Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 18733 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 18733 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 24/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D’NOME COGNOME nato a MONTORO INFERIORE il 31/01/1959
avverso la sentenza del 15/07/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi i difensori, avvocato NOME COGNOME e avvocato COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del Tribunale di Avellino in data 27 settembre 2016, NOME COGNOME Ł stato ritenuto responsabile del reato di bancarotta patrimoniale per avere, in concorso con NOME COGNOME, amministratore unico, NOME COGNOME, presidente del collegio sindacale, NOME COGNOME e NOME COGNOME membri del collegio sindacale, della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita dal Tribunale di Avellino con sentenza del 23/11/2006, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori e recare ingiusto profitto a sØ o altri, distratto beni e ricavi attraverso la cessione di carburante alla RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE e attraverso l’impiego di suoi dipendenti in favore della RAGIONE_SOCIALE nel corso degli anni 2003 e 2004 senza corrispettivo alcuno e così sottraendo risorse e attività alle ragioni dei creditori della RAGIONE_SOCIALE e al contempo determinando un indebito arricchimento alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, riconducibili allo stesso COGNOME e a NOME COGNOME.
Per tali fatti Ł stato condannato alla pena di anni cinque di reclusione, ritenendo sussistente anche la circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità e applicando le pene accessorie.
Avverso tale sentenza era stato proposto appello dal difensore di COGNOME ma la Corte di appello di Napoli con sentenza in data 23/02/2021 aveva ritenuto inammissibile il mezzo di impugnazione per aspecificità.
Con sentenza in data 15/11/2022 la Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte di appello e ha disposto nuovo giudizio perchØ venissero esaminati i motivi di appello che erano stati ritenuti erroneamente inammissibili.
Con sentenza in data 15/07/2024, a seguito di nuovo giudizio, la Corte di appello di Napoli ha confermato per quanto di interesse la sentenza di primo grado, modificandone le statuizioni solo con riferimento alle pene accessorie che venivano ridotte ad anni cinque.
Avverso questa sentenza COGNOME ha proposto ricorso per cassazione.
2. Nel ricorso la difesa di COGNOME ha articolato otto motivi.
2.1 Con il primo denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme di cui deve tenersi conto nell’applicazione della legge penale; inosservanza dell’art. 521 cod. proc. pen. e omessa motivazione su un punto decisivo.
La difesa aveva lamentato la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. perchØ COGNOME era stato ritenuto colpevole per un fatto diverso da quello contestato; nell’imputazione a lui si fa riferimento come amministratore della RAGIONE_SOCIALE, mentre era stato condannato per il suo ruolo di co-gestore di fatto della RAGIONE_SOCIALE e come comproprietario della RAGIONE_SOCIALE. e quelli descritti dal giudice di primo grado dovevano considerarsi ruoli e condotte diverse da quelle descritte nell’imputazione e dalle quali egli doveva difendersi.
La difesa censurava ora le statuizioni della Corte di appello che aveva ritenuto implicitamente contestato attraverso il richiamo alle società collegate un ruolo gestorio del D’COGNOME.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta ancora inosservanza della legge penale o di altre norme di cui deve tenersi conto nell’applicazione della legge penale, nonchŁ inosservanza dell’art. 521 in relazione all’art. 517 cod. proc. pen.
La Corte di appello aveva motivato il rigetto della censura riguardo la difformità tra fatto contestato e fatto ritenuto, sostanzialmente riconoscendo che la qualità di co-gestore di fatto del COGNOME era emersa solo dopo l’espletamento dell’attività istruttoria. Tale fatto avrebbe dovuto dare luogo all’applicazione dell’art. 517 cod. proc. pen., essendo emerso un fatto diverso o ulteriore, connesso a quello contestato, che avrebbe dovuto essere contestato dal pubblico ministero nel corso del giudizio.
Il non avere dato corso all’applicazione dell’art. 517 cod. proc. pen. produceva un vizio che, secondo la difesa, inficiava la sentenza impugnata.
2.3 Con il terzo motivo il ricorrente denuncia inosservanza dell’art. 2639 cod. civ. e motivazione illogica e contraddittoria con travisamento della prova.
La Corte di appello si Ł basata sulle valutazioni del curatore fallimentare e ha concluso che la qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE in capo a COGNOME si doveva ricavare dal fatto che egli, attraverso altre società da lui costituite, aveva provveduto ad approvvigionarsi di carburante commissionato e fatturato dalla RAGIONE_SOCIALE ed a servirsi degli operai di questa società senza pagarne il corrispettivo. Tuttavia mentre il Tribunale di Avellino aveva ritenuto COGNOME un concorrente esterno alla compagine che aveva agevolato le condotte distrattive dell’amministratore della società, invece la Corte di appello lo aveva considerato inserito nel tessuto sociale addirittura occupandone i vertici.
Il ricorrente ritiene che, quando nelle loro dichiarazioni NOME COGNOME e NOME COGNOME affermano che di tutto si occupava COGNOME, si riferiscono alla gestione della RAGIONE_SOCIALE e alle altre società in cui erano partecipi insieme a COGNOME. Riprendendo quindi le dichiarazioni di altri testi sostiene che non vi Ł certezza che il carburante fosse attinto dai serbatoi della RAGIONE_SOCIALE e che era
piø logico ritenere che i camion della RAGIONE_SOCIALE facessero riferimento proprio alla sede operativa di tale società; lamenta che le dichiarazioni del teste NOME COGNOME fornitore del carburante, sono state ritenute compiacenti senza addurre alcun riscontro a tale affermazione e che le dichiarazioni dei soci-dipendenti sull’utilizzo della mano d’opera dovevano essere vagliate con cautela perchØ rese in assenza di alcuna garanzia difensiva.
NOME COGNOME, amministratore di diritto della fallita RAGIONE_SOCIALE, aveva indicato COGNOME come socio occulto, ruolo del tutto incompatibile con quello dell’amministratore di fatto.
Sulla base di tutti questi elementi la difesa ritiene che non vi fossero gli elementi per estendere al COGNOME il ruolo di amministratore di fatto della società fallita.
2.4 Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza dell’art. 40 cod. pen. e l’erronea applicazione degli artt. 216, 219 legge fallimentare e 2639 cod. civ.
Manca la prova del nesso di causalità tra le passività determinate dal mancato azionamento del credito vantato verso la RAGIONE_SOCIALE e la 2D, tenuto conto del fatto che il credito ammonterebbe a circa 150.000,00 euro mentre l’esposizione debitoria Ł pari ad un milione di euro.
COGNOME era uscito dalla RAGIONE_SOCIALE sin dal settembre 2003 e poi era anche uscito dalla RAGIONE_SOCIALE nel gennaio 2004.
2.5 Con il quinto motivo la difesa lamenta l’inosservanza dell’art. 62-bis cod. pen., nonchØ l’omessa, apparente o comunque insufficiente motivazione, essendosi la Corte limitata esclusivamente ad affermare l’insufficienza dell’incensuratezza per giustificare la concessione del beneficio, quando invece la nuova formulazione in questo dell’art. 62-bis cod. pen. deriva da un intervento riformatore (d.l. 23/05/2008 n. 92, convertito in legge 24/07/2008 n, 125), che non poteva trovare applicazione a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore.
NØ poteva considerarsi degna di pregio la considerazione in fatto relativa al comportamento processuale neutro.
Inoltre la ritenuta aggravante del danno di rilevante gravità era stata illogicamente motivata perchØ non era stato fatto alcun preciso calcolo dell’ammontare del danno prodotto alla condotta di COGNOME; ricorreva anche in questo caso una violazione dell’art. 521 cod. proc. pen, poichØ la sentenza parla di una cifra superiore al milione di euro mentre Ł diversa nell’imputazione la quantificazione del carburante acquisto e delle prestazioni lavorative sottratte alla società fallite.
2.6 Con il sesto motivo si lamenta l’erronea applicazione dell’art. 219, primo comma, legge fallimentare con riguardo alla circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità e con le considerazioni già sopra richiamate in ordine alla violazione dell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen., poichØ l’imputazione indica solo il valore dei beni distratti (pari a circa 140.000,00 euro), mentre i giudici di merito hanno calcolato un danno di oltre un milione di euro.
2.7 Con il settimo motivo si censura l’erronea applicazione dell’art. 219, terzo comma, legge fallimentare, perchØ i giudici di merito hanno negato l’attenuante prevista dalla norma facendo riferimento all’entità del passivo fallimentare, mentre la concedibilità della stessa va valutata in relazione all’entità della distrazione.
2.8 Con l’ottavo motivo si deduce l’erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen. e l’omessa motivazione sulla scelta di applicare una sanzione superiore ai limiti edittali.
Il difensore di COGNOME ha poi depositato motivi aggiunti, con i quali ha approfondito gli argomenti proposti nel ricorso, ribadendo le censure di erronea applicazione dell’art. 521 cod. proc. pen.
Ha precisato altresì con riguardo al quarto motivo che il riferimento all’art. 2639 cod. civ. doveva considerarsi un mero refuso, volendo invece la difesa indicare l’art. 2634 cod. civ. e volendo così lamentare la mancata riqualificazione della condotta di COGNOME in reato societario di infedeltà
patrimoniale.
Questa censura, oggetto dell’appello, era stata respinta dalla Corte in ragione della già piø volte evidenziata incertezza sui ruoli effettivamente assunti dal COGNOME che, secondo la Corte, non avrebbe agito per creare un danno alla società ma a terzi.
Ha ulteriormente approfondito anche gli altri motivi di ricorso.
In sede di discussione orale, il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. I difensori dell’imputato hanno insistito nei motivi della loro impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł infondato.
Con il primo motivo si ripropone un’eccezione già formulata dinanzi al giudice di appello e respinta con motivazione che il ricorrente ritiene inosservante della legge processuale, in particolare dell’art. 521 cod. proc. pen., e in ogni caso omessa su un punto decisivo.
Occorre ricordare che a NOME COGNOME Ł contestato di avere concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale della RAGIONE_SOCIALE società cooperativa di RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita dal Tribunale di Avellino con sentenza in data 23/11/2006.
Secondo i giudici di merito, nella prospettiva assunta dalla sentenza di primo grado e condivisa da quella di secondo grado, egli era stato ritenuto concorrente nel reato commesso dai coimputati che avevano assunto nel tempo il ruolo di amministratore unico e quello di componenti del collegio sindacale della RAGIONE_SOCIALE, poi fallita, perchØ quale comproprietario della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, società collegate con la RAGIONE_SOCIALE, e contestualmente quale comproprietario ed amministratore di altra società, la RAGIONE_SOCIALE aveva dirottato beni e risorse della fallita a favore di tali enti.
La sua condotta era stata integrata nell’esercizio di un ruolo gestorio di fatto, che i giudici di merito ammettevano essere non esplicitamente indicato dall’imputazione, ma che era comunque ricavabile per implicito dalla complessiva descrizione della vicenda in essa contenuto.
La difesa lamenta che i giudici di merito avevano aderito ad un orientamento sconfessato dai giudici di legittimità che in materia di aggravanti aveva escluso la legittimità della mera contestazione in fatto, perchØ la qualificazione di tutti gli elementi della condotta doveva essere prevedibile a garanzia dell’imputato.
La qualità di COGNOME, indicata nell’imputazione, Ł solo quella di amministratore della “RAGIONE_SOCIALE‘ mentre i giudici dell’appello lo avevano ritenuto responsabile per condotte che lo vedevano operare come co-gestore di fatto della RAGIONE_SOCIALE e come comproprietario della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE; avrebbero così ritenuto un fatto diverso da quello contestato.
2.1 La censura Ł infondata.
La difesa richiama un risalente orientamento che riguarda in particolare la prevedibilità dell’applicazione di circostanze aggravanti non espressamente descritte o contestate in imputazione (orientamento peraltro ampiamente superato in tempi recenti; proprio sulla contestazione in fatto di aggravante ad effetto speciale si veda da ultimo Sez. 5, n. 46979 del 11/11/2024, C., Rv. 287325 01), ma questo Collegio intende dare continuità alla linea interpretativa dell’art. 521 cod. proc. pen. piø condivisa e appropriata per le condizioni processuali che ricorrono nel caso di specie.
In un precedente di questa Corte si Ł affermato che «non integra violazione del principio di correlazione tra il reato contestato e quello ritenuto in sentenza (art. 521 cod. proc. pen.), la
decisione con la quale un soggetto venga condannato per bancarotta fraudolenta nella qualità di socio amministratore di fatto, anzichØ quale amministratore unico di diritto, qualora rimanga immutata l’azione distrattiva ascrittagli» (Sez. 5, n. 36155 del 30/04/2019, COGNOME, Rv. 276779 – 01).
Peraltro nella sentenza in esame in piø parti della motivazione i giudici di merito hanno ricostruito le condotte di ingerenza del COGNOME nella gestione della società fallita, di cui peraltro era stato socio e dalla quale era uscito, secondo le risultanze congruamente apprezzate nella sentenza impugnata, per operare nelle società che avevano poi beneficiato delle distrazioni oggetto dell’imputazione.
2.2 L’imputazione nel descrivere la condotta dei concorrenti così si esprime: «ed in particolare: distraevano e/o dissipavano attività per un ammontare presunto di almeno euro 139.753,70 attraverso la cessione di carburante alla RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE nel corso degli anni 2003 2004 senza alcun corrispettivo, perseguendo ed ottenendo lo scopo, con tale cessione, di sottrarre risorse e attività alle ragioni dei creditori della RAGIONE_SOCIALE e, contestualmente, determinando un arricchimento di cui ha indebitamente beneficiato la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, società collegate e riconducibili a COGNOME NOME e a NOME COGNOME, distraevano e/o dissipavano attività per un ammontare presunto di almeno euro 94.900,00 attraverso l’impiego di dipendenti della RAGIONE_SOCIALE nel corso degli anni 2003 e 2004 senza alcun corrispettivo, perseguendo e ottenendo lo scopo, con tale cessione, di sottrarre risorse e/o attività alle ragioni dei creditori della RAGIONE_SOCIALE e contestualmente determinando un arricchimento di cui ha indebitamente beneficiato la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, società collegate e riconducibili a NOME e NOME COGNOME.
Le condotte così descritte vedono direttamente protagonista il COGNOME nello svolgimento di continuative attività distrattive di cui Ł indicato come beneficiario, nella qualità di titolare delle società di fatto collegate alla fallita, ma di cui viene anche sottolineato il ruolo di concorrente; ruolo che nell’esame degli elementi di prova messi a disposizione delle parti si staglia anche con i connotati non del mero consenziente beneficiario ma del complice regista.
Ne dà ampiamente conto la sentenza di primo grado, nella quale alla pagina 13 si conclude la valutazione degli elementi acquisiti in istruttoria affermando che «non può sussistere alcun dubbio che la distrazione dei beni sociali sia stata operata dalla COGNOME e dal COGNOME di concerto con gli amministratori della società, emergendo tale circostanza sia dal contesto di cointeressenza tra i soggetti coinvolti, tutti i soci della RAGIONE_SOCIALE e delle altre società che si sono avvantaggiate dei beni sociali, sia dall’aumento esponenziale del passivo accumulato dalla RAGIONE_SOCIALE nel corso dei suoi pochi anni di vita, proprio a causa del deliberato depauperamento posto in essere dai quattro soggetti coinvolti, sia dall’utilizzo delle medesime sedi operative delle altre due società che rappresenta, con plastica evidenza, natura di mero schermo societario assunta dalla cooperativa per volontà dei loro soci fondatori, oggi imputati».
La sentenza impugnata ricostruisce i fatti, sostanzialmente confermando la prospettiva delineata dal giudice di primo grado laddove afferma, con riguardo alla posizione di COGNOME, che «ciò che gli viene contestato, e per cui Ł stato condannato, Ł il concorso con gli amministratori di diritto della fallita attraverso le indicate condotte, essendone co-gestore di fatto, veste nella quale, unitamente ai coimputati, aveva costituito la società poi fallita, come mero schermo societario a favore delle altre società che gli appartenevano, in tutto (2D) o in parte (RAGIONE_SOCIALE)» (pag. 13 della sentenza della Corte di appello).
2.3 Il contributo dell’odierno ricorrente si innesta, dunque, in questa ricostruzione che individua in una serie continuata di condotte distrattive, mirate e concordate tra soggetti che rivestivano ruoli di diritto nella società fallita e altri, come COGNOME in particolare, che non vi rivestivano ruoli formali, ma tutti a vario titolo che si adoperavano per concepirle, agevolarle, eseguirle ed acquisirne i
vantaggi; sicchŁ non può dirsi che la mancata esplicitazione di una posizione di fatto o di diritto nella formulazione del capo di imputazione consenta di ravvisare gli estremi della violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
NØ può assumere rilevanza la distinzione che, secondo il ricorrente, si rileverebbe tra la qualificazione della condotta di COGNOME, effettuata dal Tribunale di Avellino, quale «concorrente estraneo terzo» e quella contenuta nella sentenza della Corte di appello napoletana, quale «cogestore di fatto di RAGIONE_SOCIALE», consistendo tale differenza – a fronte della sovrapponibile ricostruzione fattuale – in variazioni nominalistiche senza specifiche vocazioni classificatorie, caratterizzate esse sì piuttosto che la descrizione contenuta nel capo di imputazione – dall’obiettivo di illustrare le modalità attraverso le quali si Ł realizzato in concreto il concorso del ricorrente.
Ma c’Ł di piø. Il cenno al ruolo gestorio del ricorrente – quale emergerebbe dall’istruttoria dibattimentale – mira a replicare al motivo di appello secondo il quale sarebbe illogica una distrazione a favore del COGNOME, in presenza di un conflitto di interessi con gli altri soggetti coinvolti nella vicenda (v. motivo di appello riportato a pag. 7 della sentenza impugnata). In questa prospettiva possono anche leggersi le considerazioni di pag. 13 della medesima sentenza, che, peraltro, servono anche consapevolmente ad illuminare la finalità fraudolenta perseguita.
Di contro non poteva ravvisarsi alcuna necessità di piø specifica descrizione nell’imputazione, visto che, per un verso, «ai fini dell’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto, può essere valorizzato l’esercizio, in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione o anche soltanto di alcuni di essi, ipotesi, quest’ultima, in cui spetta al giudice di merito valutare la pregnanza, ai fini dell’attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati» (Sez. 2, n. 36556 del 24/05/2022, Desiata, Rv. 283850 – 01; sulla stessa linea in tema di estensione delle fattispecie contestate anche ai gestori di fatto, Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, dep. 2021, Rv. 280550 – 03); e visto che, per altro verso, «per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, sicchØ l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchØ, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione Ł del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione» (Sez. 3, n. 24932 del 10/02/2023, Gargano, Rv. 284846 – 04).
La doglianza, pertanto, non merita accoglimento.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza dell’art. 527 in relazione all’art. 517 cod. proc. pen., poichØ la qualità di comproprietario del D’Amore della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE era emersa nel corso dell’istruttoria e non era indicata nel capo di imputazione; pertanto, tale nuovo fatto avrebbe dovuto dar luogo ad una contestazione formulata nelle forme previste dall’art. 517 cod. proc. pen., in quanto relativa a reato connesso ai sensi dell’art. 12, comma 1 lett. b), cod. proc. pen.
Orbene, richiamati gli argomenti esposti nel precedente paragrafo in ordine della completa sovrapponibilità del fatto accertato a quello contestato, tale censura risulta comunque inammissibile per difetto di interesse.
Non Ł l’imputato che può dolersi della mancata contestazione di un ulteriore reato rispetto a quello per il quale Ł stato già condannato.
Del pari inammissibile, ma per altre diverse ragioni, Ł il terzo motivo.
4.1 Si deduce che i giudici di merito avrebbero violato l’art. 2639 cod. civ., ritenendo l’imputato co-gestore di fatto della società fallita, in forza della circostanza che egli, attraverso altre società da lui costituite, provvedeva ad approvvigionarsi di carburante commissionato e fatturato dalla RAGIONE_SOCIALE ed a servirsi degli operai di questa società senza pagarne il corrispettivo, mentre dalle dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME emergeva che COGNOME dal mese di agosto 2003 aveva cessato di interessarsi della società.
Le censure formulate sul punto dalla difesa si risolvono tuttavia, per un verso, in una mera riproposizione degli argomenti già spesi (e qui confutati) sulla difformità tra chiesto e pronunciato e, per altro verso, in una richiesta di rivalutare nel merito gli esiti dell’istruttoria, senza individuare vere e proprie lacune motivazionali nØ profili di illogicità nella ricostruzione.
Quanto alla doglianza relativa all’errata applicazione dell’art. 2639 cod. civ., che comunque costituisce richiamo normativo non decisivo visto che l’imputazione non descrive un’ipotesi di bancarotta fraudolenta da reato societario, va ricordato per completezza che la giurisprudenza di legittimità, anche con riferimento a questa ipotesi, ha affermato che «la qualifica di amministratore di fatto di una società non richiede l’esercizio di tutti i poteri tipici dell’organo di gestione, essendo necessaria e sufficiente una significativa e continua attività gestoria o cogestoria, svolta in modo non episodico o occasionale, anche solo in specifici settori, pur se non interessati dalle condotte illecite, tale da fornire indici sintomatici dell’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus”, nell’assetto societario» (Sez. 5, n. 2514 del 04/12/2023, dep. 2024, Commodaro, Rv. 285881 – 01).
4.2 In ordine alla ricostruzione in fatto dell’esercizio dell’attività cogestoria, la motivazione appare lineare, immune da vizi logici e in essa gli argomenti si agganciano saldamente agli elementi di prova, mentre il ricorrente propone un’alternativa interpretazione delle affermazioni di COGNOME e COGNOME, che sarebbero orientati ad addossare al COGNOME‘COGNOME tutte le responsabilità, ventila genericamente possibilità alternative di ricostruzione dei fatti rispetto alle modalità di approvvigionamento del carburante da parte della ‘2D’, riporta le dichiarazioni di NOME COGNOME già specificamente apprezzate e considerate ragionevolmente sospette dai giudici di merito (e con le quali tuttavia – ad ogni buon conto – si ha comunque conferma del fatto che COGNOME faceva a lui ordini per la Logitech e scaricava il carburante alla ‘2D’).
Le altre censure sono relative alla mancata considerazione da parte della Corte territoriale di alcuni profili delle dichiarazioni di NOME riguardo l’attingimento di carburante presso i serbatoi esistenti nei capannoni di Solofra; alla scarsa cautela dei giudici di merito nel valutare le dichiarazioni rese dai soci-dipendenti della RAGIONE_SOCIALE quanto all’utilizzo della mano d’opera, potendo gli stessi essere portatori di un interesse perchØ titolari di crediti non pagati; alla contraddittorietà del quadro probatorio che deriverebbe dalle dichiarazioni del coimputato NOME COGNOME amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE, il quale ha indicato COGNOME come socio occulto, e da quelle della Tolini, la quale ha riferito del continuo defilarsi di COGNOME quando c’era da impegnarsi per la società.
Si tratta di profili che incidono su aspetti della ricostruzione del merito, peraltro marginali, che non intaccano il solido fondamento dell’accertata posizione di diretta incidenza dell’operato del COGNOME nel progressivo depauperamento della società; basta sul punto ricordare come nella sentenza impugnata con snodi logici lineari e congruenti si sottolinei che il ruolo di fatto del ricorrente, comunque definito in concreto in relazione alle singole emergenze (socio occulto, cogestore, colui che faceva gli ordini di carburante, colui che dava direttive ai lavoratori), Ł riferito da tutte le fonti e come i profili critici, segnalati dalla difesa, sono stati tenuti ben presenti dai giudici di merito, che li hanno superati con un’esplicita valutazione, ritenendoli ininfluenti sull’attendibilità della ricostruzione, anche alla luce delle precise conferme ricavabili dall’elaborato del consulente tecnico
d’ufficio COGNOME ampiamente riportate e valutate alle pagine 29 e seguenti della sentenza impugnata.
Anche sulla tesi difensiva che vedrebbe il COGNOME assente dalla cogestione e anzi in conflitto con altri coimputati negli anni immediatamente precedenti il fallimento, la Corte territoriale, avvalendosi di una serie di elementi derivanti dalle fonti testimoniali e dagli elaborati tecnici, ha formulato logiche considerazioni che hanno già ampiamente confutato tale prospettazione.
Ha in particolare accertato – e sul punto non vi Ł alcuna censura da parte del ricorrente – che i rapporti conflittuali erano insorti solo con alcuni degli ex soci in affari, coimputati divenuti anche suoi accusatori (e dei quali la difesa ritiene si sarebbe dovuto diffidare), e solo successivamente al compimento delle attività distrattive che precedettero di qualche anno (2003-2004) la declaratoria di fallimento (2006). Pertanto con percorso immune da vizi logici la Corte territoriale ha concluso che «la caduta dei rapporti subentrata nel 2004 per le ragioni da piø parti illustrate, (in sostanza il COGNOME aveva fagocitato tutti i benefici derivanti dall’attività di impresa senza sostenere costi) non ha alcuna incidenza circa gli accordi intercorsi tra gestori di diritto e gestori di fatto nello svuotamento delle casse societarie, fatto appunto verificatosi precedentemente» (pag. 29 della sentenza impugnata).
Con il quarto motivo si lamenta l’inosservanza dell’art. 40 cod. pen. e l’erronea applicazione degli artt. 216, 219 legge fallimentare e 2639 cod. civ., perchØ manca la prova del nesso di causalità tra le passività determinate dal mancato azionamento del credito vantato verso la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, tenuto conto del fatto che il credito ammonterebbe a circa 150.000,00 euro, mentre l’esposizione debitoria Ł pari ad un milione di euro, e che COGNOME era uscito dalla RAGIONE_SOCIALE sin dal settembre 2003 e poi era anche uscito dalla RAGIONE_SOCIALE nel gennaio 2004, quindi non avrebbe potuto contribuire a tali condotte.
5.1 Occorre in proposito ricordare che con motivo aggiunto la difesa ha inteso precisare che il riferimento all’art. 2639 cod. civ. doveva considerarsi un mero refuso, volendosi invece indicare l’art. 2634 cod. civ. e volendo così lamentare la mancata riqualificazione della condotta di COGNOME in reato societario di infedeltà patrimoniale; riqualificazione che era stata richiesta ai giudici di merito nel corso del giudizio.
Anche questa censura deve considerarsi inammissibile, perchØ – pur tenendo conto in aggiunta della successiva precisazione in ordine al riferimento all’art. 2639 cod. civ. – finisce per riproporre una valutazione alternativa degli elementi volta a sminuire il ruolo di cogestione del COGNOME, che comunque Ł proseguito quando le risorse venivano dirottate al difuori dell’assetto patrimoniale destinato a formare la garanzia generica in favore dei creditori.
Va inoltre osservato che gli argomenti difensivi si discostano dalla condivisa natura di reato di pericolo del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione (vedi da ultimo Sez. 5, n. 26164 del 25/03/2024, Rv. 286777 – 01) e segue un principio smentito dalla piø autorevole giurisprudenza di legittimità («Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non Ł necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività» (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266804 – 01).
5.2 Quanto alla richiesta di riqualificare la condotta ascritta nella fattispecie di cui all’art. 2634 cod. civ. essa contrasta con la ricostruzione della vicenda, dalla quale emerge che le risorse distratte dalla fallita sono andate ad esclusivo beneficio di altre società nemmeno formalmente organizzate in gruppo societario (Ł il consulente tecnico d’ufficio COGNOME, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, che individua di fatto una politica gestoria da gruppo di fatto).
E come si afferma costantemente in giurisprudenza, «in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, i vantaggi compensativi, conseguiti o fondatamente prevedibili, di cui all’art. 2634, comma terzo, cod. civ., idonei ad escludere la natura distrattiva di un’operazione infra-gruppo, devono presentare i requisiti di certezza, congruità e proporzionalità ed essere di valore almeno equivalente al sacrificio economico inizialmente sopportato dalla società fallita» (Sez. 5, n. 42570 del 22/10/2024, Santacroce, Rv. 287233 – 01).
PoichØ «in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la natura distrattiva di un’operazione infra-gruppo può essere esclusa in presenza di vantaggi compensativi che riequilibrino gli effetti immediatamente negativi per la società fallita e neutralizzino gli svantaggi per i creditori sociali» (Sez. 1, n. 18333 del 01/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284537 – 01), non essendo stati dedotti elementi che dimostrino la neutralizzazione dei suddetti svantaggi, la riqualificazione della condotta Ł stata correttamente negata.
6.1 Pure inammissibile Ł il quinto motivo, che lamenta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e critica l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale l’incensuratezza Ł per legge insufficiente.
6.1.1 La difesa in particolare segnala che il reato, perfezionatosi con la sentenza dichiarativa di fallimento, si Ł consumato il 23/11/2006, epoca in cui non era in vigore alcuna disposizione che riteneva insufficiente l’incensuratezza per la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
La giurisprudenza di legittimità ha, in effetti, sul punto affermato che «la previsione di cui all’art. all’art. 62 bis , comma terzo, cod. pen. (introdotta dall’art. 1 lett. fbis della legge n. 125 del 2008) per la quale l’assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle attenuanti generiche – non Ł applicabile ai reati commessi anteriormente alla sua entrata in vigore, trattandosi di disposizione aggravatrice del trattamento sanzionatorio» (Sez. 5, n. 13072 del 28/02/2014, P.g. in proc. COGNOME, Rv. 260576 – 01; Sez. 1, n. 23014 del 19/05/2009, P.g. in proc. COGNOME, Rv. 244121 – 01; Sez. 6, n. 10646 del 11/02/2009, P.g. in proc. COGNOME, Rv. 242921 – 01)
Ma, come si legge in diversi altri precedenti, «il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62bis , disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non Ł piø sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato» (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986 – 01; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610 – 01).
Si evidenzia così che, se con la riforma dell’art. 62bis Ł stata introdotta una preclusione che impedisce al giudice di limitarsi a prendere atto dell’incensuratezza per fondare la sua decisione di concedere le circostanze attenuanti generiche, con il quadro normativo preesistente, in presenza della sola incensuratezza quale elemento favorevole per l’imputato, il giudice ben poteva motivare circa la sua insufficienza per giustificare la concessione del beneficio.
L’innovazione era significativa poichØ i precedenti orientamenti giurisprudenziali avevano orientato l’applicazione dell’art. 62-bis cod. pen. verso una presunzione di meritevolezza del beneficio in favore dell’imputato incensuratezza, qualora non fossero elementi negativi a carico di quest’ultimo.
Tuttavia anche in assenza di tale innovazione il giudice del merito poteva formulare un autonomo apprezzamento e considerare l’incensuratezza nel caso concreto insufficiente in assenza di altri elementi; purchŁ sul punto motivasse adeguatamente.
6.1.2 Se la giurisprudenza formatasi con il nuovo testo dell’art. 62-bis cod. pen. richiede concreti elementi positivi a favore dell’imputato per fondare il giudizio di meritevolezza delle circostanze attenuanti generiche, tanto che il giudice, dopo averne constatato l’assenza, non Ł tenuto nemmeno a motivare sulla mancata concessione del beneficio (tra le tante, sez. 4, n. 32872 dell’08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01), la Corte territoriale nel presente giudizio, pur avendo richiamato implicitamente o esplicitamente, il testo normativo non applicabile perchØ in vigore da epoca successiva ai fatti, non si Ł limitata a constatare l’assenza di elementi ulteriori rispetto all’incensuratezza ma ha comunque evidenziato la particolare gravità della condotta, sintomatica di un’inclinazione a delinquere, pericolosa comunque, anche se espressa da soggetto incensurato, e ha aggiunto – con considerazioni sul punto incontrastate dal ricorso – che l’istruttoria non aveva dato compiuta dimostrazione di ulteriori obiettive emergenze favorevoli, tale non potendo essere il mero leale comportamento processuale.
La difesa si limita a criticare la sentenza perchØ non ha motivato in base ad elementi specifici il diniego delle circostanze attenuanti generiche, così sostanzialmente invertendo la prospettiva che si ricava dalla disposizione di legge, dalla quale invece deriva semmai una «presunzione di non meritevolezza»; ma, anche nel regime previgente, l’incensuratezza poteva essere, con adeguato apprezzamento di merito, considerata insufficiente a giustificare l’applicazione dell’art. 62-bis cod. pen.
6.1.3 Se, a seguito della riforma dell’art. 62-bis cod. pen., Ł richiesto al giudice uno specifico obbligo motivazionale solo quando ritiene di concedere tali attenuanti o quando Ł chiamato a valutare una specifica richiesta della difesa, purchŁ non generica (Sez. 3, n. 35570 del 30/05/2017, Rv. 270694 – 01); d’altro canto nel sistema previgente, con un’autonoma ed esaustiva motivazione, il giudice di merito poteva ritenere insufficiente il dato dell’incensuratezza se questo gli veniva dedotto come unico elemento e non ve ne erano altri favorevoli, mentre se ne potevano rilevare di sfavorevoli e negativi.
E i giudici di merito hanno compiutamente evidenziato l’incompatibilità del beneficio con una condotta protratta nel tempo, diffusiva negli effetti pregiudizievoli in relazione ai debiti verso l’erario, verso i fornitori e verso i dipendenti, sottolineando che le dimensioni del danno provocato e l’essere stato il reato concorsualmente commesso comportavano un rilevante allarme sociale. In relazione a queste considerazioni, i giudici di merito hanno valorizzato in senso negativo il fatto che, a fronte del pregiudizio diffusamente arrecato, l’imputato non avesse nemmeno avviato qualche iniziativa per limitare o riparare il danno arrecato e che nessun altro segnale di resipiscenza egli avesse mostrato.
La difesa sostiene che tali elementi non potevano essere addotti a fondamento del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, ma ne argomenta la valenza neutra, disancorandole dal quadro complessivo di valutazione, ampio e logicamente disegnato, della motivazione della sentenza impugnato.
Gli argomenti difensivi, pertanto, sono inammissibili sia perchØ propongono una rivalutazione nel merito degli elementi, già valutati dalla Corte territoriale, sia perchØ non si confrontano con la logica trama della loro lettura combinata e di sintesi offertane dai giudici di merito e li parcellizzano, come se non fossero da incastonare in un quadro piø generale.
6.2 Va invece rigettata la censura congiuntamente proposta e poi articolata piø diffusamente con il sesto motivo, relativa all’aggravante di cui all’art. 219, primo comma, legge fallimentare, ritenuta dai giudici di merito senza che, ad avviso del ricorrente, sia indicato a quanto ammonta il danno di rilevante gravità.
In disparte il rilievo relativo alla stessa sussistenza di una doglianza sul punto nel primo atto di gravame, Ł assorbente la considerazione per la quale il capo di imputazione richiama il valore delle risorse economiche distratte e le commisura nella assai cospicua somma di euro 139.753,70; ciò
detto, basterà ricordare che «in tema di reati fallimentari, ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 219, primo comma, legge fall., l’entità del danno provocato dai fatti configuranti bancarotta patrimoniale va commisurata al valore complessivo dei beni che sono stati sottratti all’esecuzione concorsuale, piuttosto che al pregiudizio sofferto da ciascun partecipante al piano di riparto dell’attivo, indipendentemente dalla relazione con l’importo globale del passivo» (Sez. 1, n. 28009 del 10/04/2024, COGNOME, Rv. 286675 – 01).
Infondata Ł la censura contenuta nel settimo motivo relativa all’inosservanza dell’art. 219, terzo comma, legge fallimentare, e con la quale il ricorrente lamenta che la Corte territoriale aveva motivato il diniego dell’attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale avendo riguardo all’entità del passivo fallimentare.
E infatti tutti questi riferimenti si accompagnano comunque all’accertamento dell’importo distratto, sopra piø volte ricordato, che, raggiungendo la misura di 139.753,70, non può certamente considerarsi tenue e che di conseguenza esclude la possibilità di concedere l’attenuante richiesta (Sez. 5, n. 52057 del 26/11/2019, COGNOME, Rv. 277658 – 01).
L’ottavo e ultimo motivo Ł del tutto generico nel dolersi della mancata motivazione della commisurazione della sanzione inflitta, visto che la Corte territoriale ha calcolato la pena in anni cinque di reclusione considerando la gravità del fatto e del pericolo arrecato ai creditori, l’elevata forbice edittale applicabile, la prossimità al minimo della misura prescelta (la pena minima pari a tre anni di reclusione avrebbe dovuto comunque essere aumentata per le aggravanti contestate e nel risultante quadro sanzionatorio il limite massimo della forbice diveniva pari a quindici anni di reclusione) e la necessità di applicare un aumento adeguato e proporzionato non solo alla già richiamata gravità dell’illecito (art. 133 n. 2 cod. pen.), ma soprattutto al ruolo di particolare intensa influenza dell’operato dell’imputato nella realizzazione delle condotte illecite accertate (art. 133 nn. 1 e 3 cod. pen.).
Nonostante vada comunque ricordato che «nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125, comma 3, cod.proc.pen., anche ove adoperi espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo» (Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, COGNOME, Rv. 237402 – 01), la motivazione della sentenza impugnata va ben oltre indicando sinteticamente ma precisamente i parametri ai quali la determinazione della sanzione Ł agganciata.
Non vi Ł pertanto alcuna omessa motivazione e le argomentazioni proposte dalla difesa finiscono per risultare meramente controvalutative.
Il ricorso deve essere quindi respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 24/01/2025.
Il Consigliere estensore
Il Presidente