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Amministratore di fatto: la prova del ruolo in giudizio

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2146/2024, ha annullato con rinvio la condanna per bancarotta fraudolenta a carico di due fratelli, ritenendo insufficiente la prova del loro ruolo di amministratori di fatto. La Corte ha sottolineato che, per affermare tale qualifica, non è sufficiente dimostrare un coinvolgimento generico nell’attività aziendale, ma occorre provare l’esercizio continuativo e significativo di poteri gestori tipici, con una motivazione specifica e dettagliata da parte del giudice di merito.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di Fatto: Quando si Risponde Penalmente? La Cassazione Fissa i Paletti

La figura dell’amministratore di fatto è centrale nel diritto penale societario, ma quali sono i confini esatti della sua responsabilità? Con la sentenza n. 2146/2024, la Corte di Cassazione ha fornito un’importante precisazione sui criteri necessari per provare questo ruolo, annullando una condanna per bancarotta fraudolenta. La decisione sottolinea che non basta un coinvolgimento generico nella vita aziendale, ma occorrono prove concrete di un’attività gestoria continuativa e significativa.

I Fatti del Processo

Il caso riguardava tre fratelli, coinvolti nella gestione di due società collegate, una delle quali dichiarata fallita. Due fratelli e la sorella, quest’ultima amministratrice legale, erano stati condannati in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale. Secondo l’accusa, avevano distratto beni e finanziamenti dalla società fallita.

I due fratelli, privi di cariche formali nella società fallita, hanno presentato ricorso in Cassazione sostenendo, tra le altre cose, l’insussistenza della prova del loro ruolo di amministratori di fatto. La difesa ha argomentato che le testimonianze dei dipendenti, i quali riferivano di aver ricevuto “ordini lavorativi” da loro, erano troppo generiche per dimostrare un effettivo potere di gestione.

La Prova dell’Amministratore di Fatto secondo la Cassazione

La Corte Suprema ha accolto il ricorso dei due fratelli proprio su questo punto cruciale. I giudici di legittimità hanno ribadito che, ai sensi dell’art. 2639 del codice civile, per attribuire a un soggetto la qualifica di amministratore di fatto è necessario accertare “l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”.

La Corte ha censurato la sentenza d’appello per il suo “deficit motivazionale”. I giudici di merito si erano limitati a evidenziare che le due società operavano come un’unica realtà imprenditoriale e che i dipendenti ricevevano ordini da tutti e tre gli imputati. Questo, secondo la Cassazione, non è sufficiente. Per sfuggire allo stigma della motivazione apparente, il giudice avrebbe dovuto:

1. Identificare il contenuto concreto degli ordini impartiti.
2. Valutarne la natura: si trattava di direttive strategiche e organizzative o di semplici compiti esecutivi?

Un ordine di spostare strumenti da un magazzino a un altro, ad esempio, non denota di per sé l’esercizio di una funzione gestoria, potendo rientrare nei compiti di un mero preposto.

La Decisione: Annullamento con Rinvio

Proprio a causa di questa carenza probatoria e motivazionale, la Corte ha annullato la sentenza di condanna nei confronti dei due fratelli, limitatamente alla qualifica di amministratore di fatto. Il caso è stato rinviato a un’altra sezione della Corte d’Appello, che dovrà riesaminare il punto attenendosi ai principi di diritto enunciati dalla Cassazione. Sarà quindi necessario un nuovo giudizio per accertare, con prove specifiche e concrete, se i due imputati abbiano effettivamente svolto un ruolo gestorio.

Diverso è stato l’esito per la sorella, amministratrice legale della società. Il suo ricorso è stato rigettato, e la condanna per bancarotta fraudolenta è diventata definitiva. Per lei, il ruolo formale e le prove delle condotte distrattive sono stati ritenuti sufficientemente dimostrati.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla necessità di distinguere tra un coinvolgimento operativo e una reale ingerenza nella gestione societaria. La giurisprudenza costante, richiamata nella sentenza, esige l’accertamento di “elementi sintomatici” dell’inserimento organico del soggetto nelle funzioni direttive dell’impresa. Questi elementi possono includere la gestione dei rapporti con dipendenti, fornitori, clienti o finanziatori, ma devono essere valutati nella loro sostanza e non solo in apparenza. La Corte d’Appello aveva valorizzato elementi di prova (la promiscuità tra le due società e gli ordini generici) non idonei a dimostrare in modo univoco la significatività della funzione gestoria svolta dai due fratelli. Mancava l’analisi del contenuto degli ordini, indispensabile per comprenderne la reale portata e per distinguere un ruolo dirigenziale da uno meramente esecutivo. Questo vizio di motivazione ha reso inevitabile l’annullamento.

Le Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un monito importante: la qualifica di amministratore di fatto non può essere presunta né derivare da indizi generici. Per fondare una responsabilità penale, l’accusa deve fornire prove concrete e specifiche che dimostrino un’ingerenza continuativa e qualificata nella gestione dell’impresa. Per gli operatori del diritto, ciò significa che l’istruttoria deve essere mirata a far emergere la natura e il contenuto degli atti gestori compiuti dal soggetto non formalmente investito della carica, superando la mera apparenza di un ruolo operativo. La decisione riafferma il principio di tassatività e il rigore probatorio che devono governare l’attribuzione della responsabilità penale in ambito societario.

Cosa si intende per amministratore di fatto e come si prova il suo ruolo?
L’amministratore di fatto è colui che, senza una nomina formale, esercita in modo continuativo e significativo i poteri gestori di una società. Secondo la sentenza, per provare tale ruolo non basta dimostrare un generico coinvolgimento, ma è necessario fornire prove specifiche sul contenuto concreto degli atti di gestione compiuti, che devono rivelare un’effettiva funzione direttiva e non meramente esecutiva.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna dei due fratelli?
La condanna è stata annullata perché la Corte d’Appello non aveva adeguatamente motivato la qualifica di amministratori di fatto. La motivazione si basava su elementi generici, come il fatto che i dipendenti ricevessero “ordini” da loro, senza specificare la natura e il contenuto di tali ordini. La Cassazione ha ritenuto questo un “deficit motivazionale”, poiché non permetteva di distinguere un ruolo di gestione da un’attività meramente operativa.

La condanna dell’amministratore legale è stata confermata?
Sì, il ricorso dell’amministratrice legale (la sorella) è stato rigettato e la sua condanna è divenuta definitiva. Per lei, il ruolo formale e le prove relative alle operazioni di distrazione di beni sono stati considerati sufficientemente dimostrati dai giudici di merito, e la sua responsabilità per bancarotta fraudolenta è stata confermata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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