo, una diversa ricostruzione dei fatti, a cui, peraltro, la Corte di merito, con riferimento alle circostanze dedotte con il secondo motivo, ha fornito una risposta congrua, rilevando come il trasferimento delle rimanenze di magazzino nella nuova sede non solo incide unicamente sulla consistenza del magazzino stesso, ma non è nemmeno pertinente rispetto all’imputazione, che non è di avere il COGNOME truffato il COGNOME all’atto del trasferimento della società, ma di non avere presentato la dichiarazione fiscale, pur continuando ad assumere, di fatto, la carica di amministratore.
Si osserva, infine, che anche il terzo motivo sconta profili di genericità, in quanto non indica, in maniera puntuale, il contenuto dei documenti asseritamente depositati dall’imputato alla G.d.F., né, soprattutto, come essi, rispetto alla contestazione mossa al COGNOME, avrebbero inciso, disarticolandola, sulla motivazione posta alla base dell’affermazione della penale responsabilità.
Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Invero, posto che la data di commissione del reato è indicata nel 30 settembre 2013, tenendo contro di complessivi 198 giorni di sospensione (dal 4 nov’embre 2019 al 18 marzo 2020, pari a 134 giorni, oltre a 64 giorni per il Covid), che si aggiungono al termine massimo (non di otto anni, come opinato dal ricorrente, ma) di dieci anni, ai sensi dell’art. 17, comma 1-bis, d.lgs. n. 74 del 2000 – introdotto dall’art. 36 vides seme!, lett. I) d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla I. 14 settembre 2011, n. 148 e in vigore dal 17 settembre 2011, che ha elevato di un terzo il termine di prescrizione per i tutti delitti previsti dagli artt. da 2 a 10 8 d.lgs. n. 74 del 2000 -, la prescrizio maturerà il 16 luglio 2024.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 04/07/2024.