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Amministratore di fatto: la responsabilità penale

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per bancarotta documentale a carico di un ex amministratore. La sentenza sottolinea che, per affermare la responsabilità di chi ha formalmente lasciato la carica, non basta presumere che la cessione delle quote a un nuovo soggetto fosse fittizia. È necessario fornire la prova concreta che l’imputato abbia continuato a operare come amministratore di fatto, esercitando un potere gestionale effettivo sulla società. La Corte ha rinviato il caso per un nuovo esame che si attenga a questo principio.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di Fatto: Quando l’Ex Dirigente Risponde della Bancarotta?

La figura dell’amministratore di fatto è cruciale nel diritto penale societario, specialmente nei reati di bancarotta. Chi gestisce un’impresa nell’ombra, senza una carica formale, può essere ritenuto responsabile al pari di un amministratore di diritto. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 786/2024) torna su questo tema, chiarendo i requisiti necessari per attribuire la responsabilità penale a un ex amministratore. Vediamo insieme il caso e i principi affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Un imprenditore, ex amministratore di diritto di una S.r.l., veniva condannato per bancarotta documentale impropria. L’accusa era di aver soppresso la contabilità della società, poi fallita. La sua difesa si basava su un punto cruciale: al momento della presunta sparizione dei documenti, egli aveva già ceduto le quote e la carica di amministratore a un’altra persona.

Tuttavia, secondo i giudici di merito, questa successione era puramente formale. Il nuovo amministratore era stato considerato un mero prestanome, un soggetto nullatenente e disinteressato alla gestione, tanto da non aver mai nemmeno visionato la documentazione contabile. Sulla base di questi elementi, l’ex amministratore era stato ritenuto il reale dominus della società, e quindi un amministratore di fatto, responsabile per la sorte delle scritture contabili.

Il Percorso Giudiziario e il Ruolo dell’Amministratore di Fatto

Il caso aveva già raggiunto la Cassazione in una precedente occasione. La Suprema Corte aveva annullato la prima condanna, stabilendo un principio di diritto chiaro per il successivo giudizio d’appello (il cosiddetto ‘vincolo di rinvio’).

Il giudice del rinvio avrebbe dovuto dimostrare, con prove concrete, che l’ex amministratore avesse continuato a svolgere funzioni gestorie anche dopo la sua uscita formale dalla società, oppure che avesse istigato o concordato con il successore l’occultamento della contabilità. In altre parole, non era sufficiente sospettare che fosse rimasto il gestore occulto; bisognava provarlo.

L’Errore della Corte d’Appello nel Giudizio di Rinvio

Nonostante le precise indicazioni, la Corte d’Appello, nel nuovo giudizio, ha confermato la condanna basandosi su un ragionamento deduttivo. Ha concentrato la sua motivazione sull’incapacità del nuovo amministratore e sulla natura simulata della cessione, concludendo che, se il successore era una ‘testa di legno’, allora il precedente amministratore doveva essere per forza l’amministratore di fatto.

Questo approccio, secondo la Cassazione, è errato. Si è limitato a un sillogismo logico senza indagare e provare gli specifici atti di gestione che l’imputato avrebbe compiuto nel periodo successivo alla sua cessazione dalla carica.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha annullato nuovamente la decisione, ribadendo con forza il suo precedente orientamento. Per affermare la responsabilità penale di un amministratore di fatto, non è sufficiente una prova logica o presuntiva derivante dall’inadeguatezza del successore. L’accusa deve fornire elementi concreti che dimostrino un’ingerenza attiva e continuativa nella gestione aziendale.

Il reato di bancarotta documentale è un ‘reato proprio’, che può essere commesso solo da chi riveste la qualifica di amministratore (di diritto o di fatto). Un ex amministratore non risponde per ciò che accade dopo la sua uscita, a meno che non si provi che:
1. Ha continuato a gestire la società come amministratore di fatto.
2. Ha concorso, come soggetto esterno (‘extraneus’), nel reato commesso dal nuovo amministratore.

La motivazione della Corte d’Appello è stata giudicata insufficiente perché non ha dimostrato nessuno di questi due scenari, basandosi unicamente su un’implicita prova logica che l’iniziativa della cessione di quote a un soggetto inattivo fosse finalizzata a ‘procrastinare il fallimento’. Mancava l’anello fondamentale: la prova dell’effettivo potere gestorio esercitato dall’imputato nel periodo rilevante.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio di garanzia fondamentale: le responsabilità penali non possono basarsi su deduzioni o sillogismi, ma richiedono prove concrete e specifiche. Per condannare un ex dirigente come amministratore di fatto, è indispensabile dimostrare il suo ruolo attivo nella gestione post-cessione. Un semplice sospetto che egli sia il ‘burattinaio’ dietro un prestanome non è sufficiente a fondare una sentenza di colpevolezza. Il caso torna ora a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio che, questa volta, dovrà inderogabilmente cercare e valutare le prove di una gestione effettiva.

Un ex amministratore può essere ritenuto responsabile per la bancarotta documentale avvenuta dopo la sua uscita dalla società?
Sì, ma solo a condizione che venga provato con elementi concreti che egli abbia continuato a gestire la società come ‘amministratore di fatto’ oppure che abbia concorso con il nuovo amministratore nell’occultamento o nella distruzione della contabilità.

Cosa deve provare l’accusa per dimostrare il ruolo di amministratore di fatto?
L’accusa deve fornire prove concrete di atti di gestione continui e significativi svolti dalla persona in questione anche dopo la cessazione della carica formale. Non è sufficiente dedurre questo ruolo dall’incapacità del successore o dalla natura apparentemente fittizia della cessione di quote.

In questo caso specifico, perché la Cassazione ha annullato la condanna?
La Cassazione ha annullato la condanna perché la Corte d’Appello ha violato il principio di diritto stabilito in un precedente rinvio. Invece di provare l’effettiva attività gestoria dell’imputato, ha basato la condanna su un sillogismo deduttivo (il successore era un prestanome, quindi l’imputato era il vero gestore), ritenuto una motivazione insufficiente e illogica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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