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Amministratore di fatto: la Cassazione sulla prova

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un soggetto condannato per bancarotta fraudolenta. L’imputato sosteneva di non essere l’amministratore di fatto della società fallita, gestita legalmente dalla madre. La Corte ha invece confermato la condanna, ritenendo provato il suo ruolo gestorio continuativo e significativo, basandosi su testimonianze e commistioni gestorie con altre sue società. La sentenza ribadisce i criteri per l’identificazione della figura dell’amministratore di fatto e i limiti del ricorso in Cassazione.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di fatto: la Cassazione definisce i confini della responsabilità penale

La recente sentenza della Corte di Cassazione, V Sezione Penale, offre importanti chiarimenti sulla figura dell’amministratore di fatto e sui criteri per provarne il ruolo ai fini della responsabilità per bancarotta fraudolenta. Il caso analizzato riguarda un soggetto condannato per aver sottratto beni e scritture contabili di una società cooperativa, legalmente amministrata dalla madre ma, secondo l’accusa, da lui gestita concretamente.

I fatti del caso

La vicenda processuale ha origine dal fallimento di una società cooperativa, dichiarato nel 2015. Le indagini hanno portato alla condanna in primo grado e in appello del figlio dell’amministratrice legale. L’accusa era duplice: bancarotta fraudolenta patrimoniale, per aver sottratto beni e immobilizzazioni della società, e bancarotta fraudolenta documentale, per aver fatto sparire le scritture contabili, impedendo così la ricostruzione del patrimonio aziendale.

L’imputato ha sempre contestato il suo coinvolgimento, sostenendo di essere stato un semplice dipendente con un ruolo di riferimento nella sede distaccata dell’azienda, e non il gestore occulto della società.

I motivi del ricorso: la difesa dell’imputato

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:

1. Erroneo riconoscimento del ruolo di amministratore di fatto: La difesa sosteneva che gli elementi valorizzati dai giudici di merito – come la parentela con l’amministratrice legale e le percezioni dei dipendenti che lo vedevano come “capo” – fossero insufficienti a dimostrare una posizione gestoria effettiva.
2. Insufficienza della prova della distrazione: Si contestava la genericità delle accuse relative alla sottrazione di beni e si giustificava la rottamazione di alcuni autocarri come un atto di gestione economicamente vantaggioso, non un’azione illecita.
3. Insussistenza della bancarotta documentale: La difesa ribadiva l’estraneità dell’imputato alla gestione contabile e richiamava la giustificazione fornita dalla madre, secondo cui i documenti erano andati persi accidentalmente durante un trasloco, escludendo il dolo necessario per il reato.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo integralmente. Le motivazioni della decisione sono cruciali per comprendere i principi applicati in materia.

La prova dell’amministratore di fatto

La Cassazione ha confermato la correttezza della valutazione dei giudici di merito. Per qualificare un soggetto come amministratore di fatto, non è necessario che egli eserciti tutti i poteri tipici dell’organo di gestione. È sufficiente una significativa e continua attività gestoria, anche in specifici settori, che dimostri un inserimento organico nell’assetto societario. Nel caso di specie, elementi come la percezione dei dipendenti, la posizione fiduciaria nella sede di Bologna e, soprattutto, la commistione gestoria con un’altra società di proprietà dell’imputato, sono stati ritenuti indici concreti e logici del suo ruolo decisionale. Il tentativo di “riscrivere” il significato delle prove è stato giudicato inammissibile in sede di legittimità.

L’inammissibilità delle altre censure

I giudici hanno definito il secondo motivo di ricorso, relativo alla distrazione dei beni, come “generico e inedito”. Le critiche non erano mai state formulate nei precedenti gradi di giudizio e non si confrontavano con l’analisi dettagliata, basata sulla documentazione del curatore fallimentare, contenuta nella sentenza d’appello.

Anche il terzo motivo, sulla bancarotta documentale, è stato ritenuto inammissibile. La Corte ha implicitamente confermato la qualificazione giuridica data dai giudici di merito, ritenendo le argomentazioni difensive inadeguate a scalfire la logicità della sentenza impugnata.

Le conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale fondamentale: la responsabilità penale per i reati fallimentari non si ferma alle cariche formali, ma colpisce chiunque eserciti un potere gestorio effettivo e continuativo. La qualifica di amministratore di fatto può essere desunta da un insieme di “indici sintomatici” che, valutati nel loro complesso, rivelano il ruolo sostanziale svolto dal soggetto all’interno della società. Questa pronuncia serve da monito, specialmente nelle realtà imprenditoriali a conduzione familiare, dove i ruoli formali e sostanziali possono facilmente sovrapporsi, con conseguenze penali di notevole gravità.

Cosa si intende per amministratore di fatto e come si prova il suo ruolo?
Per la Cassazione, l’amministratore di fatto è colui che esercita un’attività gestoria significativa e continua, anche se non ha una nomina formale. Il suo ruolo può essere provato attraverso una serie di indizi, come la percezione dei dipendenti, l’affidamento di poteri gestionali e la commistione tra il patrimonio della società e quello di altre aziende riconducibili allo stesso soggetto.

È possibile contestare per la prima volta in Cassazione la valutazione delle prove fatta nei gradi precedenti?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che il suo ruolo è quello di giudice di legittimità, non di merito. Non è possibile “riscrivere” i fatti o proporre una nuova valutazione delle prove. I motivi di ricorso devono denunciare vizi di legge o di motivazione manifestamente illogica, non contestare l’interpretazione delle prove data dai giudici di primo e secondo grado, specialmente in presenza di una “doppia conforme”.

Quali sono le conseguenze per un amministratore di fatto in caso di fallimento della società?
L’amministratore di fatto è equiparato all’amministratore di diritto e risponde penalmente per i reati fallimentari, come la bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale. Se viene provato che ha contribuito a causare il fallimento sottraendo beni o occultando le scritture contabili, è soggetto alle medesime pene previste per l’amministratore formalmente in carica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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