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Amministratore di fatto: la prova della gestione

La Corte di Cassazione ha confermato le condanne per bancarotta fraudolenta a carico di diversi imputati, tra cui un amministratore di fatto. La sentenza chiarisce che per provare il ruolo di gestore occulto sono sufficienti elementi sintomatici del suo inserimento organico nella gestione aziendale, anche senza l’esercizio di tutti i poteri tipici. Inoltre, la Corte ha stabilito che il giudice d’appello non ha l’obbligo, a pena di nullità, di attivare d’ufficio la procedura per le pene sostitutive quando la pena detentiva scende sotto i quattro anni solo a seguito della sentenza di secondo grado.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

L’Amministratore di Fatto nella Bancarotta: La Cassazione Fa Chiarezza

Identificare il vero responsabile dietro il fallimento di un’azienda è cruciale. Spesso, la figura chiave non è chi appare nei documenti ufficiali, ma un amministratore di fatto, colui che muove le fila dietro le quinte. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 13298/2025, offre importanti chiarimenti su come la giustizia provi questo ruolo e sulle conseguenze procedurali, in particolare riguardo l’applicazione delle pene sostitutive. Analizziamo insieme questo caso complesso di bancarotta fraudolenta.

I Fatti: La Spoliazione Sistematica di Due Società

La vicenda riguarda il fallimento di due società, avvenuto tra il 2013 e il 2014, che erano state oggetto di una deliberata operazione di spoliazione. Originariamente sane, le società sono state cedute a un nuovo gruppo imprenditoriale che, invece di risanarle, ha sistematicamente prosciugato le loro risorse.

Le condotte illecite includevano:
* Prelievi ingiustificati: Somme ingenti sono state prelevate dai conti correnti aziendali senza alcuna giustificazione contabile.
* Contratti svantaggiosi: È stato stipulato un contratto di affitto di ramo d’azienda a un canone palesemente incongruo e sottostimato, di fatto privando una delle società dei suoi beni strumentali e condannandola all’inattività.
* Mancato pagamento dei debiti: I nuovi gestori non hanno onorato i debiti preesistenti, inclusi leasing e stipendi dei dipendenti, aggravando la situazione finanziaria fino al collasso.

Il Ruolo dell’Amministratore di Fatto e la Decisione della Corte

Uno degli imputati principali ha contestato la sua condanna sostenendo di non aver mai avuto un ruolo gestionale, ma di essere stato un semplice consulente commercialista. La Corte di Cassazione ha rigettato questa tesi. Per i giudici, non è necessario dimostrare che l’amministratore di fatto abbia esercitato tutti i poteri di un amministratore di diritto. È sufficiente provare il suo inserimento organico nella vita aziendale con funzioni direttive.

Nel caso specifico, le prove decisive sono state:
* Testimonianze: I precedenti proprietari e un dipendente hanno confermato che l’imputato partecipava attivamente alle riunioni, anche sindacali, gestiva le finanze e trattava con i fornitori.
* Protagonismo nelle trattative: L’imputato era stato una figura centrale sin dalle fasi iniziali della cessione delle società.

La Corte ha quindi ribadito un principio fondamentale: la responsabilità penale si basa sulla sostanza del ruolo svolto, non sulla forma dell’incarico.

La Questione delle Pene Sostitutive in Appello

Un altro imputato, la cui pena era stata ridotta in appello a quattro anni di reclusione, ha lamentato la mancata applicazione delle pene sostitutive previste dalla Riforma Cartabia. Secondo la sua difesa, il giudice d’appello avrebbe dovuto obbligatoriamente avviare la procedura per sostituire il carcere con una misura alternativa.

Anche su questo punto, la Cassazione ha dato una risposta chiara. Il potere di applicare le pene sostitutive è discrezionale e non costituisce un obbligo per il giudice. Se la possibilità di accedere a tali pene emerge solo con la sentenza d’appello (perché solo allora la pena scende sotto la soglia di legge), il giudice può attivarla, anche d’ufficio, ma non è tenuto a farlo, e la sua omissione non determina la nullità della sentenza.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha ritenuto le motivazioni delle sentenze di merito logiche e coerenti. Sulla figura dell’amministratore di fatto, i giudici hanno sottolineato che le dichiarazioni testimoniali delineavano un quadro inequivocabile di un ruolo gestorio che andava ben oltre la mera consulenza. La qualifica professionale dell’imputato non poteva fungere da scudo di fronte a un’ingerenza così pervasiva nella gestione aziendale.

Per quanto riguarda le pene sostitutive, la Cassazione ha fondato la sua decisione sul tenore letterale delle norme e sulla natura discrezionale del potere del giudice. L’applicazione di una pena alternativa non è un automatismo legato solo all’entità della condanna, ma richiede una valutazione complessiva sulla persona del condannato e sulla sua idoneità alla rieducazione. L’assenza di una richiesta esplicita da parte dell’imputato e di elementi concreti che ne suggerissero l’opportunità ha ulteriormente rafforzato la decisione dei giudici di non procedere in tal senso.

Le Conclusioni

La sentenza n. 13298/2025 consolida due importanti principi. In primo luogo, nel diritto penale societario, chiunque gestisca un’impresa, anche senza un’investitura formale, è pienamente responsabile delle proprie azioni. L’amministratore di fatto non può nascondersi dietro uno schermo formale per sfuggire alle conseguenze di una gestione criminale. In secondo luogo, chiarisce che le pene sostitutive, pur rappresentando un importante strumento di rieducazione, non sono un diritto automatico del condannato. La loro applicazione rimane soggetta a una valutazione discrezionale del giudice, che deve ponderare tutte le circostanze del caso concreto per individuare la sanzione più adeguata.

Come si può provare il ruolo di un amministratore di fatto in un processo per bancarotta?
La prova può essere fornita attraverso elementi sintomatici e presunzioni, come testimonianze di dipendenti o soci che confermino il suo coinvolgimento attivo in decisioni gestionali, finanziarie, commerciali o strategiche, la partecipazione a riunioni direttive e la gestione dei rapporti con terzi (es. fornitori, banche, sindacati).

Un giudice d’appello è obbligato ad applicare le pene sostitutive se, a seguito della sua decisione, la condanna scende sotto i quattro anni?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il giudice d’appello ha il potere discrezionale, ma non l’obbligo, di valutare l’applicazione delle pene sostitutive in tale circostanza. La mancata attivazione di questa procedura, in assenza di una richiesta specifica e di elementi che ne dimostrino i presupposti, non rende nulla la sentenza.

Quando un contratto di affitto di ramo d’azienda può essere considerato un atto di bancarotta distrattiva?
Un contratto di affitto diventa un atto di distrazione quando è palesemente antieconomico per la società che lo concede (ad esempio, a un canone irrisorio rispetto al valore dei beni) e ha l’effetto di privare l’impresa dei suoi asset fondamentali, rendendola di fatto inoperativa e pregiudicando la garanzia patrimoniale per i creditori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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