Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13771 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13771 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nata a Torino il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 06/02/2023 della Corte di appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore della ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del 21 giugno 2019 del Tribunale di Torino che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. d.lgs. n. 74 del 2000 commesso il 30 dicembre 2012 (capo A), per il reato di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 commesso il 5 ottobre 2011 (capo B), nonché per le condotte di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale e per una condotta di bancarotta fraudolenta impropria per effetto di operazioni dolose e
unificate dette condotte in un solo delitto di bancarotta fraudolenta aggravata ai sensi dell’art. 219, secondo comma, n. 1, r.d. n. 267 del 1942, applicate le circostanze attenuanti generiche equivalenti a detta aggravante ed alla recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale e ritenuta la continuazione tra i reati, l’aveva condannata alla pena principale ed alle pene acc:essorie ritenute di giustizia.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo lamenta la violazione dell’art. 158 cod. pen. e dell’art. 17 d.lgs. n. 74 del 2000 per non avere la Corte di appello rilevato l’estinzione per prescrizione dei reati di cui ai capi A) e B).
Sostiene a tal fine che, per effetto delle norme sopra citate, il termine massimo di prescrizione, tenuto conto anche delle sue interruzioni, è pari ad anni dieci e che esso era interamente decorso prima della pronuncia della sentenza di appello.
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui le è stata attribuita la qualit amministratrice di fatto della fallita RAGIONE_SOCIALE
Nel motivare la sua decisione la Corte di appello ha osservato che i dipendenti sentiti come testimoni non avevano attribuito all’imputata la qualità di datrice di lavoro o quella di amministratrice di fatto della società, se non per il periodo a ridosso del contratto di affitto tra RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE e, tuttavia, la Corte territoriale ha ritenuto che alcune condott sconosciute ai dipendenti facessero risalire ad un momento anteriore l’assunzione da parte della COGNOME della qualità di amministratrice di fatto; tali condotte erano state individuate principalmente nelle operazioni bancarie dalla stessa effettuate.
L’imputata, tuttavia, aveva solo una delega su Banca Carige finalizzata al ritiro ed alla consegna di documenti sottoscritti dal legittimo titolare del rapporto bancario, mentre gli assegni ed i bonifici in uscita non erano mai stati gestiti in autonomia dall’imputata e quelli in entrata emessi dalla RAGIONE_SOCIALE non varrebbero a dimostrare il compimento di atti di gestione della RAGIONE_SOCIALE da parte della RAGIONE_SOCIALE e comunque per tali fatti la RAGIONE_SOCIALE era già stata condannata in relazione al fallimento della società RAGIONE_SOCIALE.
Né interessarsi della società e versare somme di denaro nelle sue casse può integrare un’attività di gestione della società fallita, sulla base dei princ affermati da questa Corte di cassazione, per la quale, in tema di bancarotta
fraudolenta, l’individuazione dell’imputato quale amministratore di fatto va effettuata sulla base di indici sintomatici quali il conferimento di deleghe in suo favore in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazion alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto e la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti (Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, Ottobrini, Rv. 268273).
Nel caso di specie, sostiene la ricorrente, quest’ultima non era destinataria di deleghe operative all’interno della società’ non aveva mai gestito la stessa ed i dipendenti non consideravano la stessa quale loro datrice di lavoro e solo a partire da un certo momento, su indicazione dell’amministratore della società, avevano ricevuto ordini dalla imputata. Neppure la COGNOME aveva tenuto contatti con il cliente principale RAGIONE_SOCIALE ed i contatti con i dipendenti della fallita erano sta sporadici e limitati alla verifica della correttezza della busta paga ed al ritiro deg assegni presso il suo studio.
Nemmeno era dimostrato il concorso della COGNOME nelle condotte attuate da Nastrucci e Pederiva. La COGNOME, commercialista della fallita, non poteva essere chiamata a rispondere nelle condotte distrattive o di omessa tenuta della contabilità. I bilanci non erano documenti contabili e la loro omessa redazione non poteva esserle addebitata.
2.3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 133 cod. pen. e della misura eccessiva della pena, nonché della carenza di motivazione in ordine al giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee.
Evidenzia che la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado anche in ordine al trattamento sanzionatorio ed alla misura degli aumenti di pena per la continuazione, senza tenere conto di tutti i criteri fissati dall’art. 133 c pen. e limitandosi a sottolineare i precedenti penali della imputata.
Il difensore di fiducia della ricorrente ha fatto pervenire una memoria contenente motivi nuovi al fine di insistere per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La ricorrente omette di considerare che è stata ritenuta sussistente la recidiva reiterata specifica infraquinquennale, cosicché il 1:ermine minimo di prescrizione dei due reati tributari, pari ad anni otto ai sensi dell’art. 157 co pen. e considerato l’aumento di un terzo ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 74 del 2000, come modificato dal decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito con modifiche dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, deve essere aumentato,
essendo stato più volte interrotto, di due terzi ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 161 cod. pen. e quindi ad anni tredici e mesi quattro.
Considerato che il reato di cui al capo A) è stato commesso il 30 dicembre 2012 e quello contestato al capo B) il 5 ottobre 2011, risulta evidente che alla data della pronuncia della sentenza di aippello i termini non erano ancora maturati.
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché reiterativo e generico, in quanto non si confronta con le specifiche ragioni poste a base della sua decisione dalla Corte di appello, che ha evidenziato che anche nel periodo anteriore a quello in cui, sulle base delle deposizioni dei dipendenti, la COGNOME aveva assunto la qualifica di amministratrice di fatto della fallita, l’imputat aveva manifestato di possedere tale qualità, avendo la possibilità di fatto, a prescindere dal contenuto delle deleghe che le erano state conferite, di disporre delle risorse economiche presenti nei conti correnti bancari intestati alla RAGIONE_SOCIALE
La Corte territoriale ha proceduto ad una approfondita e dettagliata ricostruzione dei movimenti bancari per poi giungere alla conclusione che tali operazioni non si conciliano con il mero ruolo di commercialista della odierna ricorrente, ma risultano rivelatrici del suo ruolo di amministratrice di fatto del RAGIONE_SOCIALE Tale ruolo trova conferma, per i giudici di appello, anche nell’impiego di somme di pertinenza della società RAGIONE_SOCIALE, altra società da lei amministrata, per provvedere al pagamento delle retribuzioni dei dipendenti.
A fronte delle specifiche argomentazioni fornite dalla Corte territoriale, gli argomenti contrari offerti dalla ricorrente appaiono vaghi e versati in fatto e comunque meramente reiterativi delle censure contenute nell’atto di appello.
3. Anche il terzo motivo non sfugge alla inammissibilità.
Quanto all’invocata prevalenza delle attenuanti, il motivo è manifestamente infondato, stante il divieto contenuto nell’ultimo comma dell’art. 69 doc. pen. che non consente, in caso di applicazione della recidiva reiterata, la prevalenza delle attenuanti.
In ordine, poi, al trattamento sanzionatorio, deve osservarsi che la determinazione della pena entro il minimo e il massimo edittale rientra fra i poteri discrezionali del giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata (Sez. 1, n. :1435 del 16/10/1985, dep. 1986, Scavaglieri, Rv. 171909).
Peraltro, solo l’irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’art. 133 cod. pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932), mentre per una pena base contenuta entro tale limite è sufficiente un generico rinvio all’adeguatezza della pena (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283) e quindi agli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME Giorgio, Rv. 276 288).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha motivato la pcna per il reato più grave e gli aumenti di pena per la continuazione ed in genere il trattamento sanzionatorio facendo riferimento alla gravità del fatto ed ai precedenti penali dell’imputata e comunque ha indicato le ragioni per le quali le circostanze indicate dalla ricorrente, come il risarcimento parziale del danno, non possono condurre ad un’attenuazione della pena, fornendo una motivazione completa ed esente da contraddizioni o illogicità.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, ai sensi dell’art. 61.6, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 24/01/2024.