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Amministratore di fatto: la Cassazione sulla prova

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta documentale a carico di un amministratore di fatto. La sentenza chiarisce che il ruolo gestorio può essere provato attraverso un complesso di elementi, incluse testimonianze convergenti e prove documentali, anche se le dichiarazioni di un teste potenzialmente indagabile sono state contestate. La Corte ha ritenuto che l’imputato, pur non avendo cariche formali per lungo tempo, fosse il vero ‘dominus’ della società, responsabile della sottrazione delle scritture contabili che ha reso impossibile la ricostruzione del patrimonio aziendale.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di Fatto: La Prova della Gestione nella Bancarotta Fraudolenta

La figura dell’amministratore di fatto è centrale in molti procedimenti per reati societari, specialmente in casi di bancarotta. Si tratta di chi, senza un’investitura formale, gestisce un’impresa come se ne fosse il legale rappresentante. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi per accertare tale ruolo e le conseguenti responsabilità penali. Il caso analizzato riguarda una condanna per bancarotta fraudolenta documentale, dove l’imputato è stato ritenuto il vero ‘dominus’ della società fallita, nonostante altri soggetti figurassero come amministratori di diritto.

Il Caso: Accusa di Bancarotta Documentale

La vicenda processuale ha origine dalla sentenza di fallimento di una S.r.l. L’accusa mossa all’imputato era di bancarotta fraudolenta documentale in concorso con il liquidatore formale. Nello specifico, gli veniva contestato di aver sottratto i libri e le altre scritture contabili, con lo scopo di ottenere un ingiusto profitto o recare pregiudizio ai creditori, rendendo di fatto impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento d’affari della società fallita. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano confermato la sua colpevolezza, identificandolo come l’amministratore di fatto dell’azienda fin dalla sua costituzione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:

1. Inutilizzabilità delle testimonianze: Si contestava l’utilizzabilità delle dichiarazioni di una teste chiave, ex amministratrice di diritto, sostenendo che avrebbe dovuto essere sentita come indagata sin dall’inizio.
2. Inattendibilità di un’altra teste: Veniva messa in dubbio l’affidabilità di una seconda testimone, ex dipendente, a causa di presunti rancori personali e contenziosi civili con l’imputato.
3. Mancato riconoscimento delle attenuanti generiche: La difesa lamentava il diniego delle attenuanti, ritenendolo ingiustificato.
4. Carenza dell’elemento soggettivo: Si sosteneva che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente provato il dolo, ovvero la coscienza e volontà di commettere il reato.

Le Motivazioni della Suprema Corte sull’Amministratore di Fatto

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure della difesa e confermando la condanna. Le motivazioni della Corte offrono importanti chiarimenti sulla prova del ruolo dell’amministratore di fatto e sulla configurazione del reato di bancarotta documentale.

La Valutazione delle Testimonianze e la Prova di Resistenza

Uno dei punti cruciali della sentenza riguarda l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese da una teste che, secondo la difesa, avrebbe dovuto essere indagata. La Corte ha ribadito un principio consolidato: le dichiarazioni autoindizianti rese da una persona non indagata sono inutilizzabili solo contro chi le rende, ma sono pienamente utilizzabili contro terzi. Pertanto, le dichiarazioni dell’ex amministratrice di diritto erano valide per provare il ruolo di gestore di fatto dell’imputato.
In ogni caso, la Corte ha applicato il principio della cosiddetta ‘prova di resistenza’. Ha verificato cioè che, anche escludendo le dichiarazioni contestate, la condanna si sarebbe retta ugualmente su un solido quadro probatorio, costituito da:
* Le dichiarazioni convergenti di un’altra teste.
* La documentazione che provava il ruolo dell’imputato come depositario delle scritture contabili sin dal 2003 e come incaricato del deposito dei bilanci.
* Il comportamento contraddittorio dell’ultimo liquidatore, che inizialmente negava di conoscere l’imputato.

Questi elementi, nel loro complesso, dimostravano in modo inequivocabile che l’imputato era l’esclusivo gestore della società, al di là delle cariche formali ricoperte da altri.

La Qualificazione del Reato e l’Elemento Soggettivo

La Corte ha inoltre precisato la natura del reato di bancarotta fraudolenta documentale. Ha chiarito che, per la sua sussistenza, è sufficiente il dolo generico, ossia la coscienza e volontà di tenere le scritture in modo irregolare, con la consapevolezza che ciò renderà impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali. Non è necessario un dolo specifico, ovvero il fine di danneggiare i creditori.
Nel caso di specie, l’imputato, in qualità di amministratore di fatto e unico depositario della contabilità per anni, non poteva non essere consapevole che la mancata consegna delle scritture contabili al curatore avrebbe impedito la ricostruzione degli affari societari. Questa consapevolezza integra pienamente l’elemento soggettivo richiesto dalla norma.

Le Conclusioni

La sentenza conferma che la responsabilità penale per i reati fallimentari ricade su chi esercita effettivamente il potere gestorio, indipendentemente dalle qualifiche formali. Per provare il ruolo di amministratore di fatto, il giudice può basarsi su un complesso di elementi probatori, anche indiziari, purché gravi, precisi e concordanti. La decisione ribadisce inoltre l’importanza della corretta tenuta e conservazione delle scritture contabili, la cui sottrazione o irregolare gestione configura il grave reato di bancarotta fraudolenta documentale, per il quale è sufficiente la consapevolezza di ostacolare l’accertamento della situazione patrimoniale dell’impresa.

Come si prova il ruolo di un amministratore di fatto in un processo per bancarotta?
Secondo la sentenza, il ruolo di amministratore di fatto si prova attraverso un insieme convergente di elementi, quali testimonianze, documentazione (es. prove di deposito bilanci), e comportamenti tenuti dalle parti. Non è necessaria una prova singola e diretta, ma un quadro complessivo che dimostri l’esercizio continuativo e significativo dei poteri di gestione.

Le dichiarazioni di un teste che potrebbe essere a sua volta indagato sono utilizzabili contro l’imputato?
Sì. La Corte di Cassazione ha ribadito che le dichiarazioni rese da una persona non indagata, anche se potenzialmente auto-indizianti, sono inutilizzabili solo contro chi le rende, ma possono essere pienamente utilizzate come prova contro terzi, come l’amministratore di fatto.

Cosa si intende per dolo nella bancarotta documentale generica?
Per questo tipo di reato è sufficiente il dolo generico. Ciò significa che non è necessario dimostrare l’intenzione specifica di danneggiare i creditori. Basta la coscienza e la volontà di tenere le scritture contabili in modo tale da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, unita alla consapevolezza che tale condotta è illecita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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