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Amministratore di fatto: la responsabilità penale

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per gravi reati fiscali nei confronti di due fratelli, riconosciuti come l’amministratore di fatto di una società, e del suo amministratore di diritto (prestanome). La sentenza chiarisce che la gestione sostanziale prevale sulla carica formale, rendendo l’amministratore di fatto pienamente responsabile. La Corte ha stabilito che prove come patti parasociali e contabilità extracontabile sono sufficienti a dimostrare il ruolo di gestione occulta, rigettando i ricorsi degli imputati e confermando l’impianto accusatorio.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di Fatto: Quando la Gestione Occulta Porta alla Condanna Penale

La figura dell’amministratore di fatto è da tempo al centro del dibattito giuridico, specialmente in materia di reati fiscali e societari. Chi gestisce realmente un’azienda, pur nascondendosi dietro un prestanome, può essere ritenuto responsabile penalmente? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza un principio consolidato: la responsabilità penale ricade su chi esercita effettivamente il potere gestorio, a prescindere dalla carica formale. La pronuncia conferma la condanna per gravi reati fiscali a carico di due fratelli, veri dominus di una società, e dell’amministratore di diritto, il quale non ha potuto sottrarsi alle proprie responsabilità.

I Fatti del Caso: La Società Schermo e i Reati Fiscali

Il caso riguarda un complesso schema fraudolento orchestrato da due fratelli. Per proseguire l’attività commerciale di due loro precedenti società, ormai prossime al fallimento, avevano costituito una nuova società a responsabilità limitata. Formalmente, l’amministrazione di questa nuova entità era affidata a un terzo, un loro ex dipendente, che fungeva da mero prestanome. La gestione reale, tuttavia, era saldamente nelle mani dei due fratelli.

Attraverso questa società-schermo, gli imputati hanno commesso una serie di reati fiscali, tra cui:
* Utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, emesse da società cartiere, per abbattere l’imponibile IVA.
* Presentazione di dichiarazioni dei redditi infedeli, indicando elementi attivi inferiori a quelli reali.
* Omissione del versamento dell’IVA dovuta.
* Indebita compensazione di crediti IVA inesistenti.

Il meccanismo fraudolento era ben collaudato e mirava a evadere sistematicamente le imposte, creando un grave danno all’erario.

La Decisione della Corte: Ricorsi Inammissibili

La Corte di Appello di Milano aveva già confermato la sentenza di condanna di primo grado. Gli imputati, inclusi i due fratelli e l’amministratore prestanome, hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando diverse questioni, tra cui la presunta carenza di prove sul loro ruolo di amministratori di fatto e la violazione del principio del ne bis in idem a causa di un precedente decreto di archiviazione per reati fallimentari.

La Corte di Cassazione ha dichiarato tutti i ricorsi inammissibili, confermando integralmente la condanna e ponendo fine alla vicenda processuale.

Le Motivazioni

La sentenza è particolarmente interessante per le motivazioni con cui la Corte ha smontato le tesi difensive, fornendo importanti chiarimenti sulla responsabilità penale nelle gestioni societarie occulte.

Come si prova la qualifica di Amministratore di Fatto

La difesa sosteneva che non vi fossero prove sufficienti a dimostrare il ruolo di amministratore di fatto dei due fratelli. La Cassazione ha respinto questa argomentazione, evidenziando come i giudici di merito avessero correttamente valorizzato una serie di elementi inequivocabili:

* Il patto parasociale: Un accordo scritto, stipulato tra gli amministratori formali, in cui questi riconoscevano i due fratelli come effettivi titolari dei poteri di gestione e rinunciavano a qualsiasi pretesa sulla società.
* La documentazione extracontabile: Registrazioni manoscritte che annotavano gli incassi mensili dei punti vendita, da corrispondere direttamente ai due fratelli.
* Il controllo delle operazioni strategiche: I fratelli gestivano direttamente i rapporti con i fornitori esteri, avevano costituito una società in Romania per l’approvvigionamento della merce e trattavano gli acquisti e le vendite.
* Le testimonianze: Le dichiarazioni rese da altri soggetti coinvolti, come l’amministratore della società fornitrice, confermavano il ruolo dominante dei due fratelli.

La Corte ha ribadito che per essere considerati amministratori di fatto non è necessario esercitare tutti i poteri tipici dell’organo gestorio, ma è sufficiente svolgere un’attività di gestione significativa e continuativa.

La Responsabilità Penale del Prestanome

Altrettanto netta è stata la posizione della Corte sulla responsabilità dell’amministratore di diritto. Egli sosteneva di essere stato un mero esecutore, privo di poteri decisionali. Tuttavia, i giudici hanno affermato che la semplice accettazione della carica di amministratore comporta l’assunzione di precisi doveri di vigilanza e controllo. Il mancato rispetto di tali doveri integra una responsabilità penale. Chi accetta di fare da prestanome è consapevole che dalla sua condotta omissiva possono derivare reati e, accettando tale rischio, risponde a titolo di dolo, quantomeno eventuale.

Inapplicabilità del Principio del ‘Ne Bis in Idem’

Uno degli imputati aveva tentato di far valere un precedente decreto di archiviazione emesso dal Tribunale di Torino per reati fallimentari, sostenendo che escludesse il suo ruolo di gestore di fatto. La Corte ha chiarito che un decreto di archiviazione non è una sentenza di merito irrevocabile e non preclude un nuovo procedimento per fatti diversi (in questo caso, reati fiscali). L’archiviazione si basa su una valutazione preliminare e non ha efficacia di giudicato.

Le Conclusioni

La sentenza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso: nel diritto penale societario e tributario, la sostanza prevale sulla forma. La figura dell’amministratore di fatto non è uno scudo contro le responsabilità, ma il vero fulcro dell’imputazione penale. La giustizia è in grado di guardare oltre le cariche formali per individuare chi realmente prende le decisioni e beneficia degli illeciti.

Allo stesso tempo, la pronuncia funge da monito per chi accetta ruoli di prestanome: l’assunzione di una carica formale non è mai un atto privo di conseguenze. L’obbligo di vigilanza è un dovere non delegabile, la cui violazione può portare a una pesante condanna penale, anche in concorso con i gestori occulti.

Chi è l’amministratore di fatto e come si prova il suo ruolo?
L’amministratore di fatto è colui che, pur senza una nomina formale, esercita in modo continuativo e significativo i poteri di gestione di una società. Il suo ruolo può essere provato attraverso una serie di elementi convergenti, come patti parasociali, documentazione contabile non ufficiale che attesta la percezione degli utili, il controllo diretto delle operazioni commerciali strategiche e le dichiarazioni di terzi.

L’amministratore “prestanome” risponde dei reati commessi da chi gestisce di fatto la società?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la semplice accettazione della carica di amministratore attribuisce doveri di vigilanza e controllo. Il mancato rispetto di questi doveri, che consente la commissione di reati da parte dei gestori di fatto, comporta una responsabilità penale per il prestanome, almeno a titolo di dolo eventuale, poiché accetta il rischio che si verifichino eventi illeciti.

Una precedente archiviazione per un reato simile impedisce una nuova condanna?
No. Un decreto di archiviazione non costituisce una sentenza irrevocabile e non fa scattare il divieto di un secondo processo (principio del ne bis in idem), specialmente se riguarda un reato diverso (es. bancarotta rispetto a reati fiscali). L’archiviazione indica solo che, in quella fase e per quella specifica accusa, non sono stati raccolti elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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