Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29867 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29867 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 28/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Bussolengo il 01/06/1969 avverso la sentenza del 06/06/2024 della Corte d’appello di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Presidente; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso, udito per l’imputato l’avv. NOME COGNOME che ha eccepito la prescrizione dei reati revoca della confisca e in subordine l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza del 6 giugno 2024, la Corte d’appello di Venezia in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Verona, ha dichiarato non doversi procedere in relazione ai capi b), d), g), e j) perché estinti per prescrizio ed ha rideterminato la pena inflitta all’imputato nella misura di anni due, mesi quattro di reclusione, in relazione ai reati di cui ai capi c), e) ed f) e rido confisca per equivalente fino ad € 2.252.360,04.
L’imputato è stato condannato in relazione al reato di cui agli artt. 110 cod.pen. e art. 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, (capo c), artt. 110 cod.pen. e art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capi e) ed f) perché quale amministratore di fatto della ditta RAGIONE_SOCIALE, al fine di consentire a terzi l’evasione dell’imposta sul valo
aggiunto, emetteva, nel corso del 2013, n. 28 fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, nonché nella medesima qualità, al fine di evadere le imposte sul valore aggiunto, non presentava la dichiarazione annuale Iva con riferimento ai periodi di imposta 2012 e 2013.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo denuncia vizio di motivazione per inutilizzabilità del processo verbale di constatazione e delle acquisizioni tributarie ex 220 cod.proc.pen. ai fini della decisione. La Corte territoriale pur riconoscendo il valore di atto investigativo al processo verbale di constatazione, ai sensi dell’articolo 22 disp.att. cod.proc.pen. con tutte le conseguenze in termini di garanzie difensive, avrebbe ritenuto che la prova della colpevolezza dell’imputato non fosse fondata sull’acquisizione del pvc, quanto piuttosto sulle dichiarazioni rese dai testi particolare dai funzionari della Guardia di Finanza e dal teste COGNOME. Tale motivazione sarebbe carente laddove non si sarebbe confrontata con l’eccezione di inutilizzabilità del processo verbale di constatazione nella parte valutativa, aperta violazione col disposto di cui all’articolo 526 cod.proc.pen., in un contesto nel quale la difesa si era sempre opposta all’acquisizione del processo verbale al fascicolo del dibattimento, acquisizione avvenuta ai sensi dell’art. 234 cod.proc.pen. limitatamente ai dati irripetibili, mentre il giudice avrebbe utilizz l’intero contenuto.
La sentenza impugnata non avrebbe neppure risposto alla eccepita inutilizzabilità delle testimonianze, ai sensi dell’articolo 195 comma cod.proc.pen., delle due funzionarie escusse nella parte in cui avevano riferito sulle dichiarazioni apprese da persone informate sui fatti in sede di processo verbale di constatazione. In definitiva, ove non fosse stato utilizzato il processo verbale d constatazione e non fossero state utilizzate le dichiarazioni de relato dell funzionarie, la responsabilità dell’imputato non sarebbe emersa.
2.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla qualifica di amministratore di fatto delle società in capo al ricorrente in assenza d prova dell’esercizio continuativo dei poteri gestori in capo all’imputato.
2.3. Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla configurabilità del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti relazione al capo C).
La Corte territoriale avrebbe fondato la affermazione di responsabilità sulla base di mere congetture seguendo la ricostruzione operata dal giudice di primo grado che aveva in astratto descritto il sistema delle frodi a carosello, che non sarebbe configurabile nell’ipotesi in esame semplicemente perché le due società
coinvolte, in autonomia e senza alcun accordo illecito con gli altri operatori de mercato, non operavano la dichiarazione annuale dell’imposta sul valore aggiunto e non versavano gli importi iva all’erario ottenendo perciò un risparmio di spesa, ma non erano in accordo con la società utilizzatrice, osservando che, contrariamente a quanto riportato in sentenza, la merce era stata effettivamente rilevata all’interno dei magazzini di Roma e Prato delle società acquirenti, dimostrando così l’effettiva esistenza dell’operazione sia sotto il profilo oggettiv e soggettivo, non essendo emerso peraltro, come capita in questi casi, la restituzione delle somme dalle società utilizzatrici in capo all’emittente la fattu per operazione soggettivamente inesistente.
2.4. Con il quarto motivo deduce la carenza di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
2.5. Con il quinto motivo deduce la violazione di legge in relazione all’art. 12 bis d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 e vizio di motivazione in relazione alla omessa motivazione circa l’impossibilità di procedere a confisca diretta e in relazione all’individuazione dell’ammontare dell’imposta evasa che avrebbe ripercussioni sulla determinazione del profitto.
2.6. Con il sesto pronuncia dell’estinzione del reato di cui al capo e), art. d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, commesso il 30/09/2013 perché estinto per prescrizione in epoca antecedente alla sentenza in data 19/04/2024.
Il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, essendo stato affidato a motivi integralmente riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corret argomenti giuridici dai giudici del merito e privi di autentico confronto critico c la motivazione del provvedimento impugnato, oltre che fondati sulla prospettazione di enunciati ermeneutici in contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità ed anche manifestamente infondato.
Il primo motivo di ricorso mediante il quale deduce profili di violazione di legge in relazione all’artt. 220 disp. att. cod.proc.pen. e 234 cod.proc.pen. e vizio di motivazione risulta, sotto tutti, i profili manifestamente infondato e anc privo di confronto specifico con la ratio decidendi.
Con riferimento alla violazione di cui all’articolo 220 disp. att. cod.proc.pen la corte territoriale ha richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la violazione dell’art. 220 disp.att. cod. proc. pen. n determina automaticamente l’inutilizzabilità dei risultati probatori acquisi nell’ambito di attività ispettive o di vigilanza, ma è necessario che l’inutilizzabi o la nullità dell’atto sia autonomamente prevista dalle norme del codice di rito a
cui l’art. 220 disp. att. rimanda (Sez. 3, n. 6594 del 26/10/2016, COGNOME, Rv 269299), rilevando, nel caso concreto, che la censura era generica non avendo indicato il ricorrente, come era suo preciso onere, quale parte del verbale sarebbe colpito dalla inutilizzabilità e sarebbe stato utilizzato per la decisione. soprattutto, non si confronta Il ricorrente, da cui la genericità del ricorso, con decisione impugnata che ha ritenuto dimostrata la colpevolezza dell’imputato sulla scorta delle dichiarazioni rese dai testimoni funzionari della Agenzia delle entrate e dal teste COGNOMEamministratore di diritto della società President società coinvolta in frodi a carosello di cui al capo G) dichiarato prescritto, vedi infra), sulle acquisizioni documentali, ai sensi dell’art. 234 cod.proc.pen., del PVC e degli atti di interlocuzione con le A.G. estere, mentre era stata esclusa l’utilizzabilità del dichiarazioni rese dall’imputato in seno all’attività ispettiva.
Quanto alla dedotta violazione di cui all’art. 195 comma 4 cod.proc.pen., ne rileva il Collegio, la manifesta infondatezza e genericità.
Premesso che i funzionari dell’Agenzia delle Entrate non sono, di per sé, agenti di polizia giudiziaria, ma possono svolgere funzioni di polizia tributaria ch includono attività di indagine e accertamento in materia fiscale, e che ciò che rileva è il tipo di attività svolta, la censura appare del tutto generica là dove argoment l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalle funzionarie COGNOME e COGNOME su circostanze dichiarate dai testi COGNOME e COGNOME senza alcuna specificazione della veste assunta da costoro, del loro contenuto e, soprattutto, della rilevanza per il giudizio di responsabilità penale a carico del ricorrente. Né h diversa l’ulteriore censura di violazione di legge in relazione all’art. 1 comma 1 cod.proc.pen., qualora le funzionarie dell’Agenzia delle entrate siano state sentite in qualità di testimoni, posto che la difesa non ha allegato di aver richiesto, come prevede il disposto normativo, l’audizione dei testimoni diretti.
6. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché contrario al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità.
Sotto un primo profilo, la censura svolta nel motivo di appello secondo cui l’amministratore di fatto non può rispondere, quale autore, dei reati tributari quanto reati propri contestabili al solo contribuente è manifestamente infondata alla luce del consolidato principio secondo cui nei reati tributari l’amministrato di fatto risponde quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestio sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l’azione dovuta, mentre l’amministratore di diritto, quale mero prestanome, è responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento, a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 38780 del 14/05/2015, COGNOME, Rv. 264971 – 01; Sez. 2, n. 8632 del 22/12/2020, Rv. 280723 – 01).
Quanto al riconoscimento in capo al COGNOME della figura dell’amministratore di fatto, la censura, in parte versata in fatto e diretta a richiedere una rivalutazi
del dato probatorio, non si confronta con gli elementi, indicati dai giudici d merito, significativi dell’esercizio del potere gestorio in capo al ricorrente.
Le conformi sentenze di merito hanno accertato che NOME era un prestanome, che il ricorrente era titolare di delega ad operare sul conto della ditta il commercialista ha dichiarato che a lui si era rivolto il COGNOME per le pratich apertura della ditta e per un certo tempo aveva tenuto la contabilità. Significativo del ruolo gestorio del ricorrente è stato, secondo i giudici del merito, ritrovamento e il sequestro nella sua abitazione del timbro recante la dicitura New Style di NOME, nonché documentazioni di società estere, tra cui alcune costituite in Romania, e altra intestata alla President, oltre ad altri 9 timbri rec le intestazioni di diverse società ed, infine, rinvenimento di email intercorse tr l’imputato e personale della COGNOME RAGIONE_SOCIALE in merito ai bonifici per il pagamento di merce acquistata dalla RAGIONE_SOCIALE. Le conformi sentenze di merito hanno enucleato quegli elementi significativi per ritenere dimostrato il ruolo gestorio COGNOME in seno alla ditta RAGIONE_SOCIALE, secondo i criteri stabiliti dall’art. 2639, civ. individuando la presenza di elementi sintomatici come reiteratamente espressi dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277540 – 01; Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014, COGNOME, Rv. 264009-01, in relazione ai reati tributari, e Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, COGNOME, Rv. 246534-01). In ogni caso, mette conto rilevare, il Collegio, che il ricorrente era risultato esse pienamente coinvolto nel sistema di frodi a carosello, anche tramite altre società dallo stesso gestite di fatto, per cui trova applicazione il principio di diritto sec cui in tema di reati tributari, la prova della posizione di amministratore di fatt una società “schermo”, priva di reale autonomia e costituita per essere utilizzata come “cartiera” in un meccanismo fiscalmente fraudolento volto a evadere le imposte, si traduce in quella del ruolo di ideatore e organizzatore del suddetto sistema fraudolento, atteso che non è ipotizzabile l’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico in un ente solo formalmente operante (Sez. 3, n. 20052 del 14/04/2022, COGNOME, Rv. 283202 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
7. Il terzo motivo di ricorso che contesta l’affermazione della responsabilità penale in relazione al reato di cui all’art. 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, capo C), i relazione all’emissione di n. 28 fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, che riproduce la medesima censura già devoluta senza sostanziale critica alla decisione, è manifestamente infondato. La corte territoriale con motivazione adeguata e logica, ha ritenuto dimostrata l’inesistenza soggettiva delle prestazioni indicate nelle 28 fatture emesse a favore della COGNOME RAGIONE_SOCIALE in quanto artatamente create per la realizzazione di frodi a carosello in quanto la New style si interponeva nella compravendita tra due soggetti, che effettivamente effettuavano la vendita (cfr. pag. 7). La ritenuta inesistenza soggettiva dell
fatture in questione rende del tutto irrilevante la circostanza che la merce venne rivenuta nei magazzini in quanto ciò che viene contestato è il soggetto giuridico diverso che ha effettuato la prestazione.
Il quarto motivo di ricorso che deduce la carenza di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è inammissibile.
È ormai pacifico, nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, come non possa formare oggetto di ricorso per Cassazione il ricorso con cui si deduca il vizio di motivazione a fronte di un motivo generico nell’atto di appello, poiché i motiv generici restano viziati da inammissibilità originaria anche quando la decisione del giudice dell’impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione (Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, Botta, Rv. 262700). Nel caso in esame, il ricorrente nell’atto di appello censurava il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche indicando, a fronte della motivazione del giudice di primo grado che escludeva la mitigazione del trattamento sanzionatorio in ragione dell’assenza di elementi positivi di valutazione e dell’assenza di condotte riparatorie/risarcitorie, quale elemento di valutazione, il generico “comportamento processuale” e lo stato di incensuratezza che difettano di specificità in ragione delle motivazione sul diniego.
Il quinto motivi di ricorso che censura la confisca del profitto del reato manifestamente infondato.
La confisca per equivalente è stata mantenuta, per effetto della dichiarazione di prescrizione di alcuni reati, in relazione ai reati di cui ai capi e f) – art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 – e ridotta nel suo ammontare pari a C 2.252.360,04, quale profitto del reato tributario di omessa dichiarazione, pari all somma dell’imposta evasa di C 1.528.263,23 per il capo e) e C 724.096,80 per il capo f).
La corte territoriale, contrariamente all’assunto difensivo, ha correttamente individuato il profitto, nel mancato versamento dell’imposta, il suo ammontare pari all’imposta evasa e i reati per i quali la confisca è stata disposta.
Il sesto motivo di ricorso con cui si eccepisce la prescrizione del reato di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 di cui al capo e), prima della sentenz impugnata, sul presupposto che la data di consumazione del reato debba essere individuata nel 20/09/2013 e non il 27/12/2013, è manifestamente infondato.
A tale riguardo richiama la sentenza n. 25421 del 2021 di Questa Corte di cassazione, secondo cui il termine di cui al comma 2 dell’art. 5 decreto legislativo 74 del 2000 non costituisce uno slittamento del termine di prescrizione della dichiarazione, che rimane quello previsto dalla legge, ma introduce una causa di non punibilità per l’ipotesi nelle quali il contribuente presenti la dichiarazi tardivamente, ma entro al termine di cui al citato comma due.
Con orientamento risalente e mai smentito, questa Corte di legittimità ha affermato che il momento consumativo del delitto di omessa presentazione della dichiarazione, di cui all’art. 5, comma 1, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, va fissato alla scadenza del termine dilatorio di novanta giorni concesso al contribuente, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del medesimo decreto, per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario (Sez. 3, n. 19196 del 24/02/2017, COGNOME, Rv. 269635 – 01; Sez. 3, n. 36387 del 12/06/2019, COGNOME, Rv. 276884 – 01).
Con la pronuncia n. 18196 del 2017, si è chiarito che il termine dilatorio di novanta giorni, concesso al contribuente – ai sensi dell’art. 5, comma secondo, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario-, non si configura quale elemento di una causa di non punibilità, ma costituisce un termine ulteriore per adempiere all’obbligo dichiarativo, e per individuare il momento consumativo del reato di omessa dichiarazione previsto al comma primo del citato art. 5; detto termine è quindi privo di valenza scriminante nei confronti di chi, alla scadenza del termine ordinario, era tenuto a presentare la dichiarazione e non ha assolto a tale obbligo entro il successi 90 giorni.
Contrariamente alla prospettazione difensiva, che non ha pregio, l’espressione “non si considera omessa”, utilizzata dal legislatore, fa ritenere che, fino alla scadenza del novantesimo giorno, non solo non sorge la “punibilità” (come, ad esempio, prevede in maniera espressa l’art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463 del 1983 in relazione al reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali), ma difetta un’omissione” penalmente rilevante.
In altri termini, ai sensi del combinato disposto dei commi 1 e 1,bis e 2 dell’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, la tipicità dell’omissione prende corpo solo a scadere dell’ulteriore termine dei novanta giorni successivi all’originario termin tributario (Sez. 3, n. 36387 del 12/06/2019, COGNOME, Rv. 276884 – 01).
La citata pronuncia n. 25421 del 2021, richiamata dal ricorrente, non si pone in dissenso da tale indirizzo, in quanto va letta nel senso che il secondo comma dell’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 prevede una causa di non punibilità nel caso la relativa dichiarazione sia presentata entro 90 giorni dal termine fissato per legge, con la conseguente corretta collocazione della consumazione del reato, secondo l’indirizzo sopra citato, allorquando nel termine del periodo dilatorio non sia stata presentata, come nel caso in esame, la dichiarazione fiscale.
Al termine ordinario di prescrizione secondo gli artt. 157-161 cod.pen. e 17 del d.lvo n. 74 del 2000, fissato in anni dieci decorrenti dal 27/12/2014, occorre aggiungere il periodo di sospensione del corso della prescrizione di giorni 397, sicchè il reato di cui al capo e) si è prescritto il 30/01/2025, dopo la senten impugnata.
Va ricordato che, nella consolidata interpretazione di questa Corte, un ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per
altra ragione, “non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibili
a norma dell’art. 129 c.p.p.” (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, COGNOME
Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, COGNOME, Rv 217266; Sez. 4, n. 18641
del 20/01/2004, COGNOME) cosicché è preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturato dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello (Sez. 5, n.
15599 del 19/11/2014, COGNOME, Rv. 263119).
11. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616
cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata
in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso il 28/05/2025