Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23230 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23230 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 26/03/2025
In nome del Popolo Italiano
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da:
NOME COGNOME – Presidente – NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME – Relatore –
Sent. n. sez. 398/2025
UP – 26/03/2025
R.G.N. 3152/2025
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TORINO il 28/07/1965
avverso la sentenza del 28/10/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; udite le conclusioni dellÕavv. NOME COGNOME per il ricorrente, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
Con sentenza emessa il 20 settembre 2022 il Tribunale di Torino, per quanto qui di interesse, aveva condannato COGNOME NOME per i reati di
bancarotta fraudolenta documentale e bancarotta fraudolenta distrattiva, in relazione a due societˆ: la RAGIONE_SOCIALE fallita il 19 gennaio 2012, e la RAGIONE_SOCIALE fallita il 21 novembre 2013.
Con sentenza pronunziata il 28 ottobre 2024, la Corte di appello di Torino Ð per quanto qui di interesse Ð ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, dichiarando il non doversi procedere in ordine a tutti i reati contestati in relazione al fallimento della ÒCaÕ TubeÕ s.r.l.Ó, riconoscendo allÕimputato le attenuanti generiche, ritenute prevalenti sullÕaggravante, e rideterminando il trattamento sanzionatorio.
Secondo lÕimpostazione accusatoria, ritenuta fondata dalla Corte di appello, l’imputato Ð nella qualitˆ di amministratore di fatto della ÒCommerciale RAGIONE_SOCIALEÓ Ð, al fine di procurare a sŽ o ad altri un giusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, avrebbe sottratto o distrutto le scritture contabili della societˆ.
Avrebbe inoltre distratto ingenti somme, prelevandole dai vari conti correnti intestati alla fallita e disponendo due bonifici, da euro 71.000 ciascuno, in favore di NOME e COGNOME COGNOME, destinando in tal modo il denaro a finalitˆ estranee all’esercizio dell’impresa.
Analoghe condotte l’imputato avrebbe realizzato anche nella qualitˆ di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, sottraendo parte delle scritture contabili, stipulando un atto di cessione del ramo d’azienda per un corrispettivo di euro 126.000, apparentemente corrisposto con un assegno bancario, in realtˆ mai negoziato nŽ incassato, e vendendo alcuni beni della societˆ a prezzi notevolmente inferiori al loro valore di mercato.
Avverso la sentenza della Corte di appello, lÕimputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un unico motivo, deduce il vizio di motivazione, in relazione allÕart. 216 legge fall.
Contesta il ruolo di amministratore di fatto delle due societˆ fallite riconosciuto allÕimputato dai giudici di merito.
Con particolare riferimento al ruolo di amministratore della RAGIONE_SOCIALE, il ricorrente sostiene che la decisione dei giudici di merito sarebbe basata sulle dichiarazioni rese in sede di denuncia della signora COGNOME NOME, amministratrice unica della societˆ, poi deceduta. Il ricorrente, per˜, contesta lÕutilizzabilitˆ, ai sensi dellÕart. 512 cod. proc. pen., di tali dichiarazioni, atteso che queste sarebbero state rese nellÕambito di altro procedimento penale, avente ad oggetto altri fatti. La Corte di appello, peraltro, non avrebbe chiarito se alcune
argomentazioni addotte a sostegno della propria decisione fossero effettivamente desunte da tali dichiarazioni oppure da altre fonti non menzionate nella sentenza.
Con riferimento a entrambe le societˆ fallite, il ricorrente deduce che la Corte di appello, invece, di ricorrere agli indici sintomatici indicati dalla giurisprudenza, avrebbe dato rilievo ad alcuni messaggi di posta elettronica, dai quali emergeva che lÕimputato aveva fornito delle indicazioni sulle modalitˆ di compilazione delle scritture contabili. Tale circostanza, tuttavia, sarebbe priva di rilievo rispetto alla dimostrazione del ruolo di amministratore di fatto che sarebbe stato tenuto dallÕimputato.
Il ricorrente sostiene che la Corte di appello avrebbe utilizzato per la decisione anche le dichiarazioni rese dagli altri due originari coimputati, riportate nella relazione del curatore fallimentare, dimenticando in tal modo lÕinutilizzabilitˆ della testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie a lui rese da un coimputato non comparso in dibattimento. Le dichiarazioni in questione, a parere del ricorrente, avrebbero dovuto essere valutate con la massima attenzione, vista la scelta processuale dei due coimputati di non sottoporsi a esame dibattimentale.
La Corte di appello avrebbe anche dimenticato di analizzare il reale contenuto delle dichiarazioni rese dai curatori fallimentari e in particolare quelle rese dal dott. COGNOME che aveva riferito che l’imputato non aveva avuto rapporti con i clienti e con i fornitori nŽ aveva una delega per operare sui conti correnti, e dal dott. COGNOME che aveva riferito che l’imputato non ha aveva un incarico ufficiale all’interno della societˆ.
Sotto altro profilo, il ricorrente sostiene che, anche se si volesse riconoscere all’imputato il ruolo di amministratore di fatto delle due societˆ fallite, la motivazione risulterebbe in ogni caso viziata, atteso che la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente analizzato Çcome si siano estrinsecate le condotte dell’imputato sia in ordine alla sottrazione dei documenti, sia in ordine alla distrazione dei beniÈ.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. LÕunico motivo di ricorso, in tutte le censure nelle quali si articola, è inammissibile.
Vanno preliminarmente analizzate le censure in diritto mosse dal ricorrente.
Quanto allÕutilizzabilitˆ delle dichiarazioni dei coimputati COGNOME e COGNOME, riportate nella relazione del curatore fallimentare, va ribadito che, Çnel caso in cui
l’imputato o il suo difensore non abbiano chiesto l’esame del coimputato, la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie resegli da un coimputato non comparso al dibattimento, e trasfuse dallo stesso curatore nella relazione redatta ai sensi dell’art. 33 l. fall., è utilizzabile quale prova a carico dell’imputatoÈ (Sez. 5, n. 24781 del 08/03/2017, Corrieri, Rv. 270599; Sez. 5, n. 3885 del 09/12/2014, Tusa, Rv. 262230). Non avendo i ricorrenti dedotto che la difesa avesse chiesto l’esame dei coimputati, risulta manifestamente infondata la censura relativa allÕinutilizzabilitˆ delle dichiarazioni rese dal COGNOME e dallo COGNOME.
Manifestamente infondata, poi, risulta la tesi del ricorrente, secondo il quale lÕart. 512 cod. proc. pen. non consentirebbe lÕacquisizione, per impossibilitˆ sopravvenuta di ripetizione, di atti assunti nellÕambito di un diverso procedimento. Tale limitazione non trova fondamento nŽ nella lettera nŽ nella ratio della norma, che, a fronte del rischio di perdere una fonte di prova, ÒsacrificaÓ il principio della formazione della prova nel contraddittorio tra le parti. Ebbene, appare chiaro che lÕesigenza di non disperdere la fonte di prova vale parimenti sia con riferimento agli atti assunti nellÕambito dello stesso procedimento nel quale i medesimi devono essere utilizzati, sia con riferimento ad atti assunti nellÕambito di procedimenti diversi. Tale limitazione, dÕaltronde, non trova alcun riscontro nella giurisprudenza di legittimitˆ, che ritiene acquisibili, ai sensi dellÕart. 512 cod. proc. pen., anche le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari di un diverso procedimento (cfr. Sez. 1, n. 13967 del 19/05/2015, COGNOME, Rv. 266598).
Nel resto le censure mosse dal ricorrente risultano del tutto inammissibili, essendo completamente versate in fatto.
Il ricorrente, invero, ha articolato alcune generiche censure che non evidenziano alcuna effettiva violazione di legge nŽ travisamenti di prova o vizi di manifesta logicitˆ emergenti dal testo della sentenza, ma sono, invece, dirette a ottenere una non consentita rivalutazione delle fonti probatorie e un inammissibile sindacato sulla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di appello (cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano).
Va, in ogni caso, osservato che la Corte di appello, con motivazione adeguata, coerente e priva di vizi logici, ha ricostruito i fatti in conformitˆ allÕipotesi accusatoria.
Con particolare riferimento ai rilievi mossi dal ricorrente, la Corte di appello ha spiegato in maniera lineare gli elementi tratti dalle dichiarazioni rese dalla Chiamberlando, acquisite sensi dellÕart. 512 cod. proc. pen., precisando che da esse emergeva che l’imputato aveva gestito in modo esclusivo i pagamenti e le forniture della RAGIONE_SOCIALE. La Corte territoriale, inoltre, ha evidenziato che
lÕimputato era stato condannato per truffa e calunnia, con sentenza della Corte di appello di Torino del 23 gennaio 2013, che aveva dato atto del pieno coinvolgimento dell’imputato nella gestione della societˆ.
Quanto ai messaggi di posta elettronica, la Corte territoriale ha rappresentato che, dal contenuto di essi, emergeva che l’imputato discuteva dei rapporti commerciali della RAGIONE_SOCIALE, illustrando gli atti di gestione realizzati e riferendosi a essa come la RAGIONE_SOCIALE
Quanto alle dichiarazioni dei curatori, il ricorrente riporta dei meri frammenti delle loro dichiarazioni, senza neppure precisare che (come emerge dallo stesso stralcio dei verbali allegato dal ricorrente) il COGNOME si limitava a riportare le dichiarazioni che gli aveva fatto il COGNOME (e, in parte, anche un altro coimputato). Il ricorrente, inoltre, non espone i motivi per cui tali ÒframmentiÓ sarebbero decisivi al fine del giudizio di responsabilitˆ, al punto tale da pregiudicare completamente il ragionamento posto dai giudici di merito a fondamento della loro decisione. Non spiega, ad esempio, come lÕaffermazione che lÕimputato non avesse un incarico ufficiale nella societˆ possa smontare un giudizio di responsabilitˆ, basato sul ruolo di amministratore di fatto dellÕimputato.
Va, infine, rilevato che risulta del tutto generica la censura con la quale il ricorrente deduce che la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente analizzato Çcome si siano estrinsecate le condotte dell’imputato sia in ordine alla sottrazione dei documenti, sia in ordine alla distrazione dei beniÈ.
Alla declaratoria di inammissibilitˆ del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dellÕart. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Cos’ deciso, il 26 marzo 2025.
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME