Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25985 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25985 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/06/2025
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da
1.COGNOME NOME nato a Voghera il 29/6/1962
2.COGNOME NOME nato a Domusnovas il 13/8/1984
avverso la sentenza resa il 10/12/2024 dalla Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso di NOME COGNOME e l’annullamento con rinvio alla Corte di appello di Milano della sentenza nei confronti di Dessi; sentite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME che, nell’interesse di NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano, parzialmente riformando la sentenza resa il 26 gennaio 2023 dal Tribunale di Milano, per quel che qui rileva, ha dichiarato estinti nei confronti di COGNOME Fabio per prescrizione i reati di tr aggravata contestati ai capi 1A, 2A, 3A e ha confermato la responsabilità e rideterminato la pena inflitta per i reati di autoriciclaggio, di distruzione di document contabili e di emissione di fatture per operazioni inesistenti commessi nella veste di
amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE e contestati ai capi 1E, 1B, 1C, per il reato di autoriciclaggio in qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE contestato al capo 2B, e per il reato di dichiarazione fraudolenta in qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione di cui al capo 7B; ha confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato la responsabilità di NOME COGNOME in ordine al reato di illecite compensazioni ascritto nel procedimento n. 16560 del 2019, in esso compresa la contestazione di cui al capo B del procedimento n. 35120 del 2019 quanto alle compensazioni successive al Febbraio 2017, e ha confermato la pena a lui inflitta di anni uno e mesi sei di reclusione, con i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione.
Avverso detta pronunzia hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati COGNOME e COGNOME
NOME COGNOME ritenuto responsabile dei reati di autoriciclaggio (capi 1E e 2B), distruzione di scritture contabili (capo 1B), emissione di fatture per operazioni inesistenti (1C e 7B) deduce:
3.1. Con riferimento al capo 1B, violazione dell’art. 10 del d.lgs. 74/2000 e vizio di motivazione (primo motivo) poiché la condanna, per avere posto in essere condotte di occultamento o distruzione dei documenti contabili indicati in epigrafe, si basa solo sulla constatazione che gli inquirenti durante l’espletamento delle indagini relative al presente procedimento penale riuscivano a rinvenire soltanto parte della documentazione della società RAGIONE_SOCIALE non acquisendo in particolare i registri Iva, il libro giornale e alcune fatture mancanti relative agli anni 2015 e 2016. COGNOME è stato ritenuto responsabile del reato a lui addebitato nella sua pretesa qualità di amministratore di fatto che si basa esclusivamente sulla constatazione che era presente nei locali della società al momento dell’accesso degli inquirenti e che il suo computer conteneva alcune cartelle relative alle aziende de qua.
Osserva il ricorrente che non si rinviene agli atti alcun indizio idoneo a dimostrare tale ruolo del COGNOME e i giudici hanno valorizzato elementi effimeri e non univoci, mentre la qualità di amministratore di fatto presuppone l’esercizio in modo continuativo e significativo di una apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico e occasionale. La sentenza si limita a riferire che l’imputato non ha contestato gli elementi costitutivi del reato in parola, sebbene sia stata evidenziata la sua totale estraneità rispetto ad incarichi gestori ed operativi.
3.2. Con riferimento al capo 1C, violazione dell’art. 8 del d. Igs. N. 74/2000 e vizio di motivazione (secondo motivo) poiché l’imputato è stato condannato per avere emesso o rilasciato fatture per operazioni inesistenti, sempre nella sua presunta qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE in assenza di adeguati elementi a riprova
di tale sua qualifica, non essendo emerso alcun rapporto tra COGNOME e la società di RAGIONE_SOCIALE e non avendo mai svolto alcun incarico di tipo operativo e gestorio. Tra il possesso delle cartelle nel PC, l’essere presente al momento della perquisizione e l’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto vi è un salto logico incolmabil che non ha trovato sostegno in congrui elementi probatori.
3.3. Con riferimento ai capi lE e 2B, violazione dell’articolo 648-ter.1 cod. pen. e vizio di motivazione (terzo motivo) poiché la Corte di merito ha confermato la condanna del COGNOME per autoriciclaggio, ma tale delitto necessita per la sua integrazione della partecipazione dell’autore della condotta al reato presupposto, che nel caso in esame sarebbe costituito dalla truffa aggravata finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche e non può essere addebitato al COGNOME, non avendo rivestito la qualifica di amministratore di fatto delle società RAGIONE_SOCIALE
3.4. Con riferimento al capo 7B, violazione dell’art. 2 del d. Igs. N. 74/2000 e vizio di motivazione (quarto motivo) poiché COGNOME è stato dichiarato penalmente responsabile del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, sebbene la difesa avesse evidenziato l’assenza di elementi fattuali da cui desumere la qualifica di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE
La giurisprudenza di legittimità ha recentemente ribadito i profili di attribuzione di responsabilità penale a carico di soggetti chiamati a rispondere a titolo di concorso nella frode fiscale quali amministratori di fatto dell’ente societario, con la sentenza n. 36556/2022; tale pronunzia ha stabilito che anche in ambito tributario deve essere valorizzato l’esercizio continuativo e significativo dei poteri che consentono di tipizzare l’attività di amministrazione e gestione di una società. La prova della posizione di amministratore di fatto si deve tradurre nell’indispensabile accertamento di quegli elementi sintomatici che consentano di dedurre un tangibile inserimento organico del soggetto nell’impresa. Nel caso in esame, COGNOME non ha mai operato sui conti bancari della società, non aveva alcuna delega in tal senso, non ha mai ricoperto cariche apicali, non ha mai provveduto alla gestione delle società, né si è occupato della locazione e gestione delle sedi; non ha mai impartito istruzioni agli amministratori di diritto e non ha mai ha avuto, infine, alcuna autonomia decisionale.
3.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche (quinto motivo), poiché la Corte di merito ha ignorato la richiesta di riduzione della pena anche tramite la concessione di dette attenuanti, senza considerare il significativo lasso di tempo intercorso rispetto alle condotte accertate e senza fornire alcuna adeguata motivazione, limitandosi a richiamare la gravità dei fatti contestati e il ruolo primario d COGNOME che non può ritenersi tale. In particolare, la Corte non ha preso in considerazione e ha voluto respingere la prospettazione difensiva che valorizzava il contegno processuale tenuto dall’imputato, in contrasto con un consolidato orientamento della
giurisprudenza di legittimità, e non ha valutato la modesta gravità del fatto, l’inconsistenza dell’elemento psicologico e la leale condotta processuale del Torti che avrebbero potuto legittimamente fondare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
NOME COGNOME ritenuto responsabile per il reato ascritto nel procedimento n. 16560 del 2019, ha proposto ricorso, deducendo:
4.1. vizio di motivazione ed errata valutazione delle risultanze istruttorie emerse nel corso del giudizio di primo grado (primo motivo), in quanto la Corte ha confermato la condanna pronunziata dal Tribunale nei confronti del Dessì per il reato di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater comma 2 del d.lgs. n. 74/2000, per avere, quale amministratore legale di RAGIONE_SOCIALE, utilizzato in compensazione ex art. 17 del d. Igs. 241/97 di debiti di imposta di RAGIONE_SOCIALE, crediti inesistenti della società RAGIONE_SOCIALE nell’anno 2017, in seguito alla stipula tra le due società di un contratto di accol fiscale.
La Corte ha affermato che l’inesistenza del credito asseritamente vantato da RAGIONE_SOCIALE, società cartiera costituita nel 2014 ed evasore totale, non è stato contestato; è stato, poi, accertato che la società RAGIONE_SOCIALE mediante la stipula di contratti di accollo avrebbe assunto la qualifica di accollante, utilizzando i propri credi Iva per assolvere il pagamento di tributi erariali di soggetti terzi, per un ammontare complessivo di oltre 650.000 euro nel 2016 e di oltre 4 milioni nel 2017, a fronte di un dichiarato volume di affari di 87.000 euro.
La difesa non contesta il meccanismo che consentiva, attraverso la precostituzione di falsi crediti Iva, di cedere pacchetti di risparmio di imposta a imprese terze desiderose di abbattere il proprio carico fiscale, mediante l’istituto dell compensazione, ma deduce il totale travisamento delle prove che ha portato a confondere linee di credito diverse e a considerare Dessì responsabile, nonostante la presenza di elementi che provano esattamente il contrario; lamenta che a pag. 35 della sua motivazione la Corte di appello si sofferma soprattutto sulla cessione di un credito in favore di RAGIONE_SOCIALE da parte di RAGIONE_SOCIALE, società del tutto diversa da RAGIONE_SOCIALE, e desume da questa vicenda il consapevole coinvolgimento da parte del COGNOME nel meccanismo fittizio di accollo di crediti inesistenti, trascurando di valutare che da quella vicenda COGNOME è stato assolto dal Tribunale di Milano; questo filone di indagine riguarda infatti un’altra serie di accolli effettuati nell’anno 2016 e scaturenti dalla società RAGIONE_SOCIALE (cd. filone RAGIONE_SOCIALE) contestati al capo A del procedimento RG. 35120/2019.
Il ricorrente lamenta che nella sentenza di primo grado il Tribunale ha confuso e considerato unitariamente la linea di cessione ad Abilone e quella ad Archimede e la Corte d’appello nulla ha rilevato, limitandosi a premettere l’esposizione di elementi suggestivi della tendenza criminosa del Dessi e poi motivando in merito all’elemento
soggettivo tramite il meccanismo del “non poteva non sapere”, e non in base al supporto probatorio offerto dall’istruttoria di primo grado.
A giudizio del ricorrente, la società RAGIONE_SOCIALE non ha mai ceduto alcunché ad Abilone, avendo le due realtà operato in modo del tutto indipendente, ma la Corte al riguardo nulla osserva. A pagina 108 della sentenza, il Tribunale ha ritenuto di richiamare le prove relative alla vicenda del 2016, con la società RAGIONE_SOCIALE per dimostrare che Dessi aveva già beneficiato di crediti Iva inesistenti acquisiti da altre società ed era aduso a quelle modalità di utilizzo di crediti di terzi.
In realtà, l’abitualità del COGNOME all’uso dei crediti in compensazione è tutt’altro ch provata considerato che, per la vicenda COGNOME, COGNOME è stato assolto con sentenza n. 6802 del 7 giugno 2022, sicché nessun contributo può portare la deposizione della teste COGNOME che ha riferito soltanto in merito ad un accertamento per fatti del tutto indipendenti e penalmente non rilevanti.
La Corte di appello ha osservato che COGNOME non ha spiegato nel corso del giudizio come e per mezzo di chi abbia contrattato l’accollo del debito di RAGIONE_SOCIALE, da parte di RAGIONE_SOCIALE, società con cui non risulta avere avuto rapporti contrattuali diversi da quello per cui si procede, ma l’accollo non necessita di alcuna spiegazione, essendo circostanza incontestata che si sia realizzato. L’assenza di altri rapporti contrattuali con la società RAGIONE_SOCIALE è elemento irrilevante, dal momento che l’affare di cui si discute poteva essere l’unico intercorso tra le due società. La creazione dei falsi crediti tributari anche nella ricostruzione operata dagli inquirenti, è opera esclusiva della società RAGIONE_SOCIALE, non risultando che RAGIONE_SOCIALE, e quindi Dessì, sia coinvolta in questa fase dell’operazione.
In conclusione, l’istruttoria dibattimentale non avrebbe fatto emergere elementi a supporto e spiegazione della cosiddetta linea di cessione Archimede, ma soltanto di quella COGNOME, come peraltro rilevato dallo stesso Procuratore generale. L’unica testimonianza acquisita in relazione alla linea di cessione Archimede è quella del teste COGNOME che ha riportato gli accertamenti tributari riferendo che avevano avuto origine da un’indagine svolta dalla Procura di Varese e nel corso della quale era emerso un circuito fraudolento facente capo ad Abilone e alle società da questo costituite appositamente per la creazione di falsi crediti, mediante annotazioni di fatture fittizie e in acquisto. Nelle indagini era stata coinvolta anche la società RAGIONE_SOCIALE che aveva clonato il sistema di creazione crediti, attraverso la cessione a favore di contribuenti tramite la sottoscrizione di contratti di cessione di crediti Iva, da utilizzare poi compensazione. Il teste ha riferito che la società RAGIONE_SOCIALE aveva creato un credito Iva che negli anni 2016-2017 veniva spacchettato e venduto a terzi tramite stipula di ben 52 contratti di accollo del debito tributario. Inoltre, la difesa ha offerto e forn prova documentale della buona fede del Dessì, allegando la perizia giurata attestante l’esistenza del credito Iva in capo ad RAGIONE_SOCIALE, consegnata a RAGIONE_SOCIALE. Tali
documenti, consegnati al Dessi al momento della conclusione del contratto di accollo, certificano la bontà del credito originario.
Evidenzia altresì come la Corte abbia affermato che gli operanti non hanno rinvenuto il contratto di accollo che non risulta neppure registrato presso l’Agenzia delle Entrate, né risultano tracce del pagamento del prezzo, documenti che l’imputato avrebbe potuto agevolmente produrre.
Tutti questi elementi sono stati ritenuti sintomatici della piena consapevolezza da parte dell’imputato dell’accollo di un credito inesistente, ma osserva il ricorrente che l’imputato non deve provare la sua inconsapevolezza, poiché al contrario deve essere provata la sua consapevolezza, mentre l’unico elemento valorizzato dal Tribunale per dimostrare l’elemento soggettivo in capo al Dessì è costituito da un coinvolgimento in una vicenda da cui il predetto è stato assolto.
4.2. Il secondo articolato motivo denuncia violazione di legge in quanto la sentenza parla di cessione del credito, mentre si tratta di un accollo tributario, istitut che consente alla società, titolare di un credito Iva nei confronti dell’Erario, di vendere tutto o parte del suddetto credito ad una società terza, che lo acquista a fronte del pagamento di un corrispettivo e lo utilizza per portarlo in compensazione rispetto alle sue imposte. Il pagamento viene effettuato dalla società accollante, cioè, nel caso in esame, dalla RAGIONE_SOCIALE, la quale presenta in sede di dichiarazione dei redditi un modello F 24 in cui vengono inseriti i dati del terzo, di cui diviene sostituto d’imposta; il corrispettivo è sempre minore del debito che l’accollato vanta verso lo Stato, circostanza che rende l’operazione vantaggiosa per tutti; l’istituto dell’accollo era consentito fino all’anno 2017, essendo previsto dall’art. 17 del decreto legislativo 241/1997, e con il decreto legge 124 del 26 ottobre 2019 è stato definitivamente vietato. I contratti conclusi tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE sono stati tutti conclusi prima del novembre 2017 e devono ritenersi validi ed efficaci.
Si censura, inoltre, il mancato esame della perizia COGNOME.
E’ certo, poi, che la RAGIONE_SOCIALE fosse consapevole dell’inesistenza effettiva del credito spacchettato e ceduto ad altre società ma non vi è prova, al contrario, che COGNOME fosse consapevole dell’inesistenza del credito che gli veniva ceduto e del complessivo disegno criminoso, considerato che al contratto erano allegati una serie di documenti sottoscritti da professionisti del settore, che certificavano l’esistenza del credito.
Anche la giurisprudenza penale ha escluso la punibilità del soggetto accollato in concorso nel reato di indebita compensazione, laddove l’accollante lo abbia ingannato attraverso un’attività truffaldina basata su documentazione falsa, poiché il soggetto accollato sarebbe inconsapevole della fraudolenza.
Quanto alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, la Corte ha ritenuto che non siano emersi elementi concreti per il loro riconoscimento, non essendo valorizzabili quelli indicati dal difensore e, tra questi, la condizione di incensurato COGNOME e l’avere partecipato al processo con un legale che ha dato il consenso
all’acquisizione dei documenti prodotti dal pubblico ministero con intento collaborativo, trattandosi di scelte difensive. L’assunto non è condivisibile in quanto detti elementi evidenziati nonché la dimostrazione di un’evidente estraneità ai reati depone per la riforma della sanzione comminata. A ciò si aggiunga che il beneficio fiscale che sarebbe derivato dal reato non è personale, poiché RAGIONE_SOCIALE è una società di capitali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di COGNOME è inammissibile poiché propone censure reiterative e generiche e, nella sostanza, invoca una diversa valutazione nel merito delle emergenze processuali.
1.1. I primi quattro motivi sono trattabili congiuntamente in ragione dei medesimi presupposti fattuali e delle reciproche interazioni.
L’indagine da cui è scaturito l’odierno giudizio è partita da un controllo fiscale nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE e ha evidenziato l’esistenza di un gruppo di società prive di struttura operativa, collegate tra loro perché coordinate e gestite dai medesimi soggetti, che, attraverso una falsa rappresentazione delle loro attività e utilizzando anche fatture false per operazioni inesistenti, chiedevano e ottenevano finanziamenti dalle banche garantiti da Medio Credito Centrale.
Tutte le contestazioni di truffe aggravate addebitate al COGNOME e ai coimputati sono state dichiarate estinte per intervenuta prescrizione, mentre rimangono oggetto dell’odierno giudizio a carico dell’imputato le contestazioni relative alla distruzione di documenti contabili della società RAGIONE_SOCIALE, ad un episodio di falsa fatturazione e all’autoriciclaggio dei proventi delle truffe.
Come evidenziato dalla sentenza della Corte di appello, le censure non attengono alla materialità oggettiva dei delitti commessi, ma al coinvolgimento dell’odierno ricorrente, che secondo la difesa non avrebbe rivestito alcun ruolo decisionale nell’ambito della galassia di società e del sistema fraudolento evidenziato, essendo un mero lavoratore dipendente della RAGIONE_SOCIALE
Invero, le prime quattro censure si incentrano sulla qualifica di amministratore di fatto del COGNOME in relazione alle condotte relative a tre società coinvolte nel sistema tra loro collegate e operanti con modalità analoghe, e devono ritenersi generiche e manifestamente infondate in quanto la sentenza impugnata ha reso al riguardo motivazione corretta e congrua alle emergenze processuali.
La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che in tema di reati tributari, la prova della posizione di amministratore di fatto di una società “schermo”, priva di reale autonomia e costituita per essere utilizzata come “cartiera” in un meccanismo fiscalmente fraudolento volto a evadere le imposte, si traduce in quella del ruolo di ideatore e organizzatore del suddetto sistema fraudolento, atteso che non è
ipotizzabile l’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico in un ente solo formalmente operante (cfr., Sez. 3, n. 20052 del 14/04/2022, COGNOME, Rv. 283202 – 01; Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, COGNOME, Rv. 279829 – 02; Sez. 5, n. 32398 del 16/03/2018, COGNOME, Rv, 273821 – 01).
Ed in effetti, i criteri enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine a qualifica di amministratore di fatto, richiamati anche nel ricorso, si riferiscono a società effettivamente operative nel settore economico e non possono essere applicabili automaticamente quando la struttura societaria funga da mero schermo, attraverso il quale si consumano condotte di reato e non attività produttive o commerciali, trattandosi di società prive di reale struttura e autonomia, in relazione alle quali non può ipotizzarsi una condotta di gestione secondo i canoni ordinari. La prova della amministrazione di fatto va, pertanto, ricavata da elementi che evidenziano la partecipazione e l’inserimento organico del soggetto all’interno del progetto criminoso e del sistema illecito che utilizza le società cartiere, a prescindere dai compiti gestionali effettivamente o formalmente attribuiti.
Entrambe le sentenze di merito indicano, in modo esaustivo, gli elementi che palesano il ruolo centrale assunto dal COGNOME in relazione a diverse società coinvolte nell’inchiesta, tutte caratterizzate dall’essere strutture non operative e finalizzat esclusivamente a consentire l’erogazione di contributi e prestiti, rivestendo una posizione immediatamente subordinata a NOME COGNOME separatamente giudicato.
La sentenza impugnata si sofferma adeguatamente ad illustrare gli elementi di fatto sintomatici del coinvolgimento del COGNOME come concorrente e coordinatore nel sistema di società cartiere, predisposte per eseguire le diverse truffe programmate secondo uno schema reiterato, rilevando che:
–COGNOME era presente negli uffici della RAGIONE_SOCIALE al momento dell’accesso degli inquirenti e non aveva alcun titolo che giustificasse la sua presenza, considerato che non risultava all’epoca legato da un rapporto di lavoro con detta società;
–COGNOME era uno dei soggetti inseriti nell’elenco, consegnato al portiere, di coloro che potevano accedere agli uffici della RAGIONE_SOCIALE già dal 2015 e una coimputata lo ha identificato come uno dei soggetti coinvolti nel sistema fraudolento già nel 2015, mentre il suo rapporto di lavoro si riferisce ad un periodo ben più breve;
-sul suo computer sono state rinvenute diverse cartelle contenenti atti e business plan relativi a molte società coinvolte nell’indagine;
-nella sua abitazione è stata rinvenuta documentazione presentata alle banche per ottenere indebite erogazioni e business plan di diverse società (v. pag. 53 sentenza Tribunale);
-l’imputato si recò personalmente in banca, in compagnia di NOME COGNOME presentandosi come coordinatore commerciale, per richiedere un finanziamento a favore della RAGIONE_SOCIALE, società che ricevette il denaro della RAGIONE_SOCIALE, provento della ruffa;
-l’appartamento preso da lui in locazione coincide con la sede legale di RAGIONE_SOCIALE, di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, società inserite nel sistema;
lo stesso risulta legato alla RAGIONE_SOCIALE, società che ha operato secondo modalità identiche alla RAGIONE_SOCIALE (v. pag. 82 sentenza primo grado);
-l’imputato è legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE attraverso cui è stato riciclato il denaro proveniente dalla società RAGIONE_SOCIALE
-un biglietto da visita riportava la indicazione di NOME COGNOME come responsabile commerciale della società RAGIONE_SOCIALE altra struttura non operativa inserita nel gruppo.
Alla stregua di questi elementi, la Corte ha affermato che “deve ritenersi pienamente accertata la pervasiva e costante funzione organizzativa di COGNOME non solo in RAGIONE_SOCIALE, ma nell’intero castello di società intorno alla stessa gravitante, la cui gestione, nei limiti in cui possono essere amministrate delle società in operative, era finalizzata alla commissione di atti illeciti sia sotto il profilo dell’evasione fisca dell’agevolazione a terzi di evasione fiscale sia sotto il profilo del riciclaggio del denar proveniente dalle frodi bancarie”.
La conclusione cui è pervenuta la Corte di merito, che ha desunto dai suindicati elementi la partecipazione con ruolo primario del Torti al programma criminoso finalizzato alla creazione di società schermo per la commissione di delitti fiscali e di frodi e la sua effettiva ingerenza nella realizzazione di condotte strumentali al perseguimento degli scopi illeciti, non è neppure oggetto di specifica censura, limitandosi il ricorrente a richiamare i criteri richiesti per la prova della gestione di società effettivamente operative, così incorrendo nel vizio di genericità.
1.2. Il quinto motivo di ricorso è del tutto generico poiché la Corte ha ridotto la pena base detentiva rispetto a quella applicata dal Tribunale, valorizzando la condotta dell’imputato successiva ai fatti commessi ma, nel contempo, ha ritenuto che la gravità dei fatti e il ruolo primario del COGNOME nella gestione del castello societario non consentano di riconoscere un’ulteriore riduzione ex art. 62 -bis cod. pen.; ha altresì evidenziato che non si comprende in cosa consiste il corretto contegno processuale tenuto dall’imputato, unico elemento specifico valorizzato dalla difesa con l’appello per invocare le attenuanti citate, considerato che COGNOME non ha partecipato al giudizio e ha preferito rimanere assente.
Il ricorrente non si confronta con questa motivazione e non precisa sotto quale profilo dovrebbero desumersi dalla scelta dell’imputato di restare assente elementi di segno positivo idonei a giustificare la concessione delle attenuanti generiche, formulando doglianze eccentriche con cui introduce nuovi elementi di fatto, quali l’intensità del dolo del COGNOME e l’inserimento in un contesto familiare rassicurante, che non possono essere invocati per la prima volta in questa sede e che, peraltro, rimangono allo stato di mere allegazioni verbali.
Il ricorso di COGNOME è inammissibile, perché formula motivi reiterativi e manifestamente infondati.
2.1. Non è oggetto di contestazione la materialità della vicenda, ma la difesa insiste nell’assunto dell’assenza di dolo da parte dell’imputato, ignaro di utilizzare in compensazione un credito Iva della società RAGIONE_SOCIALE in realtà inesistente, così reiterando le censure formulate con il gravame.
La Corte di merito ha però correttamente valorizzato gli elementi sintomatici del dolo specifico, che palesano la consapevolezza da parte dell’imputato del carattere fittizio del credito portato in compensazione nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE, pari ad oltre 500.000 euro, e la volontà di approfittare dei vantaggi dell’indebita compensazione.
In particolare, i giudici di merito hanno indicato:
-l’opacità della contabilità della società RAGIONE_SOCIALE che operava in commistione con altre due società del Gruppo RAGIONE_SOCIALE, che avevano anche loro usufruito del medesimo meccanismo di compensazione con crediti d’imposta della RAGIONE_SOCIALE;
-la mancata produzione del contratto di accollo, che non risulta neppure registrato all’Agenzia delle Entrate;
-la mancata dimostrazione del pagamento del corrispettivo dell’accollo fiscale da parte di RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE;
-l’inadeguata documentazione prodotta a sostegno della buona fede del Dessì che dovrebbe, secondo la difesa, attestare l’esistenza del credito oggetto dell’accollo, costituita da una fotocopia di una perizia giurata riferita al credito d’imposta dell’impresa di costruzioni Borlone – impresa coinvolta nel circuito fraudolento facente capo alla famiglia COGNOME – e relativo all’anno 2014, del tutto sproporzionato al volume di affari dell’impresa RAGIONE_SOCIALE, che aveva in parte conferito in RAGIONE_SOCIALE, soggetto accollante del debito della RAGIONE_SOCIALE;
-la sproporzione tra il volume di affari della RAGIONE_SOCIALE, società non operativa e il credito Iva da lei vantato.
La Corte si confronta, in modo specifico, con detta documentazione, che sarebbe stata allegata al contratto di accollo, e non la ritiene idonea a dimostrare la buona fede del Dessì, poiché si riferisce ad una impresa diversa dalla RAGIONE_SOCIALE e a due annualità precedenti a quella della compensazione; rileva che questi elementi concorrenti palesano la violazione dell’obbligo di verifica dell’esistenza e della spettanza del credito da parte del soggetto che utilizzava detto meccanismo di compensazione, criteri desumibili dall’art. 10-quater ultimo comma d.lgs. 74/2000 e la consapevolezza da parte dell’imputato di fruire di una compensazione con crediti inesistenti o, comunque, di accettare tale rischio.
La Corte ha, infine, in quest’ottica, valorizzato anche il precedente acquisto effettuato da Dessì di crediti inesistenti provenienti dalla RAGIONE_SOCIALE, altra società che aveva creato crediti Iva fittizi per acquisti inesistenti, da porre in compensazione in
favore di terzi; la formula con cui COGNOME è stato assolto da questa vicenda, per carenza di prova del dolo, consente di valorizzare il fatto materiale, il cui accadimento è certo.
Il pregresso coinvolgimento in altro contratto di accollo relativo ad un credito inesistente del Dessi per l’anno fiscale 2016, in una vicenda che presenta caratteristiche analoghe a quella oggetto del giudizio, è stata richiamata dalla Corte territoriale, pur prendendo atto dell’intervenuta assoluzione, per evidenziare che l’imputato non era alieno dall’utilizzo imprudente dell’accollo tributario per abbattere il proprio debito d imposta, senza preoccuparsi di effettuare le debite verifiche in ordine all’effettività dei crediti utilizzati, con un atteggiamento sistematico e sintomatico quantomeno del suo dolo eventuale. Ed invero la reiterazione di condotte di analogo tenore, processualmente accertata, è un elemento che secondo massime di esperienza può risultare rilevante ai fini della valutazione dell’elemento soggettivo del soggetto agente, specie se questi opera con professionalità in un determinato settore economico e non è uno sprovveduto; ma a prescindere da questa considerazione, il compendio indiziario valorizzato dai giudici di merito rimane robusto e idoneo a sorreggere il sicuro giudizio di colpevolezza nei confronti del ricorrente.
Di contro, la difesa propone una lettura parcellizzata e atomistica dei singoli elementi valorizzati in sentenza e non si confronta con diversi aspetti della motivazione e con tutti gli elementi valorizzati, che contribuiscono a palesare la piena consapevolezza del Dessi di ricorrere ad una compensazione fraudolenta.
E’ vero che è onere dell’accusa dimostrare il dolo del delitto addebitato, ma, trattandosi di un elemento intrapsichico, la relativa prova va desunta dalle condotte esteriori e, nel caso in esame, i plurimi elementi indiziari dimostrano la consapevolezza dell’imputato di accedere ad una pratica non solo elusiva ma apertamente illecita, perché relativa a crediti della cui inesistenza era a conoscenza.
La giurisprudenza richiamata nel ricorso attiene ad altra ipotesi, in cui l’acquirente del credito o, per meglio dire, il soggetto accollato, sia stato tratto i inganno da documentazione falsificata, mentre nel caso di specie vi è la prova di una condotta disinvolta e spregiudicata del COGNOME, in assenza della dovuta documentazione.
Da qui la manifesta infondatezza del primo motivo.
2.2. Pari conclusione va tratta in relazione al secondo motivo di ricorso.
Al riguardo, occorre premettere in via generale che, nella motivazione della sentenza, il giudice del gravame di merito non è tenuto, infatti, a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che, in tal caso, come avvenuto nella fattispecie, debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata alla luce della esaustiva motivazione
resa (cfr., Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, COGNOME, Rv. 254107-01; Sez. 6, n. 1307 del
26/09/2002, dep. 2003, COGNOME, Rv. 223061-01).
Fermo quanto precede, evidenzia il Collegio come, nella fattispecie, a prescindere dall’utilizzo non rigoroso di alcune definizioni, la Corte ha ben chiarito il meccanismo
dell’accollo tributario e non ha messo in dubbio la liceità dell’operazione sino al 2017, a condizione che la stessa abbia per oggetto crediti spettanti a chi li cede ed esistenti.
La censura in merito al diniego delle circostanze attenuanti generiche è
manifestamente infondata poiché la Corte ha reso il riguardo adeguata e congrua motivazione, valorizzando l’assenza di elementi positivi nella condotta del Dessì che
possano giustificare la concessione di tale beneficio e ha escluso che la partecipazione obbligatoria al processo dell’avvocato difensore e la costatazione che questo
professionista non ha ostacolato l’accertamento dei fatti prestando il consenso all’acquisizione di documenti, possa costituire elemento di carattere positivo e meritorio
idoneo a giustificare il beneficio invocato.
Si tratta di considerazioni conformi ai princìpi più volte ribaditi in tema dalla giurisprudenza di legittimità e immuni dai vizi dedotti che esulano dal sindacato di
questa Corte.
La censura abbozzata in merito alla pertinenza dell’ingiusto profitto della compensazione ad una società di capitali e non alla persona del COGNOME è del tutto generica e non spiega le ragioni per cui COGNOME, in quanto socio di maggioranza e rappresentante legale della società che ha posto in essere la violazione finanziaria, dovrebbe usufruire delle circostanze attenuanti generiche o di un trattamento sanzionatorio più indulgente.
L’inammissibilità dei ricorsi impone la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma che si ritiene congruo liquidare in euro 3000 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Roma, 17 giugno 2025
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Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME COGNOME
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NOME COGNOME