Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13621 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13621 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a NOVA SIRI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/12/2022 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME COGNOME.
che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto
udito il difensore
AVV_NOTAIO insiste nell’accoglimento del ricorso.
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Torino riformava parzialmente in senso favorevole all’imputato, limitatamente alla determinazione del trattamento sanzioNOMErio, la sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Torino, in data 17.10.2017, decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condanNOME COGNOME NOME, alle pene, principali e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione; bancarotta fraudolenta documentale e bancarotta impropria da reato societario, in rubrica ascrittigli, in qualità di amministratore di fatto di “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita dal tribunale di Torino in data 30.7.2014
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, lamentando: 1) l’inosservanza e l’erronea applicazione della disciplina normativa in tema di consorzio, avendo la sentenza impugnata erroneamente valorizzato la posizione apicale ricoperta dal ricorrente (rappresentante della HDL) nel gruppo consortile cui apparteneva la fallita, circostanza però del tutto neutra rispetto alla dimostrazione dell’effettiva gestione di fatto della “RAGIONE_SOCIALE“; 2) violazione di legge, in relazione all’errore commesso dalla corte di appello nel qualificare la supposta frode I.V.A. come operazione dolosa, idonea a cagionare il fallimento della società, e IFa conseguente erronea interpretazione in tema di detrazione I.V.A., posto che l’unica condotta astrattamente rilevante sarebbe, nel caso in esame, l’omesso versamento I.V.A. da parte delle cooperative finali, condotta, però, del tutto estranea al perimetro del processo e del tutto priva di rilievo rispetto alla società fallita; 3) violazione di legge, in ordine alla ritenuta distrazione della somma di € 319.286 in favore della cooperativa “RAGIONE_SOCIALE” che, secondo il ricorrente, si sarebbe ridotta a una mera indicazione contabile alla quale non avrebbe mai fatto riscontro una dazione effettiva; 4) vizio di motivazione, con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di bancarotta impropria societaria;
vizio di motivazione, con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale; 6) violazione di legge in punto di affermata sussistenza della circostanza aggravante del danno di rilevante entità.
Con requisitoria scritta del 17.11.2023, da valere come memoria, in quanto nelle more l’imputato ha chiesto la trattazione in forma orale della proposta impugnazione, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso sia rigettato.
Il ricorso va rigettato, essendo sorretto da motivi, in parte inammissibili, in parte infondati.
Premesso che le sentenze di primo e di secondo grado vanno lette congiuntamente, costituendo esse un unico complessivo corpo decisionale, in quanto la sentenza di appello nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 37295 del 12.6.2019), va rilevata l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
La corte territoriale, invero, sul punto ha reso una motivazione del tutto immune da vizi sul ruolo e sul meccanismo attivato dal COGNOME, al cui interno si collocano le condotte in contestazione.
Osserva, in particolare, la corte territoriale che, “ritenuta pacifica l’articolazione dei rapporti interni al consorzi() tra la capofila RAGIONE_SOCIALE (costituita nella misura del 90% da società a.r.l. riconducibili all’imputato), la fallita che operava come interposta e le cooperative finali, il meccanismo posto in essere procurava una doppia fatturazione delle prestazioni con il passaggio, solo virtuale, da RAGIONE_SOCIALE, consentendo l’imponente vantaggio economico dall’evasione clell’iva; esso era direttamente riconducibile al COGNOME, che era a capo, anche formalmente , di RAGIONE_SOCIALE, consorzio che in questo modo godeva di condizioni di mercato più favorevoli al cospetto della concorrenza, potendo praticare alla clientela prezzi di particolare vantaggio. Buona parte delle commesse, affidate senza alcuna plausibile ragione, se non
quella dell’evasione fiscale, da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, era da quest’ultima girata alle cooperative consorziate, a sua volta cori quest’ultima”.
Le indagini hanno accertato che “RAGIONE_SOCIALE aveva una struttura organizzativa molto limitata, ma soprattutto, erano le cooperative finali che non erano dotate di alcuna organizzazione di mezzi, facevano capo a persone nullatenenti, avevano una durata molto limitata nel tempo, circa un paio di anni per poi essere messe in liquidazione proprio nel momento in cui accumulavano un rilevante debito fiscale e prontamente sostituite da altre aventi le medesime caratteristiche di precarietà, così da assicurare al consorzio, comunque, il relativo apporto di produzione e lavoro.”
Come rilevato con logico argomentare dalla corte territoriale, “il sistema creato dall’imputato era tale da riversare sulle cooperative finali l’assunzione formale delle maestranze necessarie per assolvere le commesse ricevute da RAGIONE_SOCIALE, che, a sua volta, anche se solo virtualmente, non godendo di alcuna organizzazione adeguata, le riceveva da HDL, fatturandone l’ammontare. Così facendo RAGIONE_SOCIALE conseguiva credito d’imposta dalle fatture delle cooperative e, a sua volta, lo costituiva verso HDL, sistema che serviva sia a far apparire in regola la contabilità, in particolare i bilanci, ma anche a trarre profitto dall’ingente evasione fatta ricadere sulle cooperative, terminali dell’attività, e, quindi, chiamate alle relative fatturazioni. Il tutto, però, era solo virtuale, perché di fatto le commesse erano curate con mezzi e personale che facevano capo ad RAGIONE_SOCIALE e, quindi, a RAGIONE_SOCIALE, alle quali le cooperative erano del tutto asservite al solo scopo di creare una callida articolazione manifestamente illecita ai danni dell’AVV_NOTAIO e, stante il fallimento di quest’ultima, del ceto creditorio”.
Centrale in questo sofisticato meccanismo è la posizione del COGNOME, indicato concordemente dallo COGNOME e dall’COGNOME, gestori di due delle principali cooperative finali, come il vero dominus della “RAGIONE_SOCIALE“, che costituiva di fatto un’unica realtà con la “HDL”, come riferito dallo COGNOME, il quale ha precisato che competeva al ricorrente decidere “quali
lavori assegnare e a quali cooperative assegnarli”, giungendo anche a occuparsi dell’erogazione degli stipendi ai lavoratori delle cooperative.
La conclusione cui è giunta la corte territoriale appare, pertanto, in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 c.c., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, anche se “significatività” e “continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di “tutti” i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale.
La posizione dell’amministratore di fatto, destinatario delle norme incriminatrici della bancarotta fraudolenta, dunque, va determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l’attribuzione della qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di norme che sono sanzionate dalla legge penale. La disciplina sostanziale si traduce, in via processuale, nell’accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti dall’organico inserimento del soggetto, quale ”intraneus” che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento delriter” di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti – in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare.
Peraltro l’accertamento degli elementi sintomatici di tale gest:ione o cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di fatto che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto, come nel caso in esame, da motivazione congrua e logica (cfr. Sez. 5, 14.4.2003, n. 22413, rv. 224948; Se. I, 12.5.2006, n. 18464, rv. 234254).
Né va taciuto che la tesi difensiva, incentrata sulla peculiare natura del gruppo consortile guidato da RAGIONE_SOCIALE, non coglie nel segno.
Lo stesso precedente giurisprudenziale citato dal ricorrente, secondo cui “non può ritenersi che la titolarità da parte dell’agente della carica di
amministratore della società capogruppo (ovvero la sua identificazione con la holding) implichi di per sé l’assunzione della qualifica di amministratore di fatto delle società controllate, a meno che l’esercizio dei poteri di direzione e coordinamento del gruppo non si traduca specificamente in atti gestione di fasi o settori delle controllate, limitandone dell’autonomia e riducendo gli amministratori di diritto a meri esecutori materiali delle direttive impartite” (cfr. Sez. 5, n. 15638 del 22/3/2022, n. 15638, nonché, nello stesso senso, Sez. 5, n. 36865 del 27/10/2020,Rv. 280107), conforta, piuttosto, la tesi accusatoria, stante l’assoluto controllo sulle società consorziate, che, come riferito dallo COGNOME e dall’COGNOME, il COGNOME esercitava.
6. Una volta chiarito il meccanismo fraudolento posto in essere dal COGNOME, appare infondato anche il secondo motivo di ricorso, in quanto le cooperative “finali” hanno costituito un elemento essenziale per il perseguimento dell’utile derivante dall’evasione fiscale in precedenza descritta.
Né va taciuto che, per costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il reato di false comunicazioni sociali, previsto dall’art. 2621 cod. civ., nel testo modificato dalla legge 27 maggio 2015, n. 69, è configurabile in relazione alla esposizione in bilancio di enunciati valutativi, se l’agente, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati’ se ne discosti consapevolmente e senza fornire adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni (cfr., ex plurimis, Ses. U, n. 22474 del 31/03/2016).
Sul punto la corte territoriale, facendo riferimento alle conclusioni cui è giunto il curatore fallimentare, ha evidenziato una serie di operazioni, tali da alterare, falsandole, le appostazioni in bilancio, in modo da far apparire in regola i bilanci relativi agli anni 2010 e 2011, che non hanno formato oggetto di specifica contestazione da parte del ricorrente.
In tal modo, sottolinea la corte territoriale con argomentazione dotata di intrinseca coerenza logica, “la condotta tenuta, in aperto spregio alle
regole di puntuale tenuta della contabilità, era tale da cagionare il dissesto della società ovvero da aggravarne ancora di più la portata, procurando, come avvenuto nel caso di RAGIONE_SOCIALE” un imponente passivo “a fronte del quasi totale annientamento delle attività” (cfr. pp. 11-12 della sentenza oggetto di ricorso).
7. Inammissibile appare il terzo motivo, di ricorso.
In questa sede di legittimità, infatti, è precluso il percorso argonnentativo seguito dal ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).
Anche in questo caso, peraltro, la motivazione della corte territoriale appare del tutto immune dai denunciati vizi, avendo i giudici di merito logicamente dedotto il compiuto verificarsi della distrazione, dalla circostanza che la relativa elargizione risulta annotata nella scheda contabile della beneficiaria della somma distratta, la “RAGIONE_SOCIALE“, una delle cooperative consorziate, mentre la relativa posta era stata annotata nella contabilità della società fallita “allegata al bilancio chiuso al 31 dicembre 2010 quando già la cooperativa beneficiaria, non solo aveva già ricevuto le somme fatturate, ma non era più in vita, perché posta in liquidazione già a settembre dello stesso anno, con trasferimento della sede in provincia di Caserta”.
8. Manifestamente infondati devono ritenersi il quarto e il quinto motivo di ricorso, apparendo del tutto evidente come la !i>ussistenza del dolo, sia stata affermata dalla corte territoriale attraverso una valutazione complessiva GLYPH della GLYPH condotta GLYPH posta GLYPH in GLYPH essere GLYPH dall’imputato, conformemente all’orientamento dominante. nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui la prova dell’elemento soggettivo del reato può
desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato.
Né va taciuto che nel caso in esame è stata ritenuta sussistente in capo al COGNOME la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale cd. generica, consistente nell’avere tenuto le scritture contabili in guisa tale da non consentire ovvero da rendere estremamente complessa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società fallita (cfr. p. 11 della sentenza di appello), che, come è noto richiede il dolo generico e non il dolo specifico, come sostenuto dal ricorrente.
9. Infondato, infine, risulta il sesto motivo di ricorso, posto che, se è vero che, come affermato dalla Suprema Corte, in tema di reati fallimentari, l’entità del danno provocato dai fatti configuranti bancarotta patrimoniale va commisurata al valore complessivo dei beni che sono stati sottratti all’esecuzione concorsuale, piuttosto che al pregiudizio sofferto da ciascun partecipante al piano di riparto dell’attivo, ed indipendentemente dalla relazione con l’importo globale del passivo (cfr.
Sez. 5, n. 49642 del 02/10/2009, Rv. 245822), è altrettanto vero che nel caso in esame è stata sottratta all’esecuzione concorsuale una somma di rilevante entità, sul cui valore nessuna specifica doglianza è stata articolata dal ricorrente.
10. Al rigetto del ricorso, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 12.12.2023.