Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14356 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14356 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TERNI DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/02/2023 della CORTE APPELLO di PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore
AVV_NOTAIO, per il ricorrente, si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14 febbraio 2023, la Corte di appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Terni, revocava le statuizioni civili (avendo, la parte civile, rinunciato alla costituzione in giudizio), confermando nel resto la condanna di NOME COGNOME per il delitto di bancarotta documentale alla medesima contestato (ritenuta l’ipotesi di bancarotta “generica”) quale amministratore unico, dal novembre 1996 al dicembre 2012, e quale amministratore di fatto fino al fallimento, della srl RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 15 marzo 2018.
Già in prime cure la predetta era stata assolta dagli ulteriori delitti ascrittil la bancarotta patrimoniale e l’aggravamento del dissesto per non avere tempestivamente richiesto il fallimento della società.
1.1. In risposta ai dedotti motivi di appello, la Corte osservava quanto appresso.
Le incongruenze contestate in ordine alla tenuta della contabilità (l’assenza della documentazione fiscale, in particolare le fatture, che avrebbe consentito di valutare la correttezza delle scritture e dei libri contabili) erano riferibili anche soprattutto, agli anni in cui la prevenuta era stata l’amministratore di diritto dell società fallita.
La prova del ruolo di amministratore di fatto rivestito dalla medesima, negli anni successivi alla cessazione della carica formale, era stata tratta dalle deposizioni delle due impiegate amministrative che avevano, appunto, riferito del ruolo direttivo da ella rivestito nella società, ben più ampio di quello di mero direttore sanitario (come la stessa era rimasta, anche formalmente, dopo avere rinunciato al ruolo formale di amministratore).
Ruolo che era stato confermato anche dai successivi amministratori ed in particolare da NOME COGNOME, che aveva riferito come ella avesse assunto solo formalmente la carica di amministratore della società.
Infondata era la censura relativa alla indeterminatezza del capo di imputazione e al difetto di correlazione fra l’accusa e la condanna, considerando, in proposito, l’insegnamento della Corte di cassazione (Cass. n. 42754 del 2017) ed il fatto che non vi era stato alcun mutamento radicale della condotta in origine contestata.
Propone ricorso l’imputata, a mezzo del proprio difensore, articolando le proprie censure in due motivi.
2.1. Con il primo deduce la violazione di legge, ed in particolare dell’art. 522 cod. proc. pen., ed il vizio di motivazione per l’intervenuta conferma, da parte della Corte d’appello, della condanna dell’imputata per una condotta diversa da quella in origine contestata e per la mancata confutazione degli argomenti sviluppati in appello circa l’assunto ruolo di amministratore di fatto che la prevenuta avrebbe avuto a partire dalle dimissioni dalla carica formale.
Quanto al primo profilo, si era, già davanti al Tribunale, lamentata la genericità dell’imputazione, che univa in sé entrambe le ipotesi previste dall’art. 216, comma 1 n. 2 legge fall.
Doglianza che, non accolta, si era ripetuta nell’atto di appello. Senza ottenere alcuna concreta confutazione, da parte della Corte perugina.
Quanto al secondo profilo, la Corte d’appello non aveva, in alcun modo, argomentato sulle circostanze e sulle ragioni che si opponevano al riconoscimento, in capo alla prevenuta, del ruolo di amministratore di fatto della società a partire dal dicembre 2015.
Già nell’atto di appello, infatti, si era osservato come alla COGNOME, dopo la cessazione della carica, non fosse stata affidata alcuna delega ad operare in nome e per conto della società, come le fossero stati revocati i poteri di firma sui conti correnti bancari e come il nuovo amministratore designato, NOME COGNOME, non potesse considerarsi un mero prestanome, dato che era persona professionalmente preparata (tanto da essere inserita in uno studio di commercialisti e da gestire un proprio centro di elaborazione dati) che aveva assunto concretamente la carica ed i compiti che la stessa comportava.
Si ricordava, inoltre, che la COGNOME aveva sottoscritto una dichiarazione in cui aveva attestato di avere ricevuto dall’imputata le scritture contabili verificandone, insieme al commercialista, AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, la regolarità.
Un dato, questo, che la Corte aveva omesso di considerare.
Si ricordava, infine, come l’imputata fosse stata assolta dagli ulteriori addebiti – di bancarotta patrimoniale e per avere aggravato il dissesto della società non chiedendone il fallimento – e come non fosse stata individuata alcuna concreta condotta da cui dedurre il ruolo di amministratore di fatto che si assume avere rivestito la prevenuta.
2.2. Con il secondo motivo lamenta il difetto di motivazione e la violazione di legge in riferimento sia all’omessa riapertura dell’istruttoria dibattimentale, sia all incongrua valutazione degli elementi di prova già raccolti.
Non si era deciso di escutere il consulente della difesa nonostante la necessità di tale integrazione fosse derivata dalla modifica dell’accusa mossa all’imputata.
Non si erano poi specificate quali delle condotte e dei compiti che la prevenuta aveva continuato a svolgere come direttore sanitario potessero considerarsi configurare l’ulteriore ruolo di amministratore di fatto della società, dovendosi poi rilevare come ben diversa è la figura del direttore sanitario rispetta a quella di amministratore della società, pur di gestione di servizi sanitari.
Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto NOME COGNOME, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Entrambi i motivi deducono vizi motivazionali su specifici punti del tessuto argomentativo della sentenza impugnata e che, più precisamente, attengono alla genericità dell’imputazione, al difetto di correlazione fra la condotta contestata e quella ritenuta in sentenza, al ruolo di amministratore di fatto ricoperto dall’imputata dopo la cessazione della carica di amministratore e, infine, alla stessa responsabilità della prevenuta per il (residuo, rispetto alle precedenti assoluzioni) delitto di bancarotta documentale.
Quanto alla indeterminatezza dell’imputazione, la censura non merita accoglimento.
Alla prevenuta, infatti, era stato contestato, nelle qualità ricordate (di amministratore di diritto dall’ 8 novembre 1996 al 19 dicembre 2015, e di amministratore di fatto da tale ultima data al fallimento, intervenuto il 15 marzo 2018), di avere (come si legge in rubrica) “sottratto i libri contabili e le altre scritture contabili della società in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della medesima”.
Le si erano così ascritte entrambe le ipotesi di bancarotta documentale previste dall’art. 216, comma 1, n. 2 legge fall., sia l’occultamento della contabilità in pregiudizio dei creditori (a dolo specifico) sia la tenuta delle stesse in guisa da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (a dolo generico).
Tuttavia, su tale forma di contestazione, si è già affermato (da ultimo Sez. 5, n. 8902 del 19/01/2021, Tecchiati, Rv. 280572) come sia ammissibile la contestazione alternativa dei delitti di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione, distruzione o occultamento di scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, e di fraudolenta
tenuta delle stesse, che integra una ipotesi di reato a dolo generico, non determinando tale modalità alcun vizio di indeterminatezza dell’imputazione.
Ciò premesso, già il Tribunale aveva ritenuto sussistere l’ipotesi della bancarotta “generica”, posto che le poche scritture consegnate non si erano dimostrate idonee, appunto, a ricostruire il patrimonio ed il movimento degli affari della fallita, mancando del tutto quei documenti contabili e fiscali sottostanti destinati a confermarne la rispondenza al vero.
Se ne deduce allora:
che la contestazione originaria comprendeva anche la condotta poi ritenuta in sentenza; dovendosi così escludere il difetto di correlazione fra l’accusa originaria e la condanna patita;
che la condotta ascritta alla prevenuta era tale (viste anche le precisazioni fatte dal curatore del fallimento) da consentire alla prevenuta un’adeguata difesa, difesa che, del resto, non era affatto mancata.
Quanto al ruolo di amministratore di fatto rivestito, dopo la cessazione della carica di amministratore, dall’imputata, ne costituiscono prova tranquillante le circostanze di fatto evidenziate dalla Corte territoriale ed ancor prima dal Tribunale.
Si era, infatti, osservato come anche le dipendenti amministrative della società avessero riferito che la COGNOME aveva continuato a gestire anche tale settore della complessiva attività della fallita, non certo limitandosi a quella direzione sanitaria che pure aveva conservato.
Vi è di più: entrambi i successivi amministratori della società, NOME COGNOME e NOME COGNOME, avevano riferito (ne dà specifico e dettagliato conto il Tribunale) di avere ricoperto, solo formalmente, tale carica.
Ed inoltre, l’invocata consegna delle scritture contabili da parte della COGNOME non era neppure avvenuta nella mani del COGNOME, che di questa era stato l’immediato successore nell’amministrazione, ma, tempo dopo, all’amministratore nuovamente mutato, NOME COGNOME, ad ulteriore dimostrazione del ruolo di gestione della società sempre ricoperto dalla COGNOME, a prescindere dagli amministratori di diritto che, nel frattempo, si erano succeduti.
Quanto poi alla assunta verifica, da parte della stessa COGNOME, della regolarità della contabilità consegnata, non poteva che condividersi l’osservazione della Corte in ordine alla sua inattendibilità in considerazione del ruolo esclusivamente formale da questa ricoperto. A cui si aggiunge che l’ulteriore verifica della regolarità della contabilità da parte del AVV_NOTAIO COGNOME doveva considerarsi anch’essa dubbia in considerazione del ruolo da costui rivestito, anche in precedenza, di
commercialista della società (e quindi di corresponsabile delle eventuali irregolarità).
Da tutto quanto si è sopra riportato risulta, infine, evidente la superfluità della prova dichiarativa sollecitata nel ricorso, emergendo con assoluta chiarezza gli addebiti mossi alla prevenuta e le ragioni sottostanti agli stessi.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma il
1 febbraio 2024.