Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30802 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30802 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 30/05/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NAPOLI 11 16/06/1977 NOME nato a TERRACINA il 19/03/1973
avverso la sentenza del 02/07/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che COGNOME NOME e NOME Giuseppe – condannati per i reati di cui agli artt. 110 cod. pen. e 8 del d.lgs. n. 74 del 2000 all’esito di giudizio abbreviato, con rideterminazione in diminuzione del trattamento sanzionatorio da parte del giudice di appello – hanno proposto, con unico atto, ricorsi per cassazione, lamentando: 1) vizi della motivazione e violazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, relativamente all’accertamento della penale responsabilità degli imputati; 2) violazione de chiamato art. 8, circa la qualifica di amministratori di fatti degli imputati; 3) violazione degli artt. 132 e 133 cod. pen. circa il trattamento sanzionatorio riservato a ciascun concorrente.
Considerato che i ricorsi sono inammissibili, perché diretti a sollecitare una rivalutazione del quadro istruttorio sulla base di una rilettura di fatto preclusa al sindacato di questa Corte, non confrontandosi in modo puntuale con le argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata;
che il primo motivo di doglianza, inerente alla penale responsabilità degli imputati è inammissibile per genericità, in quanto omette di misurarsi criticamente con l’argomentazione sviluppata sul punto dalla Corte d’appello (pag. 3 del provvedimento);
che sussistono tutti gli elementi richiesti dalla giurisprudenza per considerare COGNOME e COGNOME quali amministratori di fatto della RAGIONE_SOCIALE in quanto veri titolari di poteri amministrativi e contabili all’interno della predetta società, da non confondere, come prospettato dalla difesa, con la RAGIONE_SOCIALE, della quale il COGNOME risulta formale rappresentante e che è invece estranea al procedimento;
che dalla documentazione acquisita e dalle testimonianze raccolte e, in particolare, dalle dichiarazioni rese dai tesserati e/o soggetti che negli anni si sono relazionati con l’associazione sportiva, si è potuta appurare la riconducibilità soggettiva delle contestate condotte illecite agli odierni ricorrenti;
che – secondo la completa e coerente valutazione dei giudici di merito – non vi è dubbio circa la sussistenza, in capo agli imputati, dell’elemento del dolo specifico, per l’elevato numero di fatture e per gli importi fatturati che, come sottolineato dalla Guardia di Finanza, costituiscono elemento comprovante la piena volontarietà di consentire al soggetto terzo destinatario un illecito vantaggio tributario mediante la simulazione di passività inesistenti;
che, per costante orientamento giurisprudenziale, l’evasione di imposta non è elemento costitutivo del delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti, ma caratterizza il dolo specifico, normativamente richiesto per la punibilità dell’agente, essendo necessario che l’emittente delle fatture si proponga il fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ma non
anche il terzo realizzi effettivamente l’illecito intento (Sez. F, n. 31142 del 16/08/2022, Rv. 283708);
che il secondo motivo di ricorso, relativo all’erronea affermazione della penale responsabilità degli imputati e all’errata qualificazione di questi ultimi quali amministratori di fatto dell’associazione, è inammissibile, perché diretto a sollecitare una rivalutazione del quadro istruttorio;
che, con riferimento a COGNOME NOME, la Corte ha evidenziato (pag. 4 del provvedimento), come la stessa non solo avesse la delega ad operare sul conto intestato all’associazione ma avesse altresì effettuato la maggior parte dei prelievi in contanti, nonché girato, a sua firma, gli assegni incassati dall’Associazione;
che la Corte ha ritenuto corretta l’individuazione del NOME quale amministratore di fatto, sulla base di indici sintomatici espressivi dell’inserimento organico, con funzioni direttive, nella sequenza produttiva, organizzata o commerciale dell’attività sociale, in posizione assolutamente preminente rispetto all’amministratore di diritto, privo di esperienze specifiche nel settore di operatività dell’ente (pag. 3 del provvedimento);
che tutte le persone sentite nel corso delle indagini hanno dichiarato di essersi relazionate esclusivamente con i coniugi NOMECOGNOME per questioni attinenti agli aspetti amministrativi e contabili della RAGIONE_SOCIALE Virtus Basket Group;
che il terzo motivo di doglianza, relativo al trattamento sanzionatorio riservato a ciascun concorrente, è inammissibile, in quanto il computo della pena adottato dalla Corte di appello risulta sorretto da argomentazioni logico-giuridiche prive di vizi e da adeguato esame delle deduzioni difensive;
che la Corte ha correttamente rideterminato la pena complessiva riservata a ciascun concorrente, nella veste di amministratore di fatto della suddetta associazione sportiva, partendo da una pena base per il reato più grave di cui al capo a) di imputazione in anni due di reclusione, superiore di mesi 6 rispetto al minimo edittale a fronte dell’elevato numero di fatture e degli importi fatturati, diminuendo successivamente la pena per le circostanze attenuanti generiche ad anni 1 e mesi 4 di reclusione, aumentata per la continuazione con il reato di cui al capo b) ad anni 1 e mesi 9 di reclusione, ulteriormente aumentata per il reato di cui al capo c), riqualificato nell’ipotesi di più lieve entità di cui all’art. 8, comma 2bis del d.lgs. n. 74 del 2000, ad anni 2 di reclusione, infine diminuita ad anni 1 e mesi 4 di reclusione per la scelta del rito;
che la determinazione della pena da parte della Corte d’appello risulta dunque puntualmente motivata, coerente con i criteri di legge e proporzionata alla gravità dei fatti accertati;
che, tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere
che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima
consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa
delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili
GLYPH
ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2025.