Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34467 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 34467 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a FIRENZE il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 16/01/2025 della Corte d’appello di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Firenze, con sentenza del 28 novembre 2018, ha condannato NOME COGNOME, in qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE (dichiarata fallita il 29/2/2012), per i reati di bancarotta fraudolenta documentale (art. 216, comma 1, n. 2, l. fall., in relazione all’art. 223 l. fall.) , in riferimento al l’iscrizione in contabilità di crediti inesistenti per oltre un milione di euro, e di bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 216, comma 1, l. fall.), quanto alla distrazione di incassi non contabilizzati dell’importo di euro 48.752,14. L’imputato è stato assolto dagli altri reati contestati.
La Corte di appello di Firenze, con una prima sentenza del 3 novembre 2022, aveva inizialmente confermato la condanna, ma tale decisione è stata annullata dalla Corte di cassazione per violazione del contraddittorio.
La stessa Corte di appello, in sede di rinvio, con sentenza del 16 gennaio 2025, ha nuovamente confermato la responsabilità penale dell’imputato, ribadendo il ruolo di effettivo potere gestorio di COGNOME (avendo intrattenuto rapporti con clienti e fornitori, concordato compensi e riscosso pagamenti), la natura fraudolenta della documentazione contabile e la distrazione patrimoniale, negando le circostanze attenuanti generiche e l’attenuante della speciale tenuità del danno. Il giudice d’appello ha rideterminato solo la durata delle pene accessorie, fissate in cinque anni.
Avverso detta sentenza i difensori dell’imputato hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo plurime censure.
2.1. Con un primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta qualifica di amministratore di fatto.
La Corte di appello avrebbe attribuito al COGNOME il ruolo di amministratore di fatto sulla base di mere attività materiali (rapporti con clienti, presenza nei locali, intermediazione commerciale), trascurando che tali condotte non integrano l’esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici dell’organo di gestione. La difesa richiama la sentenza del Tribunale civile di Firenze n. 3791/2017, che -in un giudizio promosso dal curatore fallimentare contro il legale rappresentante formale COGNOME -aveva escluso qualsiasi responsabilità gestoria del COGNOME, qualificando la sua condotta come ‘meramente fattuale’. Si sostiene pertanto che i giudici di appello avrebbero omesso di confrontarsi con tale precedente, più favorevole, e con i principi di diritto elaborati dalla Cassazione in tema di amministratore di fatto.
4.2. Con un secondo motivo si lamenta violazione di legge, in riferimento a ll’art. 533, comma 1, cod. proc. pen. , e vizio di motivazione, poiché la condanna sarebbe avvenuta nonostante mancasse la prova della colpevolezza ‘oltre ogni ragionevole dubbio’.
Si richiama, nuovamente, la sentenza assolutoria del COGNOME in sede civile, nonostante, in teoria, il canone per affermare la responsabilità in sede civile fosse più elevato.
4.3. Con un terzo motivo si deduce violazione di legge, in relazione all’art. 219, comma 3, l. fall., lamentando il mancato riconoscimento dell’attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale.
Si rileva che l’importo contestato al COGNOME, pari a euro 48.752,14, deve ritenersi obiettivamente esiguo in rapporto alle dimensioni dell’impresa. Viene richiamata la giurisprudenza di legittimità secondo cui la pluralità delle condotte non esclude l’applicazione dell’attenuante , il cui riconoscimento dipende dal danno
patrimoniale specificamente ascrivibile al comportamento dell’imputato, e non dall’entità complessiva del dissesto : danno, nella specie, esiguo (48.752,14 euro), in rapporto all’esercizio di una attività di vendita all’ingrosso di carni.
4.4. Con un quarto motivo si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 62 -bis cod. pen., per il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Si osserva che la Corte territoriale avrebbe fondato il diniego sulla mancanza di resipiscenza o di iniziative risarcitorie, senza considerare che l’imputato , forte di una assoluzione in sede civile e dichiaratosi sempre innocente, non avrebbe avuto ragione di assumere iniziative conciliative con la curatela.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per essere le doglianze in parte manifestamente infondate, in altra parte miranti ad una inammissibile rivalutazione del giudizio di merito.
I primi due motivi (sulla qualifica di amministratore di fatto in capo all’imputato, sui rapporti tra giudicato civile e penale, sulla violazione della regola della condanna penale solo oltre ogni ragionevole dubbio) sono manifestamente infondati e, per giunta, formulati in modo generico, senza alcun reale confronto con la motivazione censurata.
Quanto alla sentenza civile del Tribunale di Firenze n. 3791/2017, che aveva escluso la responsabilità gestoria del COGNOME, va rammentato che, per giurisprudenza granitica e, prima ancora, per il chiaro disposto normativo di cui all’art. 3 cod. proc. pen., i giudizi penale e civile rispondono a regole probatorie differenti. La sentenza civile, infatti, si limita ad accertare una situazione controversa iuxta alligata et probata , sicché l’intangibilità degli effetti del giudicato civile è ancorata all’oggetto specifico della controversia civile, come delimitato dagli ordinari elementi costitutivi (soggetti, petitum e causa petendi ) e non impedisce, anche in difetto dell’esperimento dell’impugnazione straordinaria della revocazione, che in sede penale si proceda ad accertamenti di tipo diverso (Sez. 2, n. 35325 del 16/05/2007, COGNOME, Rv. 237858-01; così pure Sez. 3, n. 27062 del 19/02/2015, Rv. 263949-01 e Sez. 3, n. 17532 del 31/01/2019, Rv. 27544401, secondo cui il giudicato civile fa stato sulle sole questioni concernenti lo stato di famiglia o di cittadinanza, ai sensi del detto art. 3 cod. proc. pen.).
La Corte d ‘ appello, dunque, ben poteva procedere ad accertamenti ulteriori e più approfonditi, rispetto a quelli posti in essere in sede civile, senza violare
alcun principio normativo.
Ne consegue che il richiamo alla pronuncia civile non poteva, di per sé, determinare l’assoluzione dell’imputato in sede penale.
Neppure può dirsi viziata la motivazione circa la ritenuta qualifica di amministratore di fatto, in capo al ricorrente.
Tale qualifica, è bene ribadire, positivizzata dall’art. 2639 cod. civ., può evincersi anche dal compimento di una singola operazione distrattiva, quando attuativa del disegno fraudolento di dismettere i beni della fallita (Sez. 5, n. 30197 del 01/06/2021, Rv. 28186701), ovvero dall’ideazione del mecc anismo fraudolento (Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, Rv. 279829-02; Sez. 5, n. 32398 del 16/03/2018, Rv. 273821-01). Altrimenti, la stessa postula l’esercizio in modo continuativo e significativo, e non episodico o occasionale, di un’apprezzabile attività gestoria tipica della medesima qualifica (e non necessariamente di tutti i poteri ad essa correlati: Sez. 5, n. 2514 del 04/12/2023, dep. 2024, Commodaro, Rv. 285881-01; Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, COGNOME, Rv. 256534-01; Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014, dep. 2015, Rv. 264009-01; Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838-01, in motivazione). Insomma, sintomatico del menzionato ruolo, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, è l’espletamento di poteri gestionali apicali, esercitati in ambito aziendale e produttivo, ovvero in ambito amministrativo o, ancora, in ambito contrattuale o disciplinare (ancora Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, COGNOME, Rv. 256534-01; analogamente Sez. 3, n. 42147 del 15/07/2019, Reale, Rv. 277984-01 e Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Rv. 277540-01), specie laddove si impegni economicamente, e in modo non esiguo, l’impresa.
Nella specie, i giudici di merito hanno valorizzato una serie di elementi che non possono affatto dirsi viziati da manifesta illogicità, da contraddittorietà o da carenze e che, correttamente, hanno ritenuto denotassero inequivocabilmente la qualifica di amministratori di fatto in capo a ll’ imputato.
La Corte di appello, nel confermare la decisione di primo grado, ha ricostruito il ruolo del COGNOME valorizzando una pluralità di elementi probatori: a) le dichiarazioni del coimputato COGNOME, che ha riferito come la gestione effettiva della società fosse interamente nelle mani del COGNOME; b) la deposizione del rappresentante della RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE NOME), fornitrice della fallita, sui costanti rapporti commerciali intrattenuti con il COGNOME, che si era occupato delle trattative, almeno fino a maggio-giugno 2011 (epoca in cui questi aveva detto che si sarebbe allontanato un po’ da Firenze, lasciando la gestione al COGNOME); c) le parole di COGNOME NOME, sull’acquisto, nel 2009, per oltre 50.000,00
euro, di carni dalla fallita, sempre trattando il prezzo con il COGNOME, che lo aveva anche riscosso (spiegando, poi, di aver denunciato l’emissione di fatture a suo carico per un ammontare di molto superiore agli acquisti effettivi); d) le dichiarazioni di COGNOME NOME, agente di commercio, che aveva promosso vendite, circa “una volta a settimana”, per la fallita, ricevendo disposizioni indifferentemente dal COGNOME o dal COGNOME; e) il rinvenimento, nel corso di perquisizione, del portafoglio dell’imp utato presso i locali della società (non altrimenti spiegato e nonostante il suo assunto allontanamento); f) la circostanza che la RAGIONE_SOCIALE aveva rappresentato la continuazione – per clientela, luogo di svolgimento dell’attività, oggetto sociale e persone coinvolte – della società RAGIONE_SOCIALE, certamente gestita dal COGNOME (essendo costituita dalla moglie), a sua volta oggetto di indagine per fatture false.
La Corte territoriale ha ritenuto che tali elementi, tra loro convergenti e coerenti, fossero idonei a provare la gestione di fatto della fallita, da parte del ricorrente, e configurassero un esercizio continuativo e significativo di poteri gestori, idoneo a integrare la figura di amministratore di fatto.
Come detto, ciò è conforme alla assolutamente pacifica giurisprudenza di questa Corte, laddove parte ricorrente sostanzialmente sollecita, peraltro in modo del tutto generico (senza, cioè, nemmeno provare ad argomentare in relazione ai detti elementi ritenuti decisivi dal giudice d’appello), una nuova valutazione dei fatti, inammissibile in questa sede.
Invero, va qui ribadito che, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è possibile, in questa sede, esaminare il rapporto tra motivazione e decisione, non certo tra prove e decisione, essendo la valutazione del compendio probatorio riservata al giudice di merito: non potendosi, du nque, chiedere l’adesione a un’ipotesi alternativa, ancorché plausibile come quella sposata nel provvedimento impugnato. Sono, pertanto, ammissibili solo censure per omissioni motivazionali, contraddizioni o illogicità manifeste e decisive: laddove, cioè, la ricostruzione proposta dal ricorrente sia inconfutabile e l’unica plausibile (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944-01; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205621-01; Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rv. 285504-01; Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, Rv. 278609-01), e non rappresenti solo un’ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, Rv. 280589-02).
Anche il travisamento della prova -la valorizzazione di un dato inesistente o l’omessa valutazione di uno esistente, in quanto il relativo contenuto testuale (“significante”), e non la sua interpretazione (“significato”), sia erroneamente riportato -può essere oggetto di valutazione in questa sede solo se comprometta
in modo decisivo la tenuta logica della motivazione (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, Rv. 281085-01; Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, Rv. 274816-07; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Rv. 249035-01).
Nel caso di specie, la generica indicazione di una sentenza favorevole in sede civile, come detto, non consente, in radice, alcuna valutazione di fondatezza del vizio dedotto.
Tanto più, poi, in ragione della motivazione della sentenza d’appello, sopra riassunta e in sé esente da vizi.
Quanto, infine, alla violazione della regola della condanna penale solo oltre ogni ragionevole dubbio, la censura mira anch’essa ad una nuova delibazione di merito sul compendio probatorio, inibita in questa sede, senza individuare specifiche lacune, illogicità manifeste o travisamenti decisivi.
La doglianza secondo cui la Corte territoriale avrebbe violato l’art. 533 cod. proc. pen. non tiene conto della natura del controllo demandato alla Corte di cassazione. La giurisprudenza ha chiarito che l’introduzione del principio dell’oltre ogni ragionev ole dubbio non ha mutato l’ambito del sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza: la deduzione, in sede di ricorso, di possibili ricostruzioni alternative del fatto non integra vizio di motivazione quando tali alternative siano state esaminate e razionalmente escluse dal giudice di merito (Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, dep. 2024, Rv. 285801-01).
Nel caso di specie, come detto, la Corte d’appello ha dato conto delle ragioni per cui le dichiarazioni del coimputato e dei testimoni, unitamente agli altri elementi suddetti, consentono di escludere la fondatezza della tesi difensiva e di affermare, invece, la responsabilità del ricorrente al di là di ogni ragionevole dubbio. Come detto, ha altresì confutato le tesi difensive, spiegando perché il ruolo del COGNOME non fosse quello limitato qui affermato.
Si tratta di argomentazioni congrue, non censurabili in questa sede e, come già evidenziato, di fatto contestate in modo generico, senza alcun reale confronto con la motivazione censurata.
Inammissibile è pure la doglianza sul mancato riconoscimento della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all’art. 219, comma 3, l. fall.
Infatti, la questione non era stata proposta con l’atto di appello, nonostante fosse già prospettabile. Essa non rientra tra le questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado, trattandosi di attenuante discrezionale che presuppone specifica deduzione difensiva.
È noto, infatti, che, ex artt. 606, comma 3, e 609, comma 2, cod. proc. pen.,
non possono essere dedotte in Cassazione questioni non sollevate coi motivi di appello, tranne che siano rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e non necessitino di accertamenti di fatto o si tratti di questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello (perché, ad esempio, prospettate per la prima volta proprio nel provvedimento impugnato in Cassazione): se così non fosse, sarebbe invero inevitabile l’annullamento del provvedimento a causa di un altrettanto inevitabile, da parte del giudice a quo , difetto di motivazione su una questione sottratta -in ipotesi, anche in modo strumentale -alla sua cognizione, non essendogli stata devoluta (così, tra le tante, Sez. 2, n. 26721 del 26/04/2023, Rv. 284768-02 e Sez. 2, n. 29707 dell’08/03/2017, Rv. 270316 -01).
Dunque, la deduzione per la prima volta in cassazione della questione già deducibile in appello rende la stessa inammissibile.
Per completezza, si rileva anche la manifesta infondatezza dell’assunto.
Il COGNOME è stato condannato anche per aver falsificato o comunque tenuto ‘i libri e le altre scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o il movimento degli affari in quanto venivano contabilizzate nelle scrittur e contabili fatture per operazioni inesistenti per oltre 800 mila euro’, ‘così facendo risultare un attivo di bilancio non veritiero’, ‘allo scopo di recare a sé un ingiusto profitto in quanto grazie a tale contabilità che faceva apparire falsamente un con siderevole giro d’affari’, ottenendo ‘anticipi su fatture da istituti bancari per 301.175,59 euro’ ed effettuando ‘acquisti dl beni e servizi indebitandosi per oltre un milione di euro’.
Va allora considerato il pacifico principio secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili non consente l’applicazione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, prevista dall’art. 219, comma 3, legge fall., qualora, rendendo impossibile la ricostruzione dei fatti di gestione dell’impresa fallita, impedisca la stessa dimostrazione del danno causato alla massa creditoria in seguito all’incidenza che le condotte integranti il reato hanno avuto sulla possibilità di esercitare le azioni revocatorie e le altre azioni poste a tutela degli interessi creditori (Sez. 5, n. 25034 del 16/03/2023, Cecere, Rv. 284943-01, in una fattispecie, analoga alla presente, in cui la Corte ha escluso che il danno causato fosse particolarmente tenue in ragione dell’elevato ammontare del passivo accertato, che lasciava intendere che le dimensioni dell’impresa non erano contenute; confronta, negli stessi termini, tra le tante, Sez. 5, n. 7888 del 03/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275345-01 e Sez. 5, n. 17351 del 02/03/2015, COGNOME, Rv. 263676-01).
Insomma, la censura si rivela, ancora una volta, del tutto generica, nel momento in cui pretende di ancorare l’attenuante del danno patrimoniale di
speciale tenuità al solo valore economico oggetto di distrazione, senza confrontarsi anche con i restanti dati rilevanti, a partire dalla consumazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale (in tal senso, di recente, Sez. 5, Sentenza n. 17295 del 9/4/2025, non massimata).
4. Anche il quarto motivo è inammissibile.
In ordine al diniego delle attenuanti generiche, sfugge al sindacato di legittimità, se sorretta da motivazione non manifestamente illogica o arbitraria, bensì aderente ai criteri legali, in primis quelli di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., la valutazione sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549-02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269-01; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Rv. 270986-01), che ben può essere congruamente motivato con l’assenza di elementi di segno positivo (tanto che non rileva più, ex art. 62bis , comma 3, cod. pen., l’incensuratezza dell’imputato: Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986-01; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489-01) ovvero sulla base di singole ragioni ostative ritenute preponderanti dal giudice del merito, non sindacabili in sede di legittimità, se non contraddittorie o incongrue, neppure quando non vi sia lo specifico apprezzamento di ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419-01; così pure Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, Rv. 27550903, in motivazione).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha motivato compiutamente il diniego, da un lato per l’assenza di ragioni meritorie, dall’altro, ad abundantiam , delineando la negatività della personalità del ricorrente, già condannato più volte, in precedenza, per fatti analoghi e, comunque, resosi responsabile di condotte di particolare offensività, abbandonando la società dopo aver accumulato ingenti debiti (superiori al milione di euro) che ne rendevano imminente la decozione.
Tali argomentazioni sono congrue e insindacabili in sede di legittimità, essendo, come detto, del tutto irrilevante che in sede civile sia stata esclusa la responsabilità del ricorrente, non essendo, questo, di certo, un fattore che ‘attenua’ la gravità delle condotte accertate in sede penale.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. , alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria, a favore della cassa delle ammende, nella misura in dispositivo, congrua in rapporto alle ragioni dell’inammissibilità ed all’attività processuale che la stessa ha determinato, valutata la colpa nella determinazione
della stessa causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così è deciso, 29/09/2025
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME