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Amministratore di fatto: la responsabilità penale

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta documentale a carico di un’imputata, ritenuta amministratore di fatto di una società anche dopo le sue dimissioni formali. La sentenza chiarisce che la responsabilità penale sussiste per chi, pur senza una carica ufficiale, continua a gestire l’impresa, e che un’imputazione che unisce più ipotesi di reato documentale non è indeterminata. La Corte ha ritenuto provato il ruolo di gestione continuativa basandosi su testimonianze di dipendenti e successori formali, considerati meri prestanome.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di fatto: la Cassazione conferma la responsabilità per bancarotta

La figura dell’amministratore di fatto è centrale in una recente sentenza della Corte di Cassazione, che ha confermato la condanna per bancarotta documentale a carico di una persona che continuava a gestire una società anche dopo aver rassegnato le dimissioni formali. Questa decisione ribadisce un principio fondamentale: la responsabilità penale non si ferma alla forma, ma guarda alla sostanza dei poteri esercitati all’interno dell’impresa. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni dei giudici.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un’imputata, amministratore unico di una S.r.l. dal 1996 al 2012 e, secondo l’accusa, amministratore di fatto fino al fallimento della società nel 2018. La condanna, confermata in appello, riguardava il reato di bancarotta documentale “generica”, ovvero per aver tenuto le scritture contabili in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. In primo grado, l’imputata era stata assolta dalle accuse di bancarotta patrimoniale e di aggravamento del dissesto.

La difesa aveva contestato la condanna sotto due profili principali:
1. L’indeterminatezza del capo d’imputazione e la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
2. La carenza di prove riguardo al suo ruolo di amministratore di fatto dopo le dimissioni dalla carica formale.

La prova del ruolo di amministratore di fatto

La Corte d’Appello, e prima ancora il Tribunale, avevano basato la propria decisione sulle testimonianze di due impiegate amministrative e dei successivi amministratori formali. Questi ultimi, in particolare, avevano dichiarato di aver ricoperto la carica solo nominalmente, lasciando di fatto la gestione completa all’imputata. Le testimonianze hanno delineato un quadro in cui l’ex amministratrice continuava a esercitare un ruolo direttivo ben più ampio di quello di mero direttore sanitario, che aveva mantenuto formalmente.

La difesa sosteneva che dopo le dimissioni, all’imputata erano stati revocati i poteri di firma sui conti correnti e che il nuovo amministratore era una persona professionalmente preparata, non un semplice prestanome. Tuttavia, per i giudici, queste circostanze non erano sufficienti a smentire il quadro probatorio emerso dalle deposizioni.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. In primo luogo, ha escluso l’indeterminatezza dell’imputazione. I giudici hanno chiarito che contestare in modo alternativo le diverse ipotesi di bancarotta documentale (sottrazione con dolo specifico e irregolare tenuta con dolo generico) è una prassi ammissibile e non viola il diritto di difesa. Nel caso specifico, la condotta contestata e quella ritenuta in sentenza (la tenuta irregolare delle scritture) erano entrambe comprese nell’accusa originaria.

Sul punto cruciale del ruolo di amministratore di fatto, la Cassazione ha ritenuto la motivazione della Corte d’Appello logica e coerente. Le prove testimoniali sono state giudicate “tranquillanti” e sufficienti a dimostrare che l’imputata aveva continuato a gestire la società ininterrottamente. Anche la consegna delle scritture contabili, avvenuta non al primo successore ma a quello successivo, è stata vista come un’ulteriore conferma del suo ruolo di gestore occulto.

Infine, la Corte ha considerato irrilevanti le argomentazioni difensive sulla professionalità dei successori formali e sulla presunta verifica della regolarità contabile, ritenendole inattendibili alla luce del ruolo di meri prestanome che questi avevano ricoperto.

Conclusioni

La sentenza consolida l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la responsabilità per i reati fallimentari ricade su chiunque eserciti di fatto la gestione dell’impresa, indipendentemente dalla carica formale. La prova di tale ruolo può essere fornita attraverso elementi concreti come le testimonianze di dipendenti e collaboratori, che possono dimostrare come le decisioni strategiche e operative fossero prese dall’amministratore di fatto. Questa decisione serve da monito: nascondersi dietro a cariche formali altrui non è sufficiente per eludere le proprie responsabilità penali nella gestione di un’impresa.

Quando un ex amministratore può essere considerato un amministratore di fatto?
Un ex amministratore è considerato ‘di fatto’ quando, nonostante le dimissioni formali, continua a esercitare in modo continuativo e significativo i poteri di gestione e direzione della società, come dimostrato nel caso di specie dalle testimonianze dei dipendenti e degli amministratori successivi.

È valida un’accusa di bancarotta documentale che non specifica se le scritture sono state sottratte o solo tenute male?
Sì, secondo la Corte è ammissibile una contestazione che includa alternativamente entrambe le ipotesi di bancarotta documentale (occultamento con dolo specifico e irregolare tenuta con dolo generico), in quanto non determina un vizio di indeterminatezza dell’imputazione e non lede il diritto di difesa.

Come si prova in giudizio il ruolo di amministratore di fatto?
Il ruolo di amministratore di fatto si prova attraverso elementi concreti che dimostrano l’esercizio effettivo del potere gestorio. Nel caso esaminato, la prova è stata raggiunta tramite le deposizioni di dipendenti amministrativi e dei successori formali, i quali hanno confermato che l’imputata continuava a dirigere l’attività societaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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