Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30324 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30324 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME ROMA il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 25/10/2023 della CORTE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; Mtralr il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME dr( ha concluso chiedendo y Ct t
udito il dtfénsore
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Roma confermava la sentenza con cui il tribunale di Roma, in data 31.5.2023, aveva condanNOME COGNOME NOME alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai reati fallimentari di cui ai capi 1); 2) e 3) dell’imputazione, ascrittigli in qualità di amministratore di fatto della società “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita il 14.12.2020.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il COGNOME, lamentando: 1) vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza in capo all’imputato del ruolo di amministratore di fatto della società fallita; 2) vizio di motivazione, con riferimento alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese da COGNOME NOME, come consacrate nel verbale di sommarie informazioni rese da quest’ultimo nell’ambito di diverso procedimento penale; 3) vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; 4) vizio di motivazione con riferimento alla determinazione dell’entità del trattamento sanzioNOMErio, eccessivamente severo.
Con requisitoria scritta del 24.2.2024 il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, dott.AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Il ricorso non può essere accolto, essendo sorretto da motivi di impugnazione, in parte infondati, in parte inammissibili.
4.1. Inammissibile deve ritenersi il primo motivo di ricorso.
Il ricorrente, invero, non tiene nel dovuto conto che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).
In questa sede di legittimità è, infatti, precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica
lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di un’operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, persistendo il divieto di rilettura e di reinterpretazione nel merito degli elementi di prova (cfr. ex plurimis, Sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370).
Sul punto, del resto, la motivazione della corte territoriale non può considerarsi né contraddittoria, né manifestamente illogica, in quanto il giudice di appello, con argomentazione dotata di intrinseca coerenza logica, ha dedotto il ruolo di amministratore di fatto in capo all’imputato dalla circostanza che quest’ultimo, assunto come semplice autista, aveva oltrepassato sistematicamente i limiti connessi a tale specifica mansione lavorativa, interessandosi direttamente e attivamente della gestione della società fallita.
A tale conclusione il giudice di appello giungeva valorizzando una serie di elementi di fatto dall’inequivocabile significato quali: 1) il notevole ammontare complessivo, pur in presenza di un ingente debito erariale nel frattempo insorto, degli emolumenti corrisposti in poco meno di sei mesi al ricorrente da NOME, amministratore di diritto della società fallita, coimputato, nel frattempo deceduto, sproporzioNOME rispetto alle mansioni cui il COGNOME avrebbe dovuto essere destiNOME, ma perfettamente giustificabile nella prospettiva di soddisfare le esigenze economiche del vero dominus della compagine sociale; 2) la circostanza che presso l’abitazione dell’imputato erano stati rinvenuti non solo il token indispensabile per operare sui conti correnti della società fallita e la carta bancomat dell’azienda, ma anche “documenti della società collegati all’amministratore che aveva preceduto il COGNOME, NOME COGNOME“; 3) l’ulteriore circostanza, invero palesemente incompatibile con il ruolo di una “sorta di autista”, addetto anche a
quantificare il materiale edile acquistato dal RAGIONE_SOCIALE, che lo COGNOME ha attribuito a sé stesso, che il COGNOME, uno dei fornitori della società fallita, ha dichiarato di essersi recato presso la sede di quest’ultima, dove il COGNOME gli si era presentato come “responsabile dell’ufficio acquisti della “TRE A”, fornendogli il numero dell’utenza telefonica rinvenuta nella disponibilità del prevenuto, necessaria per mantenere i contatti fra la società fallita e la “RAGIONE_SOCIALE“, i cui beni, acquistati dalla “RAGIONE_SOCIALE” nel 2016, avevano formato oggetto della contestata distrazione (cfr. pp. 2-4 della sentenza di appello).
A fronte dei rilievi difensivi, con cui il ricorrente si limita a contestare la non pertinenza degli elementi valorizzati dalla corte territoriale, prospettando una ricostruzione alternativa attraverso la quale reitera acriticamente le censure già disattese dal giudice di secondo grado (ulteriore e autonoma causa di inammissibilità del ricorso: cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710), la decisione della corte territoriale sul punto appare, piuttosto, del tutto conforme al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la posizione dell’amministratore di fatto, destinatario delle norme incriminatrici della bancarotta fraudolenta va determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l’attribuzione della qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di norme che sono sanzionate dalla legge penale. La disciplina sostanziale si traduce, in via processuale, nell’accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti dall’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus” che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell'”iter” di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti – in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare.
L’accertamento, peraltro, degli elementi sintomatici di tale gestione o cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di fatto che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto, come nel caso in
esame, da motivazione congrua e logica (cfr. Sez. 5, 14.4.2003, n 22413, rv. 224948; Se. I, 12.5.2006, n. 18464, rv. 234254).
In conclusione va ribadito anche nel caso in esame il principio alla luce del quale in tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 I. fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (cfr. Sez. V, 13.4.2006, n. 19145, rv. 234428; Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, Rv. 268273; Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, Rv. 279497; Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, Rv. 280550).
Inammissibile appare anche il secondo motivo di ricorso, con cui ancora una volta il ricorrente sollecita una nuova valutazione delle risultanze processuali, questa volta sulla credibilità e l’attendibilità delle dichiarazioni rese dal NOME, reiterando acriticamente le censure già disattese dal giudice di secondo grado, senza tacere che, in ogni caso, ove anche si volesse non tener conto delle suddette dichiarazioni, l’assunto accusatorio sarebbe sufficientemente sorretto, in mancanza di specifiche doglianze relative alla natura illecita, delle condotte in contestazione, dalle osservazioni già svolte circa il ruolo di amministratore di fatto svolto dal COGNOME, sicché tale motivo risulta anche non sorretto da un reale interesse dell’imputato.
Infondati appaiono i rilievi sul trattamento sanzioNOMErio.
Con particolare riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, si osserva che, come affermato dall’orientamento da tempo dominante nella giurisprudenza di legittimità, in tema di circostanze attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo
all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo l’affermata insussistenza.
Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita, essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzioNOMErio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (cfr., ex plurimis, Cassazione penale, sez. IV, 28/05/2013, n. 24172; Cass., sez. III, 23/04/2013, n. 23055, rv. 256172).
Al riguardo non può non rilevarsi come il ricorrente non abbia prospettato alcun elemento favorevole, che la corte territoriale abbia omesso di valutare (del tutto generico appare il riferimento alla contenuta rilevanza economica del danno, che non può farsi discendere automaticamente dalla ritenuta esclusione già in primo grado della circostanza aggravante del danno di rilevante gravità, di cui all’art. 219, I. fall.).
Del resto, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, come è noto, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133, c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549).
In questa prospettiva la giurisprudenza di legittimità, con costante insegnamento, ha chiarito che il diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche si giustifica anche solo sulla base della gravità della condotta o dei soli precedenti penali o giudiziari
dell’imputato (cfr., ex plurimis, Sez. 4, 28/05/2013, n. 24172; Sez. 3, 23/04/2013, n. 23055, rv. 256172; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269; Sez. 5, n. 39473 del 13/06/2013, Rv. 257200).
A tali principi si è uniformata la corte territoriale, che ha correttamente individuato nella gravità dei fatti per cui si procede, desunta dalla completa spoliazione del patrimonio sociale e dalla totale sottrazione delle scritture contabili, in uno con l’intensità del dolo, messa in luce dalla spregiudicatezza con cui l’imputato ha agito, avvalendosi di prestanome per creare uno schermo che potesse occultarne le responsabilità, e con la capacità a delinquere del prevenuto, desunta con logico argomentare dalle reiterate violazioni del regime degli arresti domiciliari di cui il COGNOME si è reso protagonista e dall’esistenza a suo carico di numerosi procedimenti penali per fatti simili, dunque nei criteri indicati dall’art. 133, c.p., l’ostacolo al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Gli stessi criteri hanno poi orientato la scelta dell’entità del trattamento sanzioNOMErio, rispetto alla quale le censure difensive appaiono infondate, laddove denunciano una mancanza di motivazione, e tali da sollecitare un’inammissibile rivalutazione nel merito, oltre che generiche, nella parte in cui lamentano la mancata considerazione dell’intervenuta esclusione della circostanza aggravante del danno rilevante e l’impossibilità per l’imputato di confrontarsi e di difendersi, in relazione alle indicate reiterate violazioni del regime degli arresti domiciliari.
5. Al rigetto segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 14.3.2024.