Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14562 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14562 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GORIZIA il 16/08/1957
avverso la sentenza del 07/05/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, COGNOME che, riportandosi alla requisitoria scritta depositata, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME del foro di Trieste, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
e
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Trieste dichiarava non doversi procedere, stante l’intervenuta prescrizione, per il delitto di cui al capo E), confermando la pronuncia di condanna di primo grado del GUP dì Gorizia nei confronti del ricorrente per i delitti di cui ai capi A), B) e afferenti condotte di bancarotta fraudolenta distrattiva commesse quale amministratore di fatto della società fallita RAGIONE_SOCIALE
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con il difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME affidandosi a quattro motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi, entro i limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo lamenta vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva tanto sul piano oggettivo che su quello soggettivo, nonché violazione dell’art. 192 cod. proc. pen.
Deduce, a riguardo, che la decisione impugnata reitera il vizio di quella di primo grado per il quale, poiché egli sarebbe stato amministratore di fatto della società, dovrebbero essergli ascritte automaticamente le condotte distrattive ascritte ai capi A) e B) della rubrica. Sennonché, nel periodo in cui sarebbero state poste in essere le condotte contestate, come evidenziato anche dal Curatore fallimentare, la società non versava in uno stato di insolvenza sicché non si sarebbe potuto prevedere, in concreto, che sarebbe intervenuto, negli anni successivi, il fallimento della società, in mancanza di “sintomi” della crisi aziendale.
2.2. Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione e violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. quanto all’ascritto delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva dell’importo di euro 2.000 di cui al capo C) dell’imputazione, condotta che gli sarebbe stata addebitata solo quale coniuge della socia COGNOME verso la quale, peraltro, come ricostruito dalle consulenze tecniche, la società aveva un debito di euro 3.000,00.
Inoltre, in contrasto con le risultanze processuali, si sarebbe attribuito valore alle dichiarazioni sul versamento della caparra confirmatoria da parte dei soci la testimonianza del venditore del terreno, nonostante fosse molto anziano e avesse confuso l’incasso dell’importo di euro 173.000,00 con quello di euro 250.000,00.
2.3. Mediante il terzo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine alla sua qualificazione, da parte della decisione impugnata, come amministratore di fatto e correlata violazione dell’art. 2639 cod. civ.
Assume, invero, che gli elementi in forza dei quali gli sarebbe stata attribuita la qualifica di fatto non sarebbero idonei a fare ritenere integrata l stessa né, comunque, si potrebbe ritenere, anche ove fosse assunta detta qualifica, una responsabilità per omesso controllo dell’attività degli amministratori formali, che avevano sottoscritto i contratti in forza dei quali sarebbero state compiute le distrazioni di cui ai capi A) e B) della rubrica.
2.4. Con il quarto motivo il Petejan denuncia vizio di motivazione e inosservanza o erronea applicazione dell’art. 62-bis cod. pen. quanto all’omessa concessione delle circostanze generiche, nonostante il suo stato di incensuratezza e l’inesistente contributo causale del medesimo alla contestata condotta fraudolenta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Per ragioni di priorità logica, l’esame del terzo motivo di ricorso deve essere anteposto agli altri.
2.Tale motivo non risulta fondato, per le ragioni di seguito indicate.
2.1. E’ opportuno ricordare che, come più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità, la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 cod.civ., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione. Così, la posizion dell’amministratore di fatto, destinatario delle norme incriminatrici della bancarotta fraudolenta, si traduce, nell’ambito processuale, nell’accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti dall’organico inserimento del soggetto, quale intraneus che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell’iter di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi – rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti – in quals branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare. L’accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione o cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di fatto che è insindacabile in sede di
legittimità, se sostenuto da motivazione congrua e logica (cfr. Sez. 5, 14 aprile 2003, n. 22413, Rv. 224948; Sez. 1, 12 maggio 2006, n. 18464, Rv. 234254).
2.2. La decisione impugnata ha congruamente indicato (pag. 10-11), disattendendo le analoghe censure svolte con i motivi di gravame, le ragioni per le quali il COGNOME è stato ritenuto amministratore di fatto della società, ponendosi nel solco dei richiamati principi.
E, invero, mediante una valutazione complessiva e non parcellizzata degli elementi istruttori la Corte territoriale, come già la pronuncia di primo grado, è pervenuta a tale conclusione valorizzando una serie di elementi convergenti in tale direzione.
In primis, è stata posta congruamente in risalto la circostanza puntualmente riferita dalla teste COGNOME per la quale era stata operata una variante nella destinazione urbanistica del bene acquisito dalla società proprio nel periodo in cui l’imputato era sindaco del Comune di Savogna, sicché non poteva, pur essendo il soggetto realmente interessato, “comparire” formalmente nella società né ivi assumere cariche gestorie.
Circostanza che di per sé sola è stata ritenuta, con argomentazioni logiche, idonea ad illuminare una vicenda nell’ambito della quale, di poi, anche le attività cruciali, pur corredate da documentazione talora sottoscritta dagli amministratori di diritto, sono state svolte dal ricorrente, il quale ha (tra l’altro) condott trattative con le Banche e si è impegnato per la stipula di transazioni (come quella con il fornitore Tabaj).
Né, d’altra parte, la rilevante attività gestoria del Petejan che si delinea, dalle esaustive argomentazioni dei giudici di merito, quale reale dominus della società, potrebbe essere giustificata dalle tre lettere con le quali veniva incaricato di seguire i clienti, essendo stato congruamente valorizzato che si trattava di lettere prive di data certa e che, in maniera singolare, l’attività no era retribuita.
A fronte dunque di convergenti indici concreti denotanti lo svolgimento del ruolo di amministratore di fatto della società in capo al ricorrente, diviene chiaramente, come ha già spiegato la pronuncia impugnata, una motivazione ad abundantiam quella fondata sul richiamo all’art. 40, secondo comma, cod. pen.
3. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Vi è infatti che, come hanno chiarito da lungo tempo le Sezioni Unite della Corte di cassazione, l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo
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di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266805 – 01).
E se è vero che questa consapevolezza deve atteggiarsi quale prevedibilità in concreto (ex affis, Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763 01), alla stregua dì quanto ha sottolineato la Corte d’Appello, anche sotto aspetto con congrue argomentazioni (pag. 11), la società fallita era “nata” già sottocapitalizzata, essendo stata dotata di un capitale sociale di soli 10.000 euro, anche se aveva l’ambizioso obiettivo di costruire quattro edifici da adìbìre a un nuovo centro commerciale e, quindi, si era affidata sin dall’inizio ai proventi che sarebbero dovuti derivare dalla ipotetica vendita degli appartamenti e al credito bancario.
Di qui, come è stato suggestivamente rimarcato in sede di merito, la società si è mossa sempre lungo un precario equilibrio, pareggiando a fatica i costi sostenuti per la costruzione dell’opera con gli incassi ottenuti vendendo i primi lotti, rimanendo sempre significativamente esposta nei confronti della banca, al punto che i lavori, interrotti nell’anno 2011, erano ripresi l’anno successivo su richiesta dell’istituto di credito che non sarebbe altrimenti riuscito a recuperare le somme erogate con il finanziamento.
Nella delineata situazione, è apparso evidente ai giudici di merito, che hanno così logicamente argomentato le conclusioni alle quali sono pervenuti, che la società non ha mai avuto una solida condizione economico-finanziaria, ma, anzi, è stata in costante difficoltà, con conseguente concreta prevedibilità per gli amministratori del dissesto che sarebbe potuto intervenire per effetto delle loro condotte.
Il terzo motivo è inammissibile a fronte delle congrue argomentazioni con le quali, nel § 5.5., la Corte territoriale ha disatteso le analoghe doglíanze formulate dal ricorrente con l’appello evidenziando la natura congetturale delle ricostruzioni alternative prospettate dal ricorrente nell’atto dì gravame addirittura in forma dubitativa, argomentazioni con le quali il COGNOME ha omesso di confrontarsi con conseguente genericità delle censure articolate.
E’ inammissibile il quarto motivo, attesa l’adeguata motivazione, con la quale del resto il ricorrente sì confronta solo in parte, della decisione impugnata laddove ha confermato la valutazione del giudice di primo grado, evidenziando il rilevante danno cagionato ai creditori e il dolo particolarmente spiccato, nonché la molteplicità dei fatti distrattivi commessi dall’imputato, con reiterazione di
condotte e manovre spregiudicate commesse con la complicità di un professionista che ha messo loro a disposizione le sue società per drenare
plurime somme dì denaro.
6. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 19 febbraio 2025
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