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Amministratore di fatto: la prova e la Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15329/2025, conferma la condanna per bancarotta di un amministratore di fatto. La Corte ribadisce che per provare tale qualifica è sufficiente un’attività gestoria significativa e continua, non l’esercizio di tutti i poteri. Viene inoltre sottolineato che il giudizio di Cassazione non può riesaminare nel merito le prove, ma solo verificare la correttezza giuridica della decisione impugnata.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di Fatto e Bancarotta: La Cassazione Traccia i Confini della Prova

La figura dell’amministratore di fatto è centrale nel diritto penale societario, poiché permette di attribuire responsabilità gestorie anche a chi opera senza una carica ufficiale. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata sul tema, chiarendo sia i criteri per l’accertamento di tale ruolo, sia i limiti invalicabili del proprio giudizio di legittimità. La decisione offre spunti fondamentali per comprendere come la giustizia identifichi chi gestisce realmente un’impresa, al di là delle apparenze formali.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Milano, la quale aveva confermato una condanna di primo grado per i reati di bancarotta da operazioni dolose e bancarotta fraudolenta documentale. L’imputato sosteneva di essere estraneo alla gestione della società fallita, contestando la propria qualifica di amministratore di fatto. Il ricorso si fondava su due motivi principali: l’erronea valutazione delle prove testimoniali, ritenute illogiche, e la mancanza di elementi concreti che dimostrassero un suo effettivo ruolo gestorio.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, rigettando entrambe le censure sollevate dalla difesa. La decisione si articola su due pilastri argomentativi distinti, uno di natura processuale e l’altro di carattere sostanziale, che rafforzano principi consolidati della giurisprudenza.

Le Motivazioni: I Limiti del Giudizio di Legittimità

In primo luogo, la Corte ha ribadito con fermezza la propria funzione. Il giudizio di Cassazione è un giudizio ‘di legittimità’, non di merito. Ciò significa che la Corte non può procedere a una nuova e diversa valutazione delle prove, come le testimonianze. È preclusa ai giudici di legittimità una ‘rilettura’ degli elementi di fatto che sono stati posti a fondamento della decisione dai giudici dei gradi precedenti.

La valutazione delle prove è, per sua natura, riservata in via esclusiva al giudice di merito. Proporre una diversa interpretazione delle risultanze processuali, per quanto plausibile, non integra un vizio di legittimità, ma si traduce in una inammissibile richiesta di un nuovo giudizio di fatto. Su questo punto, la Corte ha richiamato una solida giurisprudenza, sottolineando come l’autonoma adozione di nuovi parametri di ricostruzione dei fatti sia estranea ai suoi poteri.

Le Motivazioni: La Prova della Qualifica di Amministratore di Fatto

Sul secondo motivo, relativo alla qualifica di amministratore di fatto, la Corte ha ritenuto la censura infondata perché la Corte d’Appello aveva motivato adeguatamente la propria decisione. I giudici di legittimità hanno chiarito che, per riconoscere un soggetto come amministratore di fatto, non è necessario provare l’esercizio di tutti i poteri tipici dell’organo di gestione.

È invece sufficiente dimostrare ‘una significativa e continua attività gestoria svolta in modo non occasionale’. La prova di tale posizione non si basa sulla verifica di singoli atti formali, ma sull’accertamento di ‘elementi sintomatici’ che rivelino l’inserimento organico del soggetto nella vita decisionale e operativa della società. Nel caso specifico, la Corte di merito aveva correttamente valorizzato i dati indicativi della qualità di amministratore di fatto in capo al ricorrente, applicando in modo corretto i principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre due importanti conclusioni pratiche. Da un lato, conferma la difficoltà di contestare in sede di Cassazione l’accertamento dei fatti operato nei gradi di merito, a meno che non emerga un vizio di motivazione palesemente illogico o contraddittorio. Dall’altro lato, delinea con chiarezza i contorni probatori della figura dell’amministratore di fatto: non conta la forma, ma la sostanza di un’ingerenza gestoria continuativa e rilevante. Chiunque eserciti di fatto poteri direttivi, anche senza una carica formale, sarà considerato tale ai fini della responsabilità penale per i reati societari.

Cosa significa essere un amministratore di fatto secondo la Cassazione?
Significa esercitare in modo significativo e continuo un’attività gestoria all’interno di una società, anche senza una nomina formale. Non è necessario dimostrare l’esercizio di tutti i poteri tipici di un amministratore di diritto.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove e le testimonianze di un processo?
No, la Corte di Cassazione svolge un giudizio di legittimità e non di merito. Non può quindi ‘rileggere’ gli elementi di fatto o rivalutare le prove, come le testimonianze, poiché tale compito è riservato esclusivamente ai giudici dei gradi precedenti (Tribunale e Corte d’Appello).

Quali sono gli elementi sufficienti per provare la posizione di amministratore di fatto?
La prova si basa sull’accertamento di elementi sintomatici che dimostrino l’inserimento organico della persona nella gestione della società. È sufficiente una continua e significativa attività gestoria, svolta in modo non occasionale, per affermarne la responsabilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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